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Investig’Action, 20 marzo 2014 (trad. ossin)



Il “ritorno” di Nasser: tragedia e farsa

Paul Delmotte


Al Cairo, il nuovo “uomo forte” del paese, il generale Abdel Fatah Al-Sissi, sembra compiacersi di presentare il suo colpo di Stato del 3 luglio, e il rovesciamento del presidente Morsi, come un prolungamento della feroce lotta che oppose, dal 1954 in poi, il regime di Gamal Abdel Nasser ai Fratelli Mussulmani. E i manifestanti anti-Morsi sembrano compiacersi di innalzare, fianco a fianco, le gigantografie delle due personalità. Un paragone che taluno, anche tra noi, sembra disposto a condividere. Cosa pensarne?


Negli ultimi tempi, un video che mostra Nasser burlarsi dei Fratelli mussulmani ha circolato con un certo successo in certi ambienti della sinistra laica europea. Successo dovuto certamente all’apprensione che ha suscitato, dopo le “primavere arabe”, l’arrivo al potere di Ennahda in Tunisia, dei Fratelli Mussulmani in Egitto, e perfino il peso dei loro collegamenti siriani nella ribellione contro il regime di Bachar el-Assad.


Non vogliamo qui appannare i meriti del Rais. Meriti incontestabili, sia per ciò che concerne la restituzione della sua sovranità all’Egitto e la sua modernizzazione, che per la rinascita di una identità araba. Si tratta piuttosto di esaminare con un diverso approccio la figura del colonnello Nasser. E di sottolineare talune ambiguità ed errori di percezione. La questione è dunque di capire quale immagine del Bikbashi (1) alcuni, qui e altrove, hanno scelto di conservare. E perché.



Socialisti laici contro islamisti?

A leggere Olivier Carré, risulta un po’ azzardato contrapporre radicalmente l’ideologia del regime nato dalla “rivoluzione” del 23 luglio 1952, almeno nel suo primo decennio, e quella dei Fratelli Mussulmani (2). Infatti, dal 1940 al 1953, vi è stata collaborazione, talvolta stretta, tra gli Ufficiali Liberi e i Fratelli. Più che un disaccordo ideologico, è stata soprattutto una lotta per il potere che, secondo Carré, ha contrapposto gli Ufficiali Liberi alla Confraternita. Di più, quando il conflitto è scoppiato, il nuovo regime si è sforzato di procedere, in un primo tempo con la collaborazione dell’Arabia Saudita, ad una certa statalizzazione dell’islam, suscettibile di guadagnargli la simpatia dei militanti della Confraternita. Anche Samir Amin lo dice (3): “Piuttosto che farsi guidare dalle tendenze radicali del nazionalismo borghese che si manifestavano nell’ala sinistra del Wafd (4), il nasserismo si apparentò di più con le correnti reazionarie della piccola borghesia, compresa quella dei Fratelli Mussulmani”. Per l’economista marxista egiziano (che oggi si felicita del rovesciamento di Morsi), come per O. Carré, ciò che il nasserismo ha edificato è una nuova “borghesia di Stato” che si appoggia su un “capitalismo di Stato”, che trarrà beneficio dalla nazionalizzazione delle industrie europee dopo la crisi di Suez (1956). E che i comunisti egiziani finiranno per appoggiare, volenti o nolenti, tanto più facilmente in quanto tale sostegno rispondeva agli interessi di politica estera dell’URSS.


Non è inutile ricordare che, sul piano sociale, poco dopo una riforma agraria tutto sommato modesta (5), una dei gesti che hanno segnato il nuovo regime fu, nell’agosto 1952, l’impiccagione di due leader operai, dopo le sommosse operaie di Kafr Dawwar, nel Delta. Cui seguì una dura repressione dei gruppi comunisti.




