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ProfileCrisi siriana, febbraio 2017 - La Siria è attualmente divisa in diverse zone, ciascuna controllata dal governo, o dalle forze curde, o dalle ribellioni e Daesh. Non c’è alcuna possibilità di tornare alla situazione di prima, salvo «inventando» uno pseudo Stato federale (nella foto, Hachem al-Cheikh)

 

Cf2R (Centre Français de Recherche sur le Renseignement), 16 febbraio 2017 (trad. ossin)
 
Siria: Ricomposizione della ribellione nella provincia di Idlib
Alain Rodier
 
Le forze governative siriane, appoggiate dagli alleati russi e iraniani, hanno provocato un vero terremoto tra le forze ribelli, riconquistando la totalità della città di Aleppo. La battaglia, iniziata nel 2012, si è conclusa nel dicembre 2016 e ha provocato molte vittime, compresi i civili rimasti uccisi in entrambi i campi. Contemporaneamente, le forze governative hanno mantenuto inalterata la pressione sulla provincia di Idlib – situata a nord-est del paese e a sud-ovest di Aleppo – regione diventata un bastione dell’opposizione armata (diversa da Daesh) da marzo 2015. Molti combattenti ribelli e le loro famiglie, che si trovavano ad Aleppo (ma anche precedentemente nella regione di Damasco), sono stati trasferiti dalle forze governative verso questa provincia. La cosa è stata negoziata sotto l’egida di Mosca: i ribelli hanno accettato di lasciare le zone che controllavano e di abbandonarvi le armi pesanti, in cambio di un trasferimento in sicurezza a Idlib. Sono stati perfino autorizzati a conservare le armi personali, una maniera per loro di salvare la faccia.
 
Hachem al-Cheikh alias Abou Jaber, ex leader di Ahrar al-Cham, capo della coalizione Hayat Tahrir al-Cham 

Ma questa disfatta che non dice il suo nome ha considerevolmente accentuato le divisioni che esistevano tra i diversi gruppi dell’opposizione armata presenti nella provincia di Idlib. Oramai questa opposizione si divide manifestamente in due blocchi distinti: da una parte Hayat Tahrir Al-Cham (Organizzazione per la liberazione della Siria/HTS); dall’altra Ahrar al-Cham.
 
Hayat Tahrir Al-Cham (Organizzazione per la liberazione della Siria/HTS)
 
Il Fatah Al-Cham (o Jabhat Fatah Al-Cham, Fronte per la conquista del Levante), movimento erede del Jabhat Al-Nosra (Fronte per la vittoria del popolo del Levante) scioltosi a luglio 2016 col dichiarato scopo di rompere ogni rapporto con la casa madre, Al-Qaeda «canale storico», si è fuso a fine gennaio 2017 con cinque importanti formazioni con le quali ha dato vita ad una nuova coalizione battezzata Hayat Tahrir Al-Cham. L'annuncio è comparso il 28 gennaio 2017 su Bilal Al-Cham Media, un organo di propaganda filo-Al Qaeda.
 
Le cinque formazioni che si sono unite sono:
 
- Harakat Nour Al-Din Al-Zenki, un ex movimento ribelle «moderato» (composto da Fratelli Mussulmani) a lungo appoggiato dagli Occidentali, fino a quando sono stati diffusi nel net alcuni video che mostravano atti violenza di alcuni dei suoi membri,
 
- Il Fronte Ansar Al-Din (Fronte dei partigiani della religione), originariamente (2014) una coalizione vicina, sebbene non riconosciuta, ad Al Qaeda «canale storico»,
 
- Jamat Fursan Al-Sunnah,
 
- Liwa Al-Haqq (originaria di Homs),
 
- Jaysh Al-Sunnah (originaria di Homs).
 
Da notare che Harakat Nour Al-Din Al-Zenki, Liwa Al-Haqq e Jaysh Al-Sunnah facevano parte di una precedente coalizione, oggi sciolta, chiamata Jaysh Al-Fatah (L'Esercito della conquista) che ha combattuto nella provincia di Idlib nel 2015 e ad Aleppo nel 2016.
 
Successivamente, molte altre katiba si sono unite al movimento, tra cui Jund Al-Aqsa e Liwa Al-Tamkin.
 
Nonostante questa coalizione affermi di essere composta solo da ribelli siriani, molti stranieri, anche del Caucaso – soprattutto Uzbeki della katiba Al-Tawhid Wal Jihad – vi sono presenti.
 
L'emiro di questa coalizione è Hachim Al-Cheikh - alias Abou Jaber -, ex membro di Al Qaeda in Iraq, che ha guidato Ahrar Al-Cham, dalla quale si è allontanato nel dicembre 2016.La sua prima dichiarazione ufficiale in qualità di capo della nuova coalizione risale al 9 febbraio 2017.
 
Sei importanti eruditi dell’islam presenti in Siria si sono uniti allo HTS, guidati dall’ideologo saudita Cheikh Abdullah Mohammed al-Muhaysini. Quest’ultimo compare nella lista dei terroristi ricercati dal 2015 da Washington.
 
L’obiettivo ufficiale di questa formazione, che conterebbe 25.000 attivisti, è di arrestare gli scontri con gli altri movimenti ribelli, per concentrarsi nella lotta contro il regime siriano (non si parla di Daesh). D'altronde starebbero preparando un’offensiva contro il feudo alauita di Laodicea.
 
Nei fatti, assistiamo ad una ristrutturazione della ribellione legata direttamente ad Al Qaeda «canale storico». Anche se il leader del Fateh Al-Cham, Abou Mohamed Al-Joulani non ne ha assunto la guida, lasciando il posto a Abou Jaber, è comunque lui a guidarla, esercitando le responsabilità di capo militare.
 
