ProfileIntervento, agosto 2017 - Le Procure sono oggi la principale agenzia di stampa del Paese. Sono le conferenze stampa che seguono ogni operazione a riempire i giornali, a condannare e assolvere (in luogo di sentenze che nessuno conoscerà mai), talvolta a fare e disfare governi, a dettare in qualche modo l’agenda politica del Paese (nella foto, l'insediamento del nuovo Procuratore di Napoli)

 

 
 
Rapporto tra magistratura e politica C’è bisogno di un equilibrio più alto
 
La politica delle Procure
Nicola Quatrano
 
L'insediamento del nuovo Procuratore di Napoli
 
Finalmente il Csm ha nominato il nuovo Procuratore di Napoli, dopo oltre cinque mesi dal pensionamento di Giovanni Colangelo, che pure non era stato un evento improvviso o imprevisto. Che fretta c’era, si potrebbe dire. Se l’organo di autogoverno della magistratura non ha sentito l’impellente necessità di dare un capo alla Procura di Napoli durante i convulsi momenti dello «scontro» con Roma sul caso Consip, o durante l’emergenza incendi, avrebbe ben potuto aspettare settembre, o anche ottobre, o Natale di qualche anno a venire.
 
Ma il Csm funziona secondo disegni che, divini o meno, sono imperscrutabili ai comuni mortali. I maligni parlano di «spartizione», i suoi membri — a mezza voce — preferiscono l’espressione «pacchetto», che è una specie di accordo win win tra le varie componenti e sottocomponenti, che riesce alla fine ad essere soddisfacente per tutti.
 
Comunque sia, alla fine sono riusciti a nominare il Procuratore e la cosa non può non farci piacere. Peraltro Giovanni Melillo è un magistrato preparato e di esperienza, ed è senz’altro in grado di svolgere una funzione che diventa sempre più complicata. Interessanti sono però i caratteri inediti e, perché no, paradossali di questa vicenda. Un’elezione che ha spaccato e contrapposto, in termini forse mai visti prima, famiglie correntizie e vincoli di colleganza su un solo tema: quello del precedente incarico di Giovanni Melillo come capo di gabinetto del guardasigilli Orlando.
 
E ha diviso anche i magistrati. Bastava scorrere le loro chat nel corso di questi lunghi mesi, per capire che il problema non era lo specifico valore professionale dei due concorrenti. Che è più o meno equivalente: se Federico Cafiero de Raho può vantare l’impegno contro i Casalesi nel processo Spartacus, Giovanni Melillo ha collaborato alle indagini nate dal pentimento di Pasquale Galasso sulla camorra vesuviana e le sue collusioni politiche, anche ad altissimi livelli. Quello che una parte di magistrati sembrava non riuscire a digerire era la provenienza di Melillo (senza adeguata quarantena) dal ministero. Insomma il rapporto con la politica, per quanto molto sui generis e strettamente intrecciato ai temi dell’organizzazione giudiziaria.
 
Il paradosso sta nel fatto che tanto timore verso il virus della politica va di pari passo con la progressiva assunzione, da parte delle Procure, di ruoli e rilievi sempre più schiettamente politici. Le indagini e i loro tempi, certo, ma anche il fatto che le Procure costituiscono oggi la principale agenzia di stampa del Paese. Non solo per le (frequenti) fughe di notizie, quanto per le conferenze stampa che seguono ogni operazione. Sono queste oramai a riempire i giornali, a condannare e assolvere (in luogo di sentenze che nessuno conoscerà mai), talvolta a fare e disfare governi, a dettare in qualche modo l’agenda politica del Paese.
 
La diffidenza dei magistrati rischia allora di non essere tanto rivolta verso la «politica» (che non è facile tenere distinta dall’esercizio dell’azione penale), quanto piuttosto verso la «politica» dei «politici». O magari questo tenersene ostentatamente lontani può essere anche maliziosamente letta come una sorta di foglia di fico, un tentativo estremo di dissimulare la realtà di Procure che sono parte di quello «Stato profondo» che detta le linee di governo, oltre e a prescindere dalle mutevoli maggioranze parlamentari.
 
A mio parere è un atteggiamento doppiamente pericoloso, perché tende a negare l’ampia discrezionalità che caratterizza il potere giudiziario, presentandolo quasi come pura tecnica giuridica, indifferente al contesto e alle conseguenze. E perché suggerisce una falsa alternativa: quella tra procure «cattive» che subiscono il condizionamento dei «politici», e procure «buone» che fanno «politica» in proprio. Io credo che la questione del rapporto tra giustizia e «politica» meriterebbe la ricerca di un punto di equilibrio più alto. Personalmente sono un fautore del procuratore eletto dal popolo, mi sembra un corollario del sistema accusatorio di ispirazione anglosassone.
 
Nell’attesa (che potrebbe essere eterna), credo che un buon capo debba oggi porsi seriamente il problema degli effetti enormi e terribili che l’iniziativa penale può avere sulla vita delle persone, e anche sugli assetti istituzionali del Paese. E, pur se politicamente irresponsabile, debba proporsi di usare il massimo di equilibrio e prudenza, coltivando la trasparenza piuttosto che logiche corporative. Giovanni Melillo ha alle spalle una ricca e molteplice esperienza, e questo lo ha dotato di una visione non limitata e settoriale. È quindi perfettamente in grado di ricercare il delicato punto di equilibrio su cui oggi deve poggiare l’azione delle Procure. Ci aspettiamo, e ci auguriamo, che faccia tesoro del suo savoir faire , acquisito anche alla Presidenza della Repubblica e al Ministero, e riesca a dirigere l’ufficio con saggezza, prudenza e buon senso.
 
Con questi auspici gli rivolgiamo i migliori auguri di buon lavoro.
 
 
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