Said Qutb



Infatti l’opposizione di Nasser al comunismo - “una religione, quando noi abbiamo già la nostra”, diceva – deve essere ricordata per sgombrare il campo dai malintesi. La maggior parte dei circa 250 Ufficiali Liberi, tutti provenienti dalla piccola borghesia, era, scrive Hassan Riad (6), composta da mussulmani tradizionalisti (7), che respingevano il comunismo per attaccamento alla religione. Altri, una buona ventina, erano vicini ai gruppi comunisti egiziani. Tuttavia John Calvert (8) ci informa che, qualche giorno prima del colpo di Stato del 23 luglio 1952, lo stesso Nasser incontrò riservatamente diversi dirigenti dei Fratelli Mussulmani per assicurarsi il loro appoggio. E ciò avvenne proprio a casa di Said Qutb (che, è vero, aderirà all’associazione solo nel febbraio successivo), il quale non solo sarà invitato come conferenziere al club degli ufficiali alla presenza di Nasser, ma si vedrà proporre anche la presidenza di un nuovo partito che il Rais pensava allora di creare.


Ricordiamo che il colpo di Stato del 23 luglio 1952 venne in primo tempo considerato a Mosca come se fosse stato organizzato dalla CIA e che la maggior parte delle organizzazioni comuniste egiziane lo condannarono. Ad eccezione del Movimento egiziano di liberazione nazionale, uno dei gruppi comunisti che aveva fondato Henri Curiel (9) e che sarà peraltro tacciato di “supporto della dittatura fascista” (sic) dagli altri gruppi comunisti (10). Ricordiamo ancora che sarà grazie all’aiuto degli Stati Uniti che il nuovo regime otterrà l’evacuazione delle truppe inglesi dal Canale di Suez nel 1954. Di più, i comunisti, come i Fratelli, denunceranno le concessioni fatte dagli Ufficiali Liberi nel corso dell’accordo per il trattato anglo-egiziano sulla via d’acqua, diventata simbolo della sovranità egiziana ritrovata.


Peraltro il "socialismo" nasseriano sembra essersi affermato soprattutto dopo il fallimento dell'unione siriano-egiziano (La Repubblica Araba Unita, RAU, 1958 - 1961). Si sarebbe d'altronde ispirato alle tesi del partito Baath. A partire dal 1961, la statalizzazione dell'economia egiziana cresce fortemente e il capitale privato viene molto colpito. La seconda riforma agraria, più ambiziosa, non toccherà però, alla fine del 1966, che l'11,5% della superficie coltivata e 1,5 milioni di contdini (su circa 30 milioni di Egiziani) e si risolverà in un aumento delle medie proprietà (11), dal momento che la massa dei fellah non proprietari resterà, anche per ragioni demografiche, percentualmente numerosa (80%) quanto lo era nel 1952.


Nella Carta d'azione nazionale della primavera del 1962, "la bibbia del socialismo arabo", nota Carré, la lotta di classe resta in secondo piano, subordinata all'obiettivo pan-arabista e considerata come destinata a sparire per l’intervento dello Stato. Il "socialismo arabo" o nasseriano, conclude Carré, "ha un'essenziale base islamica", peraltro indispensabile agli Ufficiali Liberi per guadagnarsi una base sociale. Nei primi anni, i discorsi di Nasser sono "costellati di appelli alla sensibilità mussulmana". Nel 1956 Nasser lancerà dall'alto pulpito dell'università di al-Azhar un appello alla jihad contro l'aggressione tripartita anglo-franco-israeliana. E il socialismo nasseriano sembra molto prossimo al "socialismo islamico" dei fratelli: sostiene la proprietà privata (senza i suoi abusi), una soluzione pacifica dei conflitti di classe, la partecipazione congiunta dei padroni e degli operai alla direzione della produzione (12).


Occorre dunque prendere le distanze da talune percezioni dovute essenzialmente alla Guerra Fredda. La lotta tra Nasser  e i Fratelli deve dunque essere considerata più che altro come una rivalità per l'egemonia dei medesimi strati sociali. Si accentuerà coi risentimenti dovuti alla repressione e anche al nazionalismo panrabao del Rais, che la Confraternita, e soprattutto Said Qutb, impiccato nel 1965, aveva criticato, considerandola un regresso rispetto ad un "internazionalismo islamico". Resta che oggi lo Stato egiziano, erede del nasserismo, costituisce, nota Christophe Ayad, "il più importante attore religioso del paese" (13).


