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Anniversario dell’uccisione di Matoub Lounès
Migliaia di pellegrini a Taourirt Moussa

L’Expression, 28 giugno 2009



Alle 10 era già difficile avvicinarsi, tanto alla casa del Ribelle che alla sua tomba. Immagini che ricordano il giorno del suo funerale, il 28 giugno 1998. E nonostante siano passati 11 anni, le migliaia di persone accorse a Taourit per l’anniversario dell’assassinio dell’enfant prodige provano che non è stato assassinato per niente. E che non è stato dimenticato.
Ha prevalso il dovere della memoria. La presenza di giovani meno che diciottenni era notevole. Cosa che ha fatto dire a numerose persone presenti che Matoub è riuscito a realizzare il suo sogno. Malgrado sia stato fisicamente assente per più di un  decennio, resta vivo nei cuori e nelle azioni. Abbiamo anche notato che i visitatori non venivano solo dalle wilaya di Tizi Ouzu e Bejaia, ma da ogni luogo: Algeri, Bouira, Boumerdès, Sétif, Bordj Bou Arréridj, Tipasa… Per deporre un mazzo di fiori, bisognava pazientare a lungo in una lunga fila. E’ diventato quasi un rituale. I pellegrini, arrivando, si dirigevano prima di tutto verso la tomba. Deponevano dei fiori, raccogliendosi. Poi visitavano il garage dove è esposta l’auto crivellata da 78 colpi. Per dirigersi poi alla sede della fondazione Matoub. Qui le altre interminabili code per consentire ai visitatori di scattare foto. Una vecchia, sventolando una bandiera algerina, ha declamato per tutto il tempo a voce alta delle poesie su Matoub. Davanti alla casa del Ribelle, la folla si ammassava, ma nella calma, malgrado l’assenza di un servizio d’ordine. Per chilometri si sviluppavano file di auto, furgoni e bus.
In certi tratti era del tutto impossibile per i veicoli avanzare. Gruppi di ragazzi e ragazze vestiti in abiti della Kabylie giungevano con cartelli sui quali c’erano i nomi di associazioni, comitati o di università. Come ogni anno, gli studenti dell’università di Tizi Ouzu sono venuti in tanti. Come quelli dell’università di Béjaia, specialmente quelli della cittadella universitaria Targa Ouzemour. La wilaya di Bouira era fortemente rappresentata. Sono venute centinaia di persone, stipati in bus, per non perdere questa occasione. Ex militanti della causa berbera erano nella folla: Ahcène Chérifi, Mohand Loukad (traduttore dell’ultimo album di Matoub), Ali Belkadi dell’associazione Tagmats di Lyon, promotore dell’intitolazione di un piazzale di Lyon a Matoub Lounès.
E la lista è ancora lunga. Altre delegazioni sono venute a titolo ufficiale, come quella della direzione della cultura della wilaya di Tizi Ouzu, quelle dei partiti politici e delle organizzazioni della società civile. Ma quella che ha caratterizzato la giornata di giovedì scorso è che la commemorazione è stata fatta in un clima popolare, che non ha lasciato alcuno spazio a discorsi populisti o di recupero. Questo non vuol dire che non siano stati fatti dei tentativi in tal senso, ma che cosa poteva fare un pugno di persone, venute con dei secondi fini, davanti a migliaia d’altre, condotte lì solo dal cuore e dalla sincerità?
La lotta di Matoub per un’Algeria migliore e per una maggiore democrazia, era più che mai di attualità giovedì scorso. Le migliaia di persone, alcune delle quali hanno passato la notte all’addiaccio a Taourirt, hanno voluto dire che sono fedeli alla loro Algeria e al loro idolo, qualsiasi cosa succeda.
Solo intorno alle 19 la folla ha cominciato a diradarsi, mentre qualche decina di fan di Lounès Matoub ha deciso di passare la notte in questo villaggio fiabesco. Venerdì. L’appuntamento era nella città di Draa El Mizan, dove è stato assegnato il Premio della resistenza a due associazioni dall’identico nome “Tagmats”, alla presenza della madre di Matoub e di un pubblico numeroso.

Aomar Mohellebi
 





Undici anni dopo il suo assassinio

Testimonianze inedite su Lounès Matoub

L’Expression, 25 giugno 2009

 

Per la prima volta, dopo undici anni, persone molto vicine a Lounès Matoub hanno deciso di parlare. Mustapha Matoub, suo amico d’infanzia e cugino, la madre di Djamilla, la ragazza alla quale il Ribelle ha dedicato la maggior parte delle sue canzoni d’amore ed una vicina che lo conosceva benissimo, raccontano dei dettagli inediti.

