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Sempre dalla parte del più forte (2° parte)
Azzazello

 

Parte Prima


Di Giorgio Napolitano abbiamo detto: “sempre dalla parte del più forte”. Bisogna riconoscergli però  anche una singolare capacità di saperlo individuare questo “più forte”, di sentirlo “a naso” e con anticipo. Non solo sul piano internazionale, ma anche qui da noi, in Italia.

Craxi, per esempio


Giorgio Napolitano non era solo il “comunista preferito” (“My favourite communist”) di Henry Kissinger (l’assassino di Salvador Allende per interposto Pinochet). Lo era anche dei socialisti craxiani.
 
Claudio Martelli, vicesegretario del PSI di Craxi, nel settembre 1981, intervistato dall’Espresso, così parlava di Giorgio Napolitano:

«Napolitano è l’uomo dell’eurocomunismo, del dialogo con la Dc, poi con il capitalismo illuminato, poi col Psi. Se egli sia una sorta di ‘passator cortese’ del comunismo italiano o la punta di iceberg di elettori, quadri, amministratori, sindacalisti comunisti in transizione verso la socialdemocrazia europea è quanto cercheremo di capire con tutta la simpatia che merita chi porge la mano aperta e non il pugno chiuso.»

E aveva molte buone ragioni per dire questo. Poco prima, quando il 28 luglio 1981, in una clamorosa intervista a Eugenio Scalfari, Enrico Berlinguer aveva rilanciato la questione morale, denunciando i partiti (specialmente la DC e il PSI) come “macchine di potere e di clientela”, Napolitano aveva reagito in modo critico.

Quel giorno si trovava in Sicilia, e la sua prima reazione fu di telefonare al suo compagno e amico Gerardo Chiaromonte: “Eravamo entrambi sbigottiti – ricordò poi Napolitano – perché in quella clamorosa esternazione di Berlinguer coglievamo un’esasperazione pericolosa come non mai, una sorta di rinuncia a fare politica visto che non riconoscevamo più alcun interlocutore valido e negavamo che gli altri partiti, ridotti a ‘macchine di potere e di clientela’, esprimessero posizioni e programmi con cui potessimo e dovessimo confrontarci”.

Si è dimostrato poi che davvero la DC e il PSI erano al centro di scandali enormi, però Enrico Berlinguer è oggi morto e dimenticato e Giorgio Napolitano viene ri-eletto presidente della Repubblica Italiana.
 
Ma comprese e ammirò con largo anticipo anche la forza di Berlusconi


Nel libro “Il baratto”, pubblicato nell’aprile del 2008 da Michele De Lucia, si legge tra l’altro:
 
«Ad aprile del 1985 esce a Milano il primo numero de Il Moderno, mensile (poi settimanale) della corrente “migliorista” del Pci (cioè la destra tecnocratica e filo-craxiana del partito, guidata da Giorgio Napolitano). Animato da Gianni Cervetti… all’insegna dello slogan “l’innovazione nella società, nell’economia, nella cultura” (p. 104).»

«Intanto a Milano il numero di febbraio 1986 de Il Moderno… scrive che “la rivoluzione Berlusconi [è] di gran lunga la più importante, cui ancora qualcuno si ostina a non portare il rispetto che merita per essere stato il principale agente i modernizzazione, nelle aziende, nelle agenzie, nei media concorrenti. Una rivoluzione che ha trasformato Milano in capitale te­levisiva e che ha fatto nascere, oltre a una cultura pubblicitaria nuova, mille strutture e capacità produttive” (p. 115).»

«Il numero di aprile 1987 del mensile comunista Il Moderno esce con un’intera pagina pubblicitaria della Fininvest. È la prima di una lunga serie di inserzioni pubblicitarie dalla misteriosa utilità per l’inserzionista, dato che il giornale è semi-clandestino e vende meno di 500 copie… Intanto uno dei fondatori del Moderno, l’onorevole Gianni Cervetti, alla metà di aprile è di nuovo a Mosca… E il 18 aprile l’agenzia Ansa da Mosca informa che in Urss, insieme al compagno Cervetti, c’è anche Canale 5… (pp 126 -- 127).»

«A giugno 1989 il settimanale comunista Il Moderno pubblica un megaservizio su Giocare al calcio a Milano. Con un panegirico sul Berlusconi miracoloso presidente milanista che “ha cambiato tutto: adesso la sua squadra è una vera e propria azienda,” e così via. Il giornale della corrente di destra del Pci è ormai un bollettino della Fininvest, e le pagine di pubblicità comprate dal gruppo berlusconiano ormai non si contano (p. 148).»