Il nuovo corso imposto da Sadat all'inizio degli anni 1970 costituirà meno una rottura con quello di Nasser, nota Carré, che una sua prosecuzione orientata verso destra, una sorta di ritorno agli anni 1952-1955. E' che oramai la "borghesia di Stato" si sentiva stretta in un rigido assetto statalista, dal quale pure aveva in precedenza ottenuto tanti benefici. E aspirava a diventare "borghesia" a tutto tondo.

Accompagnando queste aspirazioni, il "presidente-credente" accentua la base islamica del nasserismo (15). E' sempre Sadat che introdurrà la sharia nella legislazione egiziana.



Nasser, il "nuovo Hitler"

Come Saddam Hussein, anche il colonnello Nasser si è beccato, soprattutto durante la crisi di Suez del 1956, l'infamante paragone: "Nasser = Hitler".


Tuttavia, il "nuovo storico" israeliano Avi Shlaim ha dimostrato che, contrariamente a quanto raccontano talune leggende costruite a posteriori, Nasser era, tra tutti gli Ufficiali Liberi, il più propenso a cercare un accordo col giovane Stato di Israele (16) e che è stata principalmente l'intransigenza di Ben Gurion e dei suoi fedeli, oltre all'affaire Lavon (17) a costringerlo a rinunciare. E a diventare l'eroe/araldo del nazionalismo arabo. E il "nuovo Hitler" degli israeliani, ma anche, nel 1956 come nel 1967, di una certa sinistra europea.


Accade ancora oggi che Nasser venga considerato come un eroe della lotta anti-imperialista araba. Cosa che senz'altro fu, per molti aspetti. Incontestabilmente Nasser fu uno dei grandi campioni di quello che si andava chiamando "terzo-mondismo". Ma, per quanto si fosse molto avvicinato all'URSS, l'Egitto nasseriano resta legato alla "neutralità positiva" ispirata da Bandung. E' questa neutralità che gli vale le grazie e l'aiuto dell'URSS. E, scrive H. Riad, la nuova borghesia di Stato nata dal sistema non romperà mai definitivamente con l'imperialismo (18), cosa che troverà conferma nel periodo Sadat.


Erigere Nasser a modello della lotta anti-imperialista araba denota tuttavia anche, mi sembra, in primo luogo una visione parziale e "meccanicista", oltretutto impregnata di orientalismo. Infatti Nasser non incarnava l'anti-imperialismo che noi auspichiamo, vale a dire se non laico, almeno "laicizzante" e opposto (con tutti i distinguo del caso) "all'islam politico". In secondo luogo, non bisogna, per contro, considerare i Fratelli mussulmani, oppositori del rais, come "servi dell'imperialismo".



L'islamismo, cavallo di Troia dell'imperialismo?

Le alleanze regionali, politiche, ideologiche  e finanziarie dei Fratelli Mussulmani sono sufficienti a schiacciarli nel ruolo di “agenti” dell’imperialismo?


Una analisi della storia contemporanea del Vicino Oriente ci mostra che il vero “scontro di civiltà”, reale questa volta, che ha investito la regione a causa dell’espansionismo europeo del XIX° secolo, ha suscitato diverse forme di resistenza. Così, quello che noi oggi chiamiamo l’islamismo (o “l’integralismo”) non è meno contemporaneo né anticolonialista dei nazionalisti arabi cosiddetti “laici”. Con la differenza che i primi si focalizzavano sull’identità islamica, oltre che sulla difesa del patrimonio religioso e culturale, per predicare una “modernizzazione” endogena in sintonia con le “lentezze dell’evoluzione sociale”, mentre le seconde su una identità “etnico-nazionale”, coltivando progetti più immediatamente politici ed economici e più volontaristici.


Sono queste differenze del campo d’azione primario che spiegano come mai, in Egitto, la più importante preoccupazione dei Fratelli mussulmani fu il proselitismo delle missioni cristiane occidentali. E Xavier Ternisien ci ricorda come queste missioni cristiane fondassero la propria influenza sull’aiuto sociale e sanitario  alle popolazioni (Non si rimprovera oggi sistematicamente agli islamisti di estendere la propria influenza politica attraverso l’azione caritativa?) e in tal modo offrissero un modus operandi ai Fratelli. E, in secondo luogo, che la Confraternita fondata da Hassan Al-Banna (19) distingueva, almeno allora, tra cristiani occidentali e cristiani copti d’Egitto (20).




