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 Siria, agosto 2011 - “La vicenda di Hama “, e di come 10.000 manifestanti diventano 500.000 nei dispacci dell’Agenzia France Press... Una testimonianza sulla situazione del paese del prof. Pierre Piccinin, di ritorno dalla Siria (nella foto, una manifestazione a Damasco)








Le Grand Soir – 2 agosto 2011


Siria – Menzogne e manipolazioni
Pierre Piccinin (*)

“La vicenda di Hama “, e di come 10.000 manifestanti diventano 500.000 nei dispacci dell’Agenzia France Press


Nel mese di luglio 2011, sono andato in Siria per verificare una ipotesi relativa alle origini delle manifestazioni


Ho potuto circolare in piena libertà e indipendenza per tutto il paese, da Deraa a Damasco e da Damasco ad Aleppo, attraversando tutto il Djebel druso, a sud, passando per Homs, Hama, Maarat-an-Nouman, Jrs-al-Shungur, costeggiando la frontiera turca e ispezionando i punti di passaggio verso la Turchia, attraverso i quali, come si sa, i rifugiati hanno lasciato la Siria, poi da Aleppo a Deir-ez-Zor, nell’est del paese, attraversando il deserto siriano e seguendo diversi itinerari…


Ho così potuto verificare che, da un lato, il movimento venuto fuori dalla società civile che aspira alla democratizzazione del regime si è indebolito e che, dall’altro, esistono altre frange di opposizione, talvolta violente, i cui obiettivi non sono identici a quelli dei democratici pacifici.


E’ soprattutto il caso della frazione islamista della comunità sunnita, organizzata intorno ai Fratelli Mussulmani, che agognano l’istaurazione di una repubblica islamica in Siria, cosa che terrorizza i Cristiani e la maggior parte delle altre minoranze, per questo favorevoli al mantenimento dello status quo attuale e al partito Baath, garante della laicità dello Stato


Ma, oltre a questa verifica della mia ipotesi, mi sono dovuto confrontare, de facto, anche con una constatazione che mi ha stupefatto, dal momento che mi aspettavo di trovare un paese in fase rivoluzionaria: l’immagine della Siria proposta dai media occidentali, l’immagine di un paese in pieno caos, scosso da manifestazioni gigantesche di diverse centinaia di migliaia di persone, non corrisponde affatto alla realtà che si osserva sul campo.


Infatti, già minoritaria in origine, la contestazione democratica dell’inizio, si è progressivamente indebolita, soprattutto a causa della repressione del governo, ed è oggi confinata a qualche quartiere periferico delle grandi città, dove episodicamente si riuniscono solo un qualche centinaio di persone, talvolta qualche migliaio, il più sovente di venerdì, all’uscita dalle moschee, non senza una certa influenza islamista, molto presente nei quartieri più poveri. Queste manifestazioni hanno modesti effetti sul regime.


Oltre a questo movimento democratico, la contestazione si manifesta anche nell’azione di bande armate, soprattutto a Homs, nelle forme di una guerriglia urbana, della quale è assai difficile stabilire origine e obiettivi.  Questi giovani, a volto coperto e violenti, poco numerosi, non costituiscono tuttavia una reale minaccia per il governo.


Per contro una contestazione più ampia è presente ad Hama, feudo dei Fratelli Mussulmani, la sola città della Siria, praticamente in stato di assedio, dove ancora si svolgono grandi manifestazioni.


Hama era stata il centro di una violenta rivolta, nel 1982, che era stata schiacciata da Hafez al-Assad, il padre dell’attuale presidente, Bashar al-Assad. Il bilancio della repressione era stato calcolato tra i dieci e i quarantamila morti.


Quando è cominciata la contestazione, nello scorso febbraio, i Fratelli Mussulmani hanno rilanciato il loro movimento ad Hama e il regime, temendo una insurrezione simile a quella del 1982, ha immediatamente aperto il fuoco contro un movimento che, questa volta, si è rivelato, allo stato, essere non-violento (almeno ad Hama).


Gli abitanti di Hama hanno quindi fortificato i luoghi di ingresso nella città, dalla quale l’esercito si è attualmente ritirato e che ha circondato con blindati pronti a intervenire in caso di sommossa. Il governo ha quindi evidentemente scelto di evitare il bagno di sangue, per timore della reazione della comunità internazionale e, siccome la contestazione si andava spegnendo dappertutto altrove, ha atteso che si spegnesse da sola.


Venerdì 15 luglio sono entrato ad Hama, senza essere fermato ai blocchi stradali. Nella città, deserta, regna il caos: auto ed autocarri bruciati, macerie, strade chiuse da barricate di fortuna, spazzatura non raccolta… L’ordine è mantenuto da gruppi di giovani in moto che percorrono in lungo e in largo i boulevard.