Berlusconi in quegli anni era solo un imprenditore, ma le sue parole dopo un mega-contratto tra Fininvest e la “tv sovietica” dimostrano ancora oggi la sua poliedricità politica quando si parla di affari: «Noi non abbiamo cattivi rapporti col Partito comunista italiano, e cerchiamo di averne sempre di migliori»

E infatti, tra i  miglioristi, militò anche Sandro Bondi, attuale Ministro della Cultura nel governo Berlusconi IV, a conferma che con qualcuno del vecchio PCI qualche intreccio c’è stato, e sarebbe importante sapere se qualcun altro ha avuto rapporti con l’attuale Presidente del Consiglio.

Certo, fare domande del genere al Presidente Napolitano non sarebbe facile, specialmente visto come  rispose stizzito, già 5 anni fa, ai giornalisti tedeschi che chiedevano spiegazioni sugli onerosi rimborsi spese per i viaggi aerei da lui richiesti quando era parlamentare europeo (vedi video sotto).

«La Costituzione italiana contiene valori, regole, principi che devono ispirare i comportamenti di tutti gli italiani» ha detto in questi giorni il nostro Presidente della Repubblica. Speriamo che  non intendesse  “di tutti meno uno” come lasciò dedurre un anno fa avallando una legge "ad personam", il Lodo Alfano (http://laveritafamale.gruppi.ilcannocchiale.it/?t=post&pid=2395828)

 

Spiacenti, ma il video è stato successivamente ritirato dalla rete. Un'attenzione, forse, per chi sta sempre dalla parte della ragione !!!


 

“Vicino a Fininvest”

E come si infuriò nel 1995 il nostro ri-presidente, quando un’indagine napoletana sul dirigente Fininvest Maurizio Iapicca rese noto il sequestro di un dossier Fininvest che riguardava tutti i parlamentari europei. Una scheda per ognuno di loro, con l’elenco dei loro “passaggi” sulle reti Fininvest e un piccolo commento sulla persona. Quello su Rosy Bindi era risentito: “Ci ha rovinato la piazza nel Veneto”, mentre Napolitano veniva definito “vicino a Fininvest”, come d’altronde il suo compagno di corrente Biagio De Giovanni. (La Stampa, 4.5.1995, pag. 43)

Era il tempo in cui Giorgio Napolitano rivestiva la carica di presidente della speciale commissione parlamentare sulle TV e la rivelazione di una sua “vicinanza” alla Fininvest non poteva certo fargli piacere, rischiava di rovinargli la reputazione di super partes. Reagì malissimo e a muso duro, con la stessa grinta con la quale si è opposto più recentemente all’utilizzazione delle comunicazioni del Quirinale con l’indagato Nicola Mancino:

"Non ho mai avuto - dice Napolitano - rapporti con Iapicca né ' vicinanze' di alcun genere con la Fininvest. Tra l' altro fino a tempi recentissimi non ho mai seguito direttamente, in Parlamento, provvedimenti cui la Fininvest potrebbe essere interessata. Mi riservo l' azione penale nei confronti di calunniatori o loro complici". Napolitano spiega di aver appreso "da fonti giornalistiche" che a Japicca è stato sequestrato un elenco di deputati europei classificati come più o meno vicini alla Fininvest. "In quell' elenco - scrive il presidente della Commissione speciale sulla tv - figurerebbe anche il mio nome insieme con quelli di altri parlamentari e ciò avrebbe particolarmente ' sorpreso' i magistrati inquirenti, come si legge, a quanto mi viene riferito, nell' atto di emissione dell' ordine di custodia cautelare a carico dello Japicca da essi firmato". Napolitano però è critico anche nei confronti dei giudici perché "se la ' sorpresa' non ha, tuttavia, trattenuto i magistrati dall' inserire in quell' atto un ammasso di nomi, pur non avendo alcun elemento per ritenere che quelle valutazioni corrispondano a verità, non posso che dirmi sbalordito". (La Repubblica, 4.5.1995)


Una carriera politica lunga come quella di Giorgio Napolitano presenta necessariamente luci ed ombre, in tanti anni non si può pretendere di aver sempre ragione. Errori, piccole viltà, cadute di tono, sono inevitabili. Uno spot di qualche anno fa del quotidiano “Il Manifesto”, erede della rivista del gruppo che Giorgio Napolitano contribuì a cacciare dal PCI nel 1969, diceva di sé: “Quarant’anni dalla parte del torto”.

Ecco, Giorgio Napolitano, anche quando ha clamorosamente sbagliato, è riuscito a stare invece sempre dalla parte della ragione. A pensarci bene, non è poi molto difficile quando si tratta della ragione del più forte.