Hassan al-Banna



Un campo d’azione, dunque, prima di tutto sociale e culturale, ma che non impedirà ai Fratelli Mussulmani di mettere in piedi, così come fecero anche altre formazioni politiche (21), una “organizzazione speciale” (22) che, dal 1936, combatterà in Palestina e che poi invierà ancora dei volontari nel 1948. D’altra parte lo storico statunitense John Calvert (23) ricorda che, quando un Said Qutb, per esempio, “paragona l’islam ad altri sistemi, non lo contrappone al cristianesimo, all’ebraismo o all’induismo, ma alle ideologie rivali del comunismo, del capitalismo e della democrazia liberale”. Una weltanschauung dunque più politica e sociale che strettamente religiosa”.


I Fratelli affrontarono anche in armi gli Inglesi nella zona del Canale. Tiemisen, da parte sua, giunge perfino a pensare che sono stati i Fratelli a fornire al colpo di Stato degli Ufficiali Liberi del 23 luglio 1952 “la base popolare necessaria al suo successo”(24). Cosa che spiegherebbe come mai, se i partiti politici vennero vietati dal nuovo regime fin dal gennaio 1953, fu solo nell’ottobre 1954 che il divieto colpì anche la Confraternita. Di più, sono stati proprio i Fratelli Mussulmani (tra i quali vi era una corrente favorevole al regime, il cui leader era proprio il fratello di Hassan Al-Banna) a non accettare l’offerta degli Ufficiali Liberi di entrare nel nuovo governo.


Le relazioni tra i Fratelli e l’Arabia saudita vengono spesso evocate quando si tratta di farne degli alleati, reali o “obiettivi”, degli Stati Uniti, in nome della formula “Gli amici dei miei amici sono miei amici”. In tale modo si perde di vista sia il fatto che queste relazioni sono sempre state molto fluttuanti, come dimostra l’attualità egiziana, e anche si nega all’Arabia saudita una sua propria “agenda”. Peraltro il pragmatismo, si potrebbe dire “l’opportunismo”, che caratterizza la Confraternita sul piano della politica interna non è un segreto per nessuno. Un pragmatismo che si coniuga con l’obiettivo di una “(re)islamizzazione dal basso”, programma a lungo termine che consente bene dei compromessi nel frattempo. Ora, questo pragmatismo sembra avere avuto un ruolo anche in politica estera: “I nemici dei miei nemici”. Questo vale indubbiamente sia per l’Arabia saudita che per gli Stati uniti. Da parte sua, Olivier Roy vede le cose in modo più netto: “La famiglia al-Saud non è riservata quanto ai rapporti coi Fratelli: li odia! Tra di essi vi è la guerra, perché non difendono gli stessi valori. L’islamismo  (dei Fratelli) non ha molto a che vedere con il wahhabismo, che non mette in discussione i regimi esistenti e che non nutre alcun interesse per la norma giuridica formale” (25).


La ripresa di importanza, a partire dagli anni 1970, dei Fratelli Mussulmani   (come quella dell’islam “politico” in generale) si spiega, a un livello più immediato, con la volontà di Sadat di rilanciare, soprattutto nelle università, gli avversari della sinistra e del nasserismo. Questa ripresa, però, si iscrive in una evoluzione più vasta (e riscontrabile non solo in Egitto) che vede affermarsi l’islamismo di fronte alle disillusioni provocate tanto dal “socialismo arabo” che dalle catastrofiche conseguenze della corrente neo-liberista che il successore di Nasser volle favorire col suo Infitah. “L’apertura” economica di Sadat comportò tra l’altro una emigrazione arricchita nei paesi del Golfo, dove ha subito l’influenza di una religiosità militante e conservatrice. E provocò anche una corruzione, questa volta ostentata, parallela alla crescita della miseria. Mubarak accentuerà questa svolta neo-liberista.


Una serie di precisazioni che mostrano come le cose siano state meno categoriche di quanto appaiano in certe valutazioni tranchant oggi correnti.



