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Middle East Eye, 31 luglio 2017 (trad. ossin)
 
Arabia Saudita: guerra civile all'orizzonte
Middle East Eye (*)
 
Di fronte a scelte politiche irresponsabili, un crescente numero di cittadini sauditi e lavoratori stranieri si trova in condizioni di disagio economico senza precedenti. Non manterranno a lungo la calma
 
 
Gedda, una città saudita dinamica, centro economico del paese? Ebbene, oggi non più. In questi giorni assomiglia un po’ ad una città fantasma. Le cose non sembrano tanto affascinanti e promettenti come prima.
 
Non è tuttavia una situazione che riguarda solo questa città. Le imprese di tutto il paese trovano difficoltà a rispettare i loro impegni finanziari. Che comprendono i costi fissi e operativi come i salari e i canoni di locazione, ma anche le imposte e le sempre crescenti richieste del governo.
 
Il mercato del lavoro
 
Il governo considera gli stranieri che lavorano nel paese come una fonte legittima di estrazione continua di reddito. Secondo un rapporto della Banca saudita Fransi, pubblicato in luglio e ripreso dai media sauditi, si stima in 11,7 milioni il numero di stranieri in Arabia Saudita, 7,4 milioni dei quali sono lavoratori, mentre i 4,3 milioni restanti sono accompagnatori.
 
Dal 1°luglio, sono operative nuove tasse applicate a questi accompagnatori, sul rinnovo della carta di identità, un permesso di soggiorno da rinnovare ogni anno. Sono oramai costretti a pagare  100 riyal (all’incirca 23 euro) al mese. Nel 2020, secondo la banca, questa tassa salirà a 400 riyal (all’incirca 91 euro) e dovrà generare 20 miliardi di dollari di entrate per le case pubbliche.
 
Sembra che gli esponenti dei circoli decisionali non siano in grado di guardare al di là del valore nominale delle loro iniziative. Certo, queste nuove tasse possono generare entrate dirette, ma distruggeranno anche l’imprenditorialità del paese e le sue piccole e medie imprese. Queste funzionano con budget e risorse molto limitate. Quindi, invece di sostenere questo settore già in difficoltà, i nuovi regolamenti lo metteranno ancora più sotto pressione.
 
E’ per questo che molti imprenditori hanno reagito trasferendo il carico di queste nuove tasse sui dipendenti. Di conseguenza, la grande maggioranza dei lavoratori stranieri deve adesso pagare queste nuove tasse col suo salario. Invece di pagare, decine di migliaia di lavoratori stranieri hanno abbandonato il paese nelle settimane successive all’entrata in vigore della legge e altri seguiranno.
 
Un cambiavalute saudita nel suo ufficio (Reuters)
 
Di conseguenza, il mercato del lavoro si riduce di giorno in giorno mentre i costi del lavoro e dei servizi crescono. Anche i prezzi di molti beni e servizi forniti dalle imprese interessate da questo fenomeno aumenteranno.
 
Tenete presente che tutto questo accade in una economia già di per sé in decrescita.
 
Il potere di acquisto saudita
 
Queste pressioni crescenti ed eccessive sulle piccole e medie industrie spingono molte di loro verso il fallimento, in un momento in cui il potere di acquisto dei Sauditi si trova già al livello più basso da decenni a questa parte e continua a diminuire.
 
In un rapporto del 2016 della National Commerical Bank, con sede a Gedda, si legge che, a febbraio 2015, «il contante è diminuito del 13,3 % [rispetto all’anno precedente], il valore delle transazioni di vendita si è ridotto del 9,0 % in un anno, la diminuzione più forte registrata dal 2009».
 
Si aggiunge: «Pensiamo che la riduzione del reddito disponibile, provocata dall’aumento dei prezzi di energia e acqua, oltre alle conseguenze negative dei ribassi in borsa, contribuiranno alla riduzione delle spese per i consumi [...]. »
 
Il rapporto segnala anche che il totale dei depositi nel sistema bancario saudita è aumentato dell’1,9 % nel 2015, « il valore più basso dopo la Guerra del Golfo ».
 
« Le banche saudite contano soprattutto sui depositi per espandere i loro bilanci ed estendere le linee di credito ai settori privato e pubblico. Pertanto le richieste totali al sistema bancario, compresi i buoni del Tesoro e le obbligazioni di Stato, sono diminuite dell’8,9 % nel 2015 [rispetto all’anno precedente] », afferma il rapporto.
 
Da notare che questo rapporto è stato pubblicato nel 2016, quando non era ancora entrata in vigore la maggior parte delle nuove tasse su acqua e energia. Quando il loro impatto comincerà a sentirsi, quest’anno e all’inizio del prossimo, le piccole e medie imprese – che rappresentano quasi il 90% dell’imprenditorialità saudita – saranno probabilmente ancora più danneggiate.
 
Mendicanti per strada a Riyadh nel 2014 (AFP)
 
L’economia saudita non ha ancora toccato il fondo. Le cose possono ancora peggiorare. Per esempio, corre voce che il governo, dopo avere bloccato le assunzioni nel settore pubblico, penserebbe seriamente di licenziare decine di migliaia di dipendenti pubblici.
 
