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La Repubblica Napoli, 21 dicembre 2015
 
 
Letterina di Natale
Nicola Quatrano
 
 
Caro Dio, o Gesù bambino, o Allah, o Manitù, non me ne intendo bene di queste cose. In questi giorni di festività, tra le tante che ti arrivano, accogli anche la lettera di un tuo servo infedele che ti scrive da una città oramai ai margini dei processi storici, ma che continua ad essere piena di gente che ancora pretenderebbe di vivere, divertirsi, sperare e che vorrebbe garantirsi qualche sicurezza per il futuro. 
 
Caro Dio (ammesso che sia tu il giusto interlocutore), abbiamo un sacco di problemi qui, che solo la Madonna (o Cantone) sarebbero in grado di risolvere. Il presidente della Regione sarà presto sospeso dalle funzioni, a causa della legge Severino, per poi essere nuovamente reintegrato dopo l’assoluzione in appello. (Non so di certo se sarà così, ma questo è il canovaccio che già una volta è andato in scena). Intanto, però, è cominciata un’altra inchiesta, sulla mancata sospensione di prima. E l’incertezza paralizza l’azione amministrativa, incoraggiando solo dichiarazioni e battibecchi di cui faremmo volentieri a meno. L’anno prossimo, poi, ci saranno le elezioni comunali e lo spettacolo della guerra che lacera il PD per la scelta del suo candidato ci fa ben temere che non sarà una buona scelta. Che poi si dice che la dirigenza del PD non sarebbe nemmeno tanto interessata a governare Napoli. Troppo complicata e troppo marginale, e per niente sexy dal punto di vista del potere, dal momento che l’unica cosa al momento appetibile, la bonifica di Bagnoli, è stata già commissariata dal governo. E giù ancora battibecchi, tweet e post…
 
Caro Dio, la nostra è una città che le statistiche avvicinano a Milano solo per l’inquinamento. Eppure, tra tante polemiche, nessuno sembra preoccuparsi del trasporto pubblico, di come rendere almeno decente il servizio della metropolitana. Oggi è la “più bella d’Europa”, ma funziona peggio di quella del Cairo.
 
A dire il vero, ci sentiamo un poco abbandonati. Qui il tasso di disoccupazione è tra i più alti d’Italia, e il massimo cui i giovani possano aspirare è qualche lavoretto in nero. Per fortuna, sopravvive un po’ del welfare dei genitori (e un po’ di quello della camorra), sennò saremmo già alle “primavere arabe”. E serve a poco la retorica del “La legalità conviene”, la cui convenienza si è misurata finora, più o meno, solo nelle magnifiche carriere riservate agli specialisti di questa narrazione. 
 
Caro Dio, tu lo sai (sennò che Dio saresti) che in questa città c’è gente che la legalità non se la può semplicemente permettere, che la “giornata” nelle piazze di spaccio e la “mesata” alle famiglie dei carcerati sono, per tanti, l’unica risorsa per campare. Lo sai, e anche io lo so, che dire questo può sembrare una inaccettabile giustificazione, e che bisogna invece mantenere alto il valore del rispetto della legge. Ma tutti e due sappiamo anche che questo “rispetto della legge” è davvero un valore, e non pura retorica, solo se lo si riempia di contenuti. Accompagnandolo, per esempio, ad una iniziativa per la concreta riduzione dell’area dell’illecito, come la legalizzazione delle droghe leggere, o ad altre misure che tendano a includere le fasce marginali, piuttosto che risolvere chiudendole in galera. 
 
Caro Dio, la galera non serve a molto, e ancor meno servono le conferenze stampa con cui si presentano gli arresti di giornata. Con quei funzionari e militari impettiti, e il PM di turno che alterna considerazioni “sociologiche” che susciterebbero l’entusiasmo di Bouvard e Pécuchet, all’annuncio di aver “sgominato” bande che erano state già sgominate la settimana prima, e lo saranno anche la successiva.
 
Caro Dio, non potresti fare qualcosa per far parlare di meno le persone che parlano ogni giorno? E anche quelli che – per riflesso – li insultano su Facebook? Perché la visibilità che tutti costoro cercano con fiumi di parole, magari conviene, ma ha un aspetto per niente accattivante. Penso, in altre parole, che dovresti fare qualcosa per liberarci un poco dall’ansia del potere. “Caro Dio, facci vivere come gli uccelli del cielo e i gigli dei campi” (P.P. Pasolini, Preghiera su commissione)