Esercito ieri ed esercito oggi

Taluno non esita a dipingere militari e islamisti egiziani come se fossero una sola cosa. Ponendo l’accento sulle “violazioni” delle regole democratiche che hanno successivamente sostenuto i regni di Nasser di Sadat e di Mubarak. E che sono alla base anche del nuovo regime di Abdel Fatah Sissi, peraltro formatosi nelle scuole di guerra statunitensi e inglesi. Violazioni delle regole democratiche che non sono state estranee anche al governo Morsi. E ancora, come lo ha ben spiegato François Burgat (26), agli occhi degli occidentali, qualsiasi dichiarazione di una organizzazione o personalità islamista favorevole ai principi democratici viene subito vista come “equivoca”.


Questa comparazione mi sembra antistorica e inadatta a comprendere la realtà nella sua complessità.


L’esercito egiziano che ha assunto il potere nel 1952 aveva ufficiali egiziani solo dal 1936! Nel 1948 venne battuta in Palestina, scoprendo che alcuni armamenti erano difettosi a causa di qualche imbroglio mafioso che molti ufficiali imputarono al Palazzo reale. Esercito di un paese povero, frustrato, poco amato dalle élite  come tutti gli eserciti del Vicino oriente arabo dell’epoca. E persuaso di incarnare la fierezza nazionale.


Ora, questo esercito che nel 1953 era comandato dagli Ufficiali liberi diventa irriconoscibile.


E’ stato certamente con Nasser che i militari si sono insediati saldamente al potere: tutti i primi ministri del Rais provenivano dai loro ranghi (27).


Occorre però ricordare che, con Nasser, questo esercito ha fatto due sfortunate guerre contro Israele: la prima nel 1956 contro una aggressione “tripartita” (28) occidentale, la seconda nel 1967. Poi, dal 1962 al 1967 e per interposti Yemeniti, contro l’Arabia saudita del re Faisal, l’artefice dell’alleanza con gli Stati uniti che si presentavano come i campioni del “mondo libero” nella regione.



Anwar al-Sadat



Nel 1973, tuttavia, morto Nasser tre anni prima, la situazione cambia. La guerra di ottobre scatenata da Sadat mira soltanto a forzare la pace con Israele. Ed è stata preceduta da un gesto di rottura con Mosca (l’espulsione dei consiglieri militari sovietici) con l’intento di guadagnarsi la simpatia degli Statunitensi. E nel 1990, è al fianco degli Stati Uniti e dell’Arabia saudita che l’esercito di Mubarak partecipa all’operazione “Tempesta nel deserto” contro l’Iraq di Saddam Hussein. Infine, durante l’intifada palestinese e anche dopo, si conosce l’ambiguità del ruolo giocato da Mubarak, e dal quale Morsi d’altronde non si è mai smarcato, di “mediatore” tra Palestinesi e Israeliani. Israeliani che si felicitano oggi per la rimozione di Morsi da parte di un esercito col quale la collaborazione in tema di intelligence e di anti-terrorismo non sembra essere mai stata migliore.


Ricordiamo infine che, diventato secondo alcuni il 18° del mondo, con effettivi che si avvicinano al mezzo milione di uomini, l’esercito egiziano assorbe i 2/3 dell’aiuto statunitense e il 15% del budget dello Stato (29).


E rammentiamo che più della pace con Israele, è l’Infitah di Sadat che fornirà all’esercito egiziano l’occasione di trasformarsi in un attore “tanto essenziale che discreto” (30) dell’economia egiziana (31): i militari, almeno gli ufficiali superiori, sono oggi i più grandi proprietari fondiari del paese, gestori di zone franche (a Porto Said e a Suez), imprenditori (32) non sottoposti alle regole del diritto del lavoro del settore pubblico ed esonerati dalle tasse di importazione di beni di equipaggiamento, in più beneficiari di una serie di vantaggi in natura. I settori economici gestiti dall’esercito rappresentano oggi il 30% dell’economia egiziana.


Mi sembra sia sufficiente per sottolineare che i due putsch, quello del 1952 e quello del 2013, sono diversi.