Così, oltre all’impatto psicologico e finanziario provocato da questa decrescita grave e improvvisa, ancora più famiglie si troveranno in condizione di povertà, a causa della disoccupazione di massa.
 
Gli sprechi del governo
 
La popolazione in Arabia Saudita non sembra più considerare il governo come parte della soluzione. Al contrario si sente tradita. L’impegno, intenso e improvviso, del governo nel prosciugare l’economia ne mette in discussione la sua legittimità. Il governo saudita si trova oggi di fronte ad una grave crisi di credibilità che richiederà un lavoro importante nei prossimi mesi e i prossimi anni per essere superata.
 
L’impopolarità e il rifiuto generalizzato di « Vision 2030 » – il programma di riforme economiche avviato l’anno scorso da Mohammed ben Salman – ne sono un esempio. I Sauditi sono posti di fronte ad una realtà crudele e inattesa e sono sconcertati nel vedere che il loro governo – che dovrebbe tutelare i loro interessi – si comporta invece in modo piuttosto strano e irresponsabile, nel bel mezzo di una crisi economica e di una guerra di usura in Yemen.
 
Mohammed ben Salman, ministro della Difesa e, all'epoca, vice-principe ereditario, dà una conferenza stampa sul progetto « Vision 2030 », a Riyadh nell'aprile 2016 (AFP)
 
Durante la recente visita del presidente USA Donald Trump nel regno, il governo ha firmato accordi del valore di 350 miliardi di dollari in dieci anni, contratti che il pubblico saudita ha in larga parte percepito come umilianti. Il governo si è impegnato per ulteriori contratti in futuro. Ha anche fornito al governo egiziano di Abdel Fattah al-Sissi miliardi di dollari in carburante, contanti e altre sovvenzioni.
 
La rabbia monta e nessuno sa quando raggiungerà il punto critico. Sempre più irritato da questi sprechi del governo, il pubblico vorrebbe che piuttosto venissero finanziate iniziative nazionali indispensabili, in campo sanitario, edilizio e di lotta alla disoccupazione.
 
Caos all’interno
 
Nel bel mezzo di tutto questo disordine, I dirigenti sauditi continuano a comportarsi da conquistatori nella loro stessa nazione. Trovano motivi di orgoglio nel tenere il regno sotto controllo con la spada (al-sawf al-amlah).
 
E’ una monarchia assoluta che non ammette il dissenso dalle opinioni o posizioni ufficiali – nemmeno di esprimere simpatia nei confronti di una causa che il governo non approva o di un paese che non apprezza, come il Qatar.
 
Per esempio, se un cittadino saudita viene riconosciuto colpevole di avere   simpatizzato con la posizione dello Stato qatariano nel recente conflitto diplomatico, rischia una pena che può arrivare fino a quindici anni di reclusione e una multa che può toccare il mezzo milione di dollari. Quale regime dotato di senno considererebbe una simile espressione politica o forma di solidarietà come un crimine da punire in modo così duro?
 
Evidentemente questa legge ha suscitato un’ondata di derisione in tutte le piattaforme e reti sociali. Ma il fatto è che il governo è disconnesso dalla realtà e non riesce a sentire fino a qual punto il popolo sia frustrato dai suoi atteggiamenti e comportamenti.
 
 Inoltre il governo ha emarginato le sub-culture locali di tutte le regioni del regno, ad eccezione di quella del Nejd, da dove proviene la famiglia el-Saud. Ha abolito gli abiti tradizionali regionali e costretto tutti a adottare l’abito nejdi come uniforme ufficiale dello Stato.
 
I funzionari sauditi devono uniformarsi a questo codice di abbigliamento nazionale e non possono portare I loro abiti regionali locali nel luogo di lavoro. I Sauditi devono portare l’abito « nejdi » ufficiale anche quando fanno le foto per la carta di identità e il passaporto, altrimenti questi documenti non vengono rilasciati.
 
Pensate: la gente non può portare l’abito tradizionale regionale, per esempio, delle regioni dell’Asir o del Hedjaz (nella foto a destra), ma deve portare l’abito della famiglia vittoriosa. Così si tratta un nemico battuto, non il proprio popolo.
 
Scenario di guerra civile
 
Oramai, perché scoppi una guerra civile basta solo una scintilla. Io non sto certo promuovendo la sua esplosione. Al contrario, quanto scrivo è un appello a svegliarsi.
 
« Quale è la contraddizione esplosiva qui ? », qualcuno potrebbe chiedere. Le difficoltà economiche non sono necessariamente il fattore determinante perché la gente si ribelli al suo governo. Paesi che si trovano in una situazione economica peggiore di quella dell’Arabia Saudita si contano a decine, se non a centinaia. Guardate l’Africa subsahariana, l’America Latina o tanti altro posti in cui governi autoritari continuano ad esserci nonostante le pessime condizioni economiche.
 
