A proposito delle elezioni statunitensi di mid-term
Eric Denécé
 
Il presidente Donald Trump, il prevedibile vincitore delle prossime elezioni di mid-term 

1.  I sondaggi e gli Early Votes sono molto favorevoli ai Repubblicani – quindi a Donald Trump – che crescono di un 10% nelle intenzioni di voto, stando ai sondaggi più recenti, e passano dal 35 al 45%. La logica secondo cui queste elezioni di metà mandato (rinnovo della metà del Senato e della Camera dei Rappresentanti) avrebbe dovuto provocare un maremoto democratico sembra rovesciarsi.
 
2. Il contesto è infatti favorevole ai Repubblicani: i dati dell’economia e dell’occupazione sono buoni, sono anche riusciti a far nominare il « loro » giudice alla Corte Suprema, e la vicenda del prossimo arrivo in massa di migranti dall’Honduras fa il loro gioco, perché è un argomento al quale il loro elettorato è particolarmente sensibile e dovrebbe molto mobilitarlo.
 
3. Dall’arrivo al potere di Donald Trump due anni fa, i Democratici non hanno fatto altro che confezionare un discorso aggressivo e rancoroso nei suoi confronti. Il partito di Barack Obama e Hillary Clinton non fa più politica, non propone più soluzioni: vive una diatriba permanente. Peggio ancora, con l’aiuto di George Soros, il loro maggiore finanziatore, hanno incessantemente finanziato movimenti – a volte violenti come gli Anti-Fa – ostili a Trump e al suo elettorato, che accusano di populismo e di estremismo. Questo discorso rancoroso è stato ripreso dai grandi media statunitensi, quasi tutti vicini ai Democratici, e ha contribuito a invelenire ancora di più il clima interno. Ma tutto questo non piace per niente a una grande parte dell’elettorato democratico, che non approva questa strategia di costante provocazione e non riconosce più il suo partito.
 
4. Una parte dell’elettorato repubblicano, in particolare la frangia più a destra, si è radicalizzato di fronte a tali atteggiamenti, ed è quello che probabilmente volevano i Democratici, che adesso possono affermare a posteriori che avevano ragione. E’ questa radicalizzazione che potrebbe spiegare i pacchi esplosivi spediti a Soros, Obama e Trump. E’ tuttavia legittimo interrogarsi sulla vera origine di simili azioni, tanto esse intervengono al momento giusto per far passare i Democratici come vittime di una destra estrema vicina a Trump. Il «caso» fa produce troppe cose a due settimane da elezioni i cui esiti sono più che incerti per questo partito.
 
5. La minaccia di possibili interferenze russe in queste elezioni viene fuori ancora una volta, e ancora una volta a opera dei media vicini ai Democratici. Se la guerra cibernetica che vede fronteggiarsi la Russia e l’Occidente è una realtà, essa non dovrebbe però avere alcun impatto sugli elettori statunitensi, che sembrano assolutamente in grado di distinguere tra realtà e propaganda politica. Lo stesso vale per il recente caso saudita (assassinio del giornalista Khassogi per ordine di Riyad) e l’ambigua reazione di Trump non dovrebbe avere effetti sulle prossime elezioni.
 
6. Alla vigilia di un’elezione dagli esiti incerti, la grande questione è di capire quale sarà la reazione dei membri dell’establishment del Partito Democratico e dei media mainstream che lo sostengono in caso di sconfitta. Andranno avanti con la stessa strategia di non riconoscere il voto espresso dal corpo elettorale statunitense, continuando coi loro attacchi sistematici, grossolani e rancorosi contro Donald Trump? Cambieranno atteggiamento? Si tratta di una posta estremamente importante per la democrazia USA, il cui malfunzionamento è evidente da qualche anno.
 
 
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