Ahrar Al-Cham
 
Ahrar Al-Cham (o Harakat Ahrar Ach-Cham Al-Islmiyah, Movimento islamico degli uomini liberi del Levante) raccoglie tutti i gruppi che si sentono minacciati dalla coalizione HTS. Alcuni facevano parte dell’Esercito Siriano Libero (FSA), come Suqour Al-Cham (I Falchi del Levante). Gli altri movimenti che si sono posti sotto la sua ala protettrice sono la Brigata Fastaqim, il Jaich Al-Islam ramo di Idlib, le Brigate rivoluzionarie di al-Cham, il Jaish Am-Mudjahideen, il Jaish Al-Islam, il Faylaq Al-Islam, lo Al-Jabhat Al Chamiyah, il Liwa Suqour Al-Jebel e l’Esercito di liberazione di Idlib. Ognuno ha accettato di rinunciare alla propria indipendenza per fondersi nello Ahrar Al-Cham, e questo fatto avrebbe portato il numero dei suoi effettivi da 15 000 combattenti a più di 25 000.
 
Ahrar Al-Cham, che è attivo fin dal 2011, è un importante gruppo salafita che conta nel suo seno anche dei Fratelli Mussulmani. E’ sostenuto dall’Arabia Saudita e dal Qatar, quindi fa parte del Fronte Islamico creato da Riyadh nel 2013, e di Jaich Al-Fatah (L'Esercito della conquista) che ha occupato Idlib nella primavera del 2015. Sostenuto con discrezione anche da Ankara, non ha voluto però partecipare ai negoziati che si sono svolti ad Astana, in Kazakhistan, il 23 e 24 gennaio 2017, sotto l’egida della Russia, dell’Iran e della Turchia.
 
Nell’immediato, Ahrar Al-Cham dovrebbe incontrare nuovi problemi interni, tanto differenti sono le ideologie delle sue componenti. Alcuni sono salafiti dal punto di vista teorico e non jihadisti, perché non intendono portare la loro lotta oltre i confini della Siria, altri sono Fratelli Mussulmani (soprattutto i movimenti turcomanni protetti da Ankara) ed un’ultima componente, puramente tribale, vuole solo difendere i propri interessi locali.
 
Se gli scontri tra le due entità attualmente sono solo sporadici, delineano però una forte redistribuzione dei ruoli tra coloro che accettano di «cooperare» più o meno direttamente con la Turchia, accusata di essersi accordata con Mosca – dunque, di riflesso, con Teheran e il governo di Damasco -, e quelli che sono categoricamente contrari. Ahrar Al-Cham – almeno in parte – appartiene al primo gruppo e lo HTS al secondo. Se interi movimenti, con famiglie, armi e bagagli, si collocano risolutamente nell’uno o nell’altro campo, lo stesso accade con individui isolati che non esitano ad abbandonare le loro organizzazioni, se le decisioni prese dai loro leader non li convincono.
 
Infine sarà interessante vedere cosa farà Ankara nelle prossime settimane con questi movimenti ribelli, sapendo che essi hanno accesso al territorio turco e dunque ai suoi approvvigionamenti in uomini e materiali. Ankara è attualmente impantanata nell’operazione “Scudo dell’Eufrate” che si svolge più a est contro Daesh, per tentare di conquistare l’importante crocevia di Al-Bab[1], per poi eventualmente spingersi fino a Raqqa, cosa che non accadrà a breve in quanto i Curdi e le Forze Democratiche Siriane, appoggiati da Washington, hanno giocato di anticipo...
 
Quanto alle forze terrestri governative, sono sfinite da sei anni di guerra, nonostante i rinforzi giunti dall’estero. Dall’inizio del conflitto, le perdite per Damasco si calcolano in 100.000 militari e miliziani filo-governativi. Non disponendo di sufficienti effettivi, non sono in grado di coprire simultaneamente tutti i fronti. E’ questo che spiega in parte come, per concentrarsi sulla conquista di Aleppo, sono stati costretti ad abbandonare Palmira, che è stata riconquistata da Daesh. Attualmente, devono fronteggiare un’offensiva dell’Esercito Siriano Libero (FSA) nella regione di Deraa (sud-ovest del paese), la pressione nella regione di Palmira/Homs /Hama, mantenendo in sicurezza Damasco, e pesanti minacce su Laodicea a nord-ovest e su Aleppo, a est. Quanto alla guarnigione assediata di Deir ez-Zor (dal 2014) nell’est del paese, essa si trova sempre in una situazione pessima, non potendo essere rifornita se non attraverso lanci di paracadute giacché Daesh è riuscita a tagliare i collegamenti con l’aeroporto della città.
 
Senza l’appoggio dell’aviazione russa, le forze terrestri governative e i loro alleati sarebbero state schiacciate da mesi. Tenuto conto dello sparpagliamento della ribellione tra Daesh, i movimenti che ancora dipendono da Al Qaeda e gli altri, nessun dubbio che la guerra continuerà, perché nessuna parte è abbastanza forte per vincere. Le popolazioni civili continueranno a pagare il prezzo di questa guerra civile che si fa eterna. La Siria è attualmente esplosa in diverse zone controllate da attori differenti: il governo, le forze curde, le ribellioni e Daesh. Non c’è alcuna possibilità di tornare alla situazione di prima salvo sulla carta, «inventando» uno pseudo Stato federale. Questa constatazione vale anche per l’Iraq, la Libia e molti altri paesi.
 
 
    [1] I ribelli filo turchi e l’esercito turco sarebbero penetrati nei sobborghi di questa località il 10 febbraio.