Taourirt Moussa è diventato, da undici anni, il villaggio più visitato della Kabylie. Ogni giorno vi si recano dei cittadini, accompagnati dalla famiglia o da amici, per  rivisitare una delle più importanti pagine della storia della regione.
Come aveva annunciato in una delle sue canzoni, la sua casa è diventata proprietà della comunità. I visitatori vi si sentono a casa loro. Tutti sono convinti che gli undici anni trascorsi dal suo assassinio sono passati molto in fretta. “Già undici anni?” rispondono tutti. La data dell’assassinio di Lounès Matoub è diventata un punto di riferimento nel tempo.
Una delle persone che la morte di Matoub Lounès ha senza dubbio più scosso è suo cugino Musptapha. Il giorno che andiamo a visitarlo, ci aspetta in una stanza che funge da ufficio del segretario generale della Fondazione. La somiglianza fisica con Lounès è evidente. E’ senza dubbio l’uomo che meglio conosce l’evoluzione di Lounès. Sono cresciuti nella stessa casa. Erano a tal punto inseparabili che, quando da piccoli uno dei due faceva una marachella, veniva punito il primo ad essere preso. I genitori erano infatti convinti che non era possibile che uno dei due avesse agito senza la complicità dell’altro.
“Non sono mai riuscito a capire come è realmente (nel corso di tutta la nostra intervista, Mustapha parla di Matoub al presente). E’ imprevedibile. Vuole sempre fare cinque, sei cose contemporaneamente. Non programma in alcun modo il suo futuro. Può capitare che decida con me di fare qualcosa e, mentre la facciamo, passa ad altro. Capita spesso che cambi programma anche cinque o sei volte al giorno”.
Mustapha racconta che quando erano piccoli, di tutto quello che facevano insieme, Lounès voleva sempre fare di più. Anche se si trattava di cose negative. Si ricorda che un tempo era venuto di moda che gli adolescenti si procurassero una bruciatura sul braccio con una sigaretta, ebbene Lounès l’ha fatto con una candela. Quando i bambini si arrampicavano sugli alberi, lui saliva il più in alto possibile. Questa ossessione di prendere sempre il sopravvento lo ha accompagnato nel corso di tutta la sua vita. “Quando fai a botte con lui, se riesci a vincere tu, lui non ti lascia. Bisogna che prenda il sopravvento, sennò continua senza smettere”, spiega Mustapha che dice di aver ritrovato questo tratto del suo carattere in anni successivi ed in situazioni più serie, quando Lounès Matoub è diventato artista. Alla fine di ogni concerto gli chiedeva chi fosse stato il migliore. “Ce l’ha nel sangue di essere il migliore”, sottolinea il nostro interlocutore. Quando ha cominciato a cantare, si recava in tutte le feste del villaggio e dei dintorni e montava in scena senza essere stato invitato. “Non se ne perde nessuna”. Mustapha rivela che Lounès, dopo aver trascorso una tenera infanzia, leggeva tantissimo. Tutto quello che leggeva nei romanzi voleva metterlo in pratica. Imitava tutto il tempo il personaggio principale. E’anche un uomo di principio. Nel 1972 suo padre, venendo dalla Francia, gli ha portato una mandola: “Ce la siamo giocati a poker. Ho vinto io, ma non volevo prenderla perché sapevo quanto fosse importante per lui. Ho insistito tanto per restituirgliela, ma lui non ha voluto in alcun modo. Per lui era una questione di principio. Era un uomo di parola”.  Chiediamo a Mustapha se Lounès fosse un uomo scaltro e lui risponde: “Non ha tempo d’essere scaltro. Lui si dà completamente. Prima agisce e poi riflette. Non ha segreti. Per lui avere dei segreti è qualcosa di anormale. Quando fa qualcosa, bisogna che tutti lo sappiano. Sennò è come se non l’avesse fatta. Anche i suoi problemi più intimi, ne parla come se fosse una cosa naturale. Nessuno di noi lo capisce. “ Il cugino spiega che Matoub è un essere eccezionale: “Se ti accetta come amico, puoi fargli tutto quello che vuoi, ti amerà comunque sempre e profondamente, ma se sei suo nemico, non ti mollerà mai”.
Stando ai ricordi di Mustapha, si direbbe che Lounès era un uomo folle. Quando ha fatto il servizio militare, durato due anni e non cinque come si dice, scappava spesso per tornare al villaggio. Portava con sé un sacco di canzoni che interpretava per gli amici. Il nostro testimone racconta che Lounès si comportava con tutti allo stesso modo. Non riservava un trattamento di favore a nessuno. Una volta diventato adulto, era libero e nessuno poteva chiedergli conto delle sue azioni. Era un grande burlone, rideva di tutto, non prendeva la vita sul serio. Non aveva mai paura, né del pericolo né della morte. “Quando gli dici, non bisogna passare per di là, lui risponde: andiamo proprio là!” aggiunge Mustpaha. Poteva comporre una canzone in un niente. Arwah Arwah, uno dei suoi capolavori, l’ha composta a tempo di record. Era a casa con gli amici. Ha cominciato a comporla. Subito dopo il suo gruppo si è esibito al caffè e Lounès ha proposto di suonare l’ultima canzone che aveva composto. Nessuno ci crede, ma è vero.