Ebbene in Arabia Saudita le cose sono leggermente diverse. Immaginate di avere una casa familiare che avete potuto comprare solo dopo anni di duro lavoro. Ci vivete da generazioni e, di colpo, rischiate di perderla. Cosa provereste – o cosa proverebbe chiunque altro?
 
Immaginate la delusione: la vostra famiglia cade in miseria e perde il suo tetto mentre da decenni si era abituata all’idea di essersi messa al sicuro. E’ facile immaginare che questo potrebbe spingere qualcuno alla follia o anche al suicidio, mentre altri dovrebbero ripartire da zero.
 
Per la società saudita nel suo insieme, però, questo può significare una sola cosa: una rivoluzione. Quando la gente perde tutto quello che ha, l’unica risposta è gettare tutta la loro frustrazione in piazza.
 
Abito tradizionale della regione di Jizan (Wikicommons)
 
A parte l’improvviso impoverimento, l’altra differenza dell’Arabia Saudita sta nel fatto che i poveri del regno e, nella gran parte, il resto della popolazione si concentrano nelle città. Mancano quindi le difficoltà strutturali ad una mobilitazione efficace che hanno altri poveri in altri paesi del terzo mondo.
 
Proprio come hanno dimostrato i Tunisini e gli Egiziani poveri nelle loro rivoluzioni, i Sauditi poveri possono contare su una solida infrastruttura di comunicazione, sono ben connessi geograficamente e dunque possono facilmente raggrupparsi e organizzarsi.
 
Un altro fattore importante sta nel ruolo che hanno sempre avuto i soldi nella politica saudita, da sempre uno strumento utilizzato per accrescere influenza e promuovere la stabilità grazie ad una spesa pubblica creatrice di posti di lavoro e opere edili. La crisi di liquidità sarà dunque un ulteriore fonte di destabilizzazione nel regno nel prossimo futuro.
 
I fattori socioeconomici ci sono tutti. L’attività economica si riduce. I maltrattamenti inflitti dal governo alla popolazione, in materia di diritti identitari e altre libertà, accelerano la corsa verso il peggio. L’effetto combinato di tutti questi fattori non può che crescere nel corso del tempo, fino a sfociare in una rivoluzione.
 
Basterà che qualche migliaio di persone esprima la loro rabbia in piazza, perché le forze di sicurezza intervengano brutalmente, e che la situazione scivoli verso quello che si può definire la fase iniziale di una guerra civile.
 
Pensate alla Libia e alla Siria. Nel corso della Primavera araba, le dittature brutali di questi due paesi hanno reagito con forza eccessiva alle manifestazioni popolari che chiedevano un cambio di regime. Questo provoca di solito una disobbedienza di una parte delle forze di sicurezza e, col tempo, anche defezioni. E’ così che è stato creato l’Esercito siriano libero.
 
Se questo accade, il paese è aperto a ingerenze straniere. Insomma sarebbe molto più giudizioso per il governo saudita agire subito e contenere la rabbia prima che esploda.
 
Le implicazioni politiche
 
La sola via di uscita per il governo è l’apertura politica. Non si tratta solo di una scelta etica, ma sempre di più una strategia di sopravvivenza politica.
 
E’ necessario creare un legislatore aperto, trasparente, efficace ed eletto per una distribuzione politica delle responsabilità. I cittadini, essendo elettori, avranno la loro parte di responsabilità, proprio come i loro rappresentanti, nella formazione e realizzazione delle politiche. Ciò dovrebbe attenuare alcune pressioni e tensioni interne che il governo saudita deve oggi fronteggiare.
 
Inoltre il governo deve consentire la libera espressione. Non si tratta solo di un diritto umano, ma anche di un bisogno umano. Sul piano psicologico, gli individui hanno bisogno sempre di potersi esprimere liberamente e si sentono naturalmente sollevati quando lo fanno. Potendo dire la loro nelle materie di interesse pubblico, si sentono importanti e considerati. Ciò avrebbe il vantaggio supplementare di dare al pubblico una impressione nuova e positiva che il governo si occupa finalmente dei problemi più importanti, e non solo di controllare le sue parole.
 
L’Arabia Saudita vive una fase determinante della sua storia. Essa può ammodernarsi e sopravvivere, o resistere e morire. L’ammodernamento economico è impossibile se disgiunto da meccanismi di controllo pubblico e di responsabilizzazione giacché, quando si opera nell’ombra, le spinte alla corruzione e alla cattiva gestione prevalgono sull’interesse pubblico.
 
In momenti come questi, quando le finanze del paese sono al limite, una maggiore inclusione del pubblico nel processo decisionale non è più un lusso, ma una necessità se i leader intendono contenere la rabbia del pubblico e cogliere un’opportunità.
 
I fattori socioeconomici alimentano l’ostilità verso il governo. Il rimedio è il buon governo. Ogni ritardo nella messa in opera di questo « rimedio » renderà solo inevitabile lo scenario catastrofico.
 
(*) Non divulghiamo l'identità dell'autore, che è evidentemente un Saudita che vive nel suo paese, per non esporlo a rischi