Irib.fr, 9 novembre 2014 (trad. ossin)


Che cosa angustia in questi giorni l’Arabia saudita? Tutto!


L’editorialista del Washington Post, Brian Murphy, ha scritto un articolo intitolato: “Che cosa angustia in questi giorni l’Arabia Saudita? Tutto!”. Secondo lui, per calcolare il grado di irritazione dei dirigenti sauditi, occorre misura la rapidità con la quale reagiscono agli avvenimenti


“Quando il re d’Arabia si sente sicuro, occorre attendere a lungo perché emetta un comunicato o il suo entourage commenti gli avvenimenti. Però, mercoledì scorso, le autorità saudite hanno sorprendentemente reso pubblici i particolari relativi all’incendio di un oleodotto della compagnia di Stato Aramco. I responsabili ufficiali hanno precisato che l’incidente è stato provocato da una semplice fuga di materia petrolifera, e che non si trattava di un attentato terrorista”, scrive Murphy. Che aggiunge, però, che in questi giorni i dirigenti sauditi si trovano in uno stato di inquietudine e di angoscia.

Lunedì scorso, degli uomini armati hanno attaccato gli Sciiti sauditi e ne hanno massacrato otto. Sono seguite manifestazioni di protesta in diverse città, che sono costate la vita a due agenti delle forze di sicurezza.

Il portavoce del ministero saudita dell’interno, Mansour al-Torki ha minimizzato, limitandosi a dichiarare che l’attacco era stato realizzato da un Saudita che aveva cooperato all’estero con i “terroristi”. Ma i media hanno approfondito e rivelato che l’attentatore era membro di un gruppo terrorista in Iraq e Siria. Ciò che vuol dire che probabilmente era legato al gruppo terrorista Daech. E’ vero che i componenti dei gruppi terroristi arabi hanno spesso tendenze wahhabite molto spinte, ma considerano anche insopportabili le strettissime relazioni tra il re dell’Arabia e gli Stati Uniti.

Oltre venti persone, tra cui due agenti di polizia, sono state arrestate nell’ambito dell’inchiesta in corso sul massacro di Sciiti a al-Ahsa. La polizia ha sostenuto che tre degli organizzatori dell’attacco sono stati uccisi nel corso di un conflitto a fuoco all’atto dell’arresto. Peraltro più di 50 personalità politiche e religiose dell’Arabia Saudita hanno pubblicato un comunicato comune come risposta al massacro degli Sciiti ad al-Ahsa. In esso si dice che l’azione degli assalitori discende da un’ideologia satanica, mentre – da parte sua – il ministro dell’interno ha osservato che il fanatismo estremista dei gruppi terroristi costituisce una deriva pericolosa dell’islam.

Le autorità saudite hanno avviato, dopo gli avvenimenti dell’11 settembre 2001, una vasta operazione di repressione contro la rete di Al Qaeda e i suoi sostenitori nel Regno. Occorre ricordare che la maggioranza degli autori dell’attentato dell’11 settembre era di nazionalità saudita, come lo stesso capo di Al Qaeda, Osama bin Laden. Ma se le autorità saudite sono oggi in grande ambascia, bisogna cercarne le ragioni altrove.

Esse sentono di essere circondate da ogni lato: dagli jihadisti estremisti, dai paesi occidentali e dai loro alleati, dall’Iran e i suoi luogotenenti… Il governo saudita ha ufficialmente condannato Daech e gli altri gruppi terroristi in Siria legati ad Al Qaeda, come il Fronte al Nosra. Sanno però che alcuni gruppi non governativi nel Regno e nei paesi arabi del sud del Golfo Persico sostengono finanziariamente i gruppi terroristi, come il Fronte al Nosra. Le autorità saudite condannano pubblicamente questi donatori, ma non fanno praticamente niente per impedire loro di inviare denaro ai gruppi terroristi.

Nella lista delle priorità delle autorità saudite, il rovesciamento del governo del presidente siriano Bachar al Assad occupa un posto assai più importante. Ritengono che il rovesciamento del governo di Assad, che è un alleato stretto dell’Iran, permetterebbe all’Arabia Saudita e agli altri paesi sunniti di accrescere la loro influenza regionale e indebolire il rivale regionale di Riyadh, vale a dire l’Iran. Ma qui le cose sembrano complicarsi considerevolmente. L’Iran è il nemico numero uno di Daech, che considera lo sciismo come un’eresia. Ma in Iraq, i paramilitari sciiti che sono assai vicini all’Iran stanno combattendo la guerra contro Daech. I responsabili statunitensi non hanno troppo protestato contro la massiccia mobilitazione di combattenti sostenuta dall’Iran, perché al momento Washington si preoccupa soprattutto di fare la guerra a Daech. E’ in questo senso che il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha scritto una lettera al leader della Repubblica islamica dell’Iran, l’ayatollah Khamenei, per proporre un’azione comune contro i terroristi.

Secondo l’autore dell’articolo sul Washington Post, i Sauditi non sono soddisfatti di tutto questo. I dirigenti di Riyadh, che sono alleati senza condizione degli Stati Uniti puntavano sulla prosecuzione della guerra fredda tra l’Iran e gli Stati Uniti, non come una variabile ma piuttosto come una costante della politica regionale. I Sauditi pensavano lo stesso a proposito del regno “permanente” dell’ex presidente egiziano Hosni Mubarak al Cairo. Ma la Primavera araba ha spazzato via i sogni dei dirigenti sauditi che hanno imparato una lezione molto importante: l’alleanza con Washington non garantisce la sopravvivenza dei regimi arabi. Non possono nemmeno più contare sul potere del petrolio, in quanto gli Stati Uniti hanno considerevolmente aumentato la loro produzione petrolifera e cominciano ad esercitare la loro influenza sull’OPEP.

In questo contesto, l’Arabia Saudita è alla ricerca di strategie alternative. Tentando di ridurre i prezzi del petrolio sui mercati mondiali, vuole intralciare la produzione di gas scisto negli Stati Uniti e distruggerne la competitività. Nello stesso tempo i responsabili della sicurezza dell’Arabia Saudita hanno avviato discussioni coi dirigenti dei paesi arabi del sud del golfo Persico e dell’Egitto, per creare una forza militare comune, come una specie di NATO araba, per entrare in azione contro l’estremismo nel mondo arabo e fare una dimostrazione di forza nei confronti dell’Iran.    


 

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