Marx non ha forse scritto che quando i grandi avvenimenti storici si ripetono, è “la prima volta come tragedia e la seconda come farsa”? Nella specie la farsa è nei discorsi dei nuovi padroni del Cairo.


E nei paragoni che si fanno. Per il resto, questa “seconda volta” resta propriamente una tragedia.




Note:

[1]  Equivalente di « colonnello » in arabo. Muammar Gheddafi, che si considerava un emulo di Nasser, riprenderà il soprannome che era stato attribuito al presidente egiziano


[2] Olivier Carré, L’Orient arabe aujourd’hui, Complexe, 1990, p.37


[3] La nation arabe, Éditions de Minuit, 1976, p.69


[4] Il grande partito nazionalista egiziano, pluriconfessionale, nato all’indomani della 1°guerra mondiale


[5] La riforma agraria del settembre 1952 riguardò soltanto i grandissimi proprietari.  Operò solo sul 7% della superficie coltivabile totale e coinvolse solo 750.000 contadini su 14,6 milioni (O. Carré, op.cit., p.178)


[6] L’Égypte nassérienne, Éditions de Minuit, p.220


[7] Tra gli Ufficiali Liberi vi era solo un copto


[8] Art. cit.


[9] Nato in una famiglia ebrea egiziana, esiliata nel 1950, H.Curiel resta un militante anti-impérialista attivo, durante la guerra di Algeria e favorendo dei contatti israelo-palestinesi. Venne assassinato da killer dell’estrema destra francese, il 4 maggio 1978. Gilles Perrault ne fa un ritratto impressionante in  “Un homme à part”, Fayard, 2006


[10] Gilles Perrault, Le Monde diplomatique, aprile 1998


[11] Tra 20 e 50 feddan, vale a dire più o meno, tra 8 e 21 ha


[12] O. Carré, op. cit., p.180 e Le nationalisme arabe, Fayard, 1993, p.116


[13] Géopolitique de l’Égypte, Complexe, 2002, p.45


[14] Nasser è morto alla fine di settembre del 1970


[15] O. Carré, Le nationalisme arabe, Fayard, 1993, p.114


[16] Le mur de fer. Israël et le monde arabe, Buchet-Chastel, 2007


[17] Scandalo israeliano degli anni 1950, quando si accertò che i terroristi egiziani che avevano collocato delle bombe in siti culturali occidentali erano in effetti… degli agenti israeliani. L’obiettivo del ministro israeliano della Difesa, Pinhas Lavon, amico  di Ben Gourion, era di impedire un eventuale avvicinamento del nuovo regime degli Ufficiali Liberi all’Occidente


[18] Op. cit., p.240


[19] Il principale fondatore dei Fratelli Mussulmani nel 1928


[20] Xavier Tiernisen, Les Frères musulmans, Fayard, 2005, p.33


[21] Si dimentica troppo spesso che, tra le due guerre, molti partiti e organizzazioni politiche si dotarono di una milizia o di « scout ». Accadde lo stesso in Europa con, certamente, le organizzazioni fasciste, ma anche comuniste e socialiste


[22] E’ quella che abbatterà, nel 1948, il primo ministro Nokrachi Pacha, che aveva per la prima volta bandito la Confraternita


[23] Autore di Sayyid Qutb ans the Origins of Radical Islamism, Columbia University Press, 2010 – Recensione in Books, n°48, novembre 2013


[24] Tiernisen, op. cit., p.74


[25] Intervista a BOOKS, n°48, novembre 2013


[26] L’islamisme en face, La Découverte/Poche, 2007


[27] Géopolitique de l’Égypte, Complexe, 2002, p.45


[28] Regno Unito – Francia – Israele, mirante a ottenere un «mutamento di regime» e a «punire» Nasser per la nazionalizzazione del canale di Suez


[29] Géopolitique de l’Égypte, Complexe, 2002, p.86


[30] C. Ayad, op. cit.


[31] Senz’altro anche perché Sadat diffidava dell’esercito : fu per tenerlo buono che scelse il generale Hosni Mubarak come vice-presidente


[32] Materiali agricoli, armamenti, prodotti farmaceutici, ecc.


[33] Géopolitique de l’Égypte, Complexe, 2002, p.86