Subito sono stato circondato da questi giovani, allarmati dal fatto che scattavo delle foto. Quando ho mostrato loro il mio passaporto belga, la tensione è calata: “Belga! Belga!”; unico osservatore straniero sul campo (il regime impedisce ai giornalisti di entrare nel paese), sono stato scortato da questi giovani che mi hanno festeggiato; ho potuto mescolarmi ai manifestanti, poi salire su di un palazzo alto, dal quale ho scattato delle foto.


Sulla piazza Asidi, in fondo alla grande avenue al-Alhamein, terminata la preghiera, migliaia di persone sono uscite dalle moschee e sono spuntate da tutti i quartieri della città. Al grido di “Allah Akbar” (Allah è grande), hanno lanciato invettive contro il regime. “Volete Bashar?”; “No!”. Un lungo corteo ha fatto poi il giro della piazza, dispiegando una bandiera siriana di diverse decine di metri. L’esercito non è intervenuto: non vi è stata violenza. Ho avuto poi l’opportunità di parlare con questi giovani, che mi hanno chiesto di rendere testimonianza del loro movimento.


La sera stessa, rientrato nella mia camera d’albergo, quale è stata la mia sorpresa nel leggere il dispaccio dell’AFP, che annunciava un milione di manifestanti in tutta la Siria, questo 15 luglio, considerata come la giornata di più forte mobilitazione dopo l’inizio della contestazione, 500.000 dei quali ad Hama.


Ad Hama in realtà non erano più di 10.000.


Questa “informazione” è d’altra parte tanto più assurda se si consideri che la città conta in tutto 370.000 abitanti. Sono seguiti altri dispacci, tutti assurdi: 450.000, poi 650.000 manifestanti a Deir ez-Zor, una città di 240.000 abitanti. Vi sono stato; la città è una delle più calme del paese.


Naturalmente le cifre sono sempre differenti, a seconda delle fonti; variano talvolta molto sensibilmente; e le stime non sono sempre facili.


Ma in questo caso non si tratta di stime difficili o variabili; in questo caso di tratta di “bufale”, di disinformazione, di propaganda. 500.000 manifestanti possono mettere in difficoltà il regime, 10.000 non creano problemi.


E tutte le “informazioni” divulgate sulla Siria in questi mesi sono dello stesso tipo.


Come è possibile che 10.000 manifestanti abbiano potuto miracolosamente moltiplicarsi in 500.000 nei dispacci della AFP?


La fonte dell’AFP? Quella che ritorna sistematicamente da mesi in tutti i media. Quella che è diventata, poco a poco, quasi la sola fonte sugli avvenimenti che riguardano la Siria. E’ l’Osservatorio siriano dei diritti dell’uomo (OSDH).


Io mi sono subito interessato a questo OSDH. Non mi ci è voluto molto per scoprire che, dietro questa sigla all’apparenza onorevole, al pari di associazioni come Amnesty International o la Lega per i diritti dell’uomo, si nasconde una organizzazione politica, con sede a Londra, il cui presidente, Rami Abdel Ramane, oppositore di lunga data del regime baathista, è conosciutissimo in Siria, dove sono noti i rapporti stretti che intrattiene con i Fratelli Mussulmani, di cui sarebbe egli stesso membro.


E’ sempre questa organizzazione, l’OSDH, che moltiplica i video su Youtube, mostrando “decine di migliaia di manifestanti” in tutte le grandi città della Siria, mentre, se si guarda bene i video, si vede solo qualche decina di persone, riprese a distanza ravvicinata, che sicuramente danno una impressione di massa, ma non sono tali da ingannare un occhio critico.


Così da molti mesi i media diffondono a proposito della Siria una realtà immaginaria, una realtà rivista e corretta da un’unica fonte, sulla quale nessuno, sembra, ritiene utile interrogarsi.


Questa immagine di una Siria in piena rivoluzione e di un partito Baath sull’orlo del baratro non corrisponde in alcun modo alla realtà sul campo, dove il Potere controlla la situazione e la contestazione è grandemente scemata.


Ma, al di là di questa disinformazione relativa al caso siriano, vi è qualcosa di più grave: in termini generali, le lezioni di Timisoara, della Guerra del Golfo o dei fatti di Yugoslavia non sono sempre servite. E i media, anche i più affidabili, continuano a cadere nella trappola di dispacci affrettati, senza preoccuparsi di verificarne prima né il contenuto né la fonte, a rischio di propinare ai loro lettori una realtà virtuale e di costruire per loro un mondo immaginario…


(*) professore di storia e di scienze politiche (di ritorno dalla Siria)