Per Mustapha è già un miracolo che Lounès sia vissuto fino ai quarantadue anni, perché ha sempre vissuto nel pericolo. Era insensibile al pericolo. Mustapha confida che, all’inizio della sua carriera d’artista, Lounès aveva promesso di non arretrare mai nel suo impegno. “Non pensa alla sua vita. Se non fosse stato per me, non avrebbe neppure costruito questa casa.  Per lui i soldi non hanno importanza. Se entra in un caffè paga per tutti. Distribuisce i suoi soldi tra tutti quelli che ne hanno bisogno. La sua personalità è fatta di carne e sentimento. Quando prende una decisione, puoi insistere quanto vuoi ma non la cambia. Non conosce né la gioia né il dispiacere. Gli piace stuzzicare. Non è mai rancoroso, nonostante la sua franchezza straordinaria”. Per Mustapha, Matoub è morto, il film è terminato.
Per tutti i giovani della Kabylie, parlare di Matoub Lounès, vuol dire parlare anche di Djamila, il suo grande amore che ha immortalato nella sua opera artistica. Matoub Lounès non ha mai smesso di amare in modo straordinario questa donna che cantava continuamente. Anche quando aveva un’altra donna, Djamila ritornava sempre come un leitmotiv. Ivi compreso nel suo album postumo, Lounès non ha dimenticato l’indimenticabile, che ricorda nella canzone patetica: “Iniyd kan (Dimmi solamente)”.
Quando arriviamo a Taourit Moussa, Yuba, la giovane segretaria generale della Fondazione, ci mostra la casa di Djamila, che si può scorgere dalla finestra di quella di Lounès. Esrpimiamo allora il desiderio di parlare con la madre di questa donna che ha tanto segnato l’uomo più popolare della Kabylie. La scopriamo come una donna di una estrema modestia e di una gentilezza rara: “Cosa ha sua figlia di così speciale per avere talmente segnato il destino di Matoub?” le chiediamo. La madre risponde che “Djamila è una donna posata e molto saggia e che non mente mai, in qualsiasi situazione”. Capiamo subito che Matoub cercava nella sua compagna la stessa sincerità che albergava nel suo cuore. L’aveva trovata in Djamila.
“Quando ha conosciuto Djamila, ha detto: non posso sposarmi se non con quella”, ricorda la nostra interlocutrice. Djamila e la sua famiglia vivevano in Francia. Venivano solo per l’estate. Il giorno che la famiglia di Djamila doveva ripartire per Parigi, anche Matoub ha preso l’aereo. Una volta in Francia, è andato da loro. Il primo giorno non ha detto niente. La madre di Djamila, benché intrigata, pensava si trattasse di una visita di cortesia perché ella era mezza parente dell’artista. Poi le visite si sono ripetute. Fino al giorno in cui Lounès si è deciso a parlare: “Voglio sposare tua figlia”, ha buttato lì, guardando Djamila con un sorriso timido. La madre ha risposto che la figlia era già fidanzata. Matoub ha replicato, sicuro di sé: “Non lo sposerà, sarò io quello che sposerà”. Il matrimonio ha avuto luogo nel 1983. Nella cassetta El Vavour, uscita nel 1984, Matoub ha composto una canzone sul suo matrimonio citando per la prima volta pubblicamente il nome di sua moglie, così infrangendo un tabù, e non dei minori, della società kabyle. Djamila che viveva in Francia ha seguito Matoub in Algeria. Come hanno vissuto? Tutti lo sanno, grazie alle canzoni nelle quali racconta con precisione le peripezie della sua vita coniugale come nessun artista lo aveva fatto prima di lui. Quando Matoub è nel suo letto di ospedale, in seguito agli avvenimento dell’ottobre 1988, le cose cambiano. Come lui stesso ha cantato spesso, la pazienza ha dei limiti. Djamila ha ceduto davanti a questa vita fatta di pericoli e rischi continui. Si separano, ma non si dimenticano. Soprattutto Lounès.
Lui non ha mai perso la speranza di tornare con lei. Anche quando lei si è risposata ed anche coi suoi tre figli. Fino all’ultimo minuto della sua vita Matoub ha sempre chiesto di lei. “Mi domandava sempre se sarebbe venuta a passare le vacanze al villaggio. Non nutriva alcun rancore”. Ci dice una parente di Djamilla, che abbiamo incontrato a Taourit Moussa. E aggiunge: “Matoub non ha mai dimenticato Djamila. Quando è stato assassinato, è stato trovato un quadretto con la sua foto dietro l’armadio della sua camera da letto”. Tre giorni prima del suo assassinio, la nostra interlocutrice ci racconta che le aveva chiesto di chiamare Djamila e di passargliela al telefono. Lei ha rifiutato per evitare di creare dei problemi. “Se avessi saputo che sarebbe morto tre giorni dopo, avrei esaudito i suoi desideri. Lo rimpiangerò per tutta la vita”, conclude.

 

Aomar Mohellebiera