Stampa









Cf2R (Centre Français de Recherche sur le Renseignement), 1 giugno 2014 (trad. ossin)


Egitto: Schiacciante vittoria di Abdel Fattah al-Sissi alle presidenziali

Cherif Amir e Eric Denécé



Dal 26 al 28 maggio è accaduto qualcosa di notevolmente importante all’altro capo del Mediterraneo: le elezioni presidenziali egiziane. Questo paese, il più grande e popoloso del mondo arabo (90 milioni di abitanti), munito di un solido esercito, è una delle chiavi della stabilità del Vicino Oriente.


L’Egitto ha tuttavia vissuto, negli ultimi tre anni, violenti rivolgimenti interni. Ha subito due successive rivoluzioni, nel 2011 contro il regime di Mubarak e, nel 2013, contro la dittatura dei Fratelli mussulmani. Esse, per quanto espressioni della volontà popolare, hanno però indebolito il paese, provocando un aumento delle tensioni e delle divisioni interne, una instabilità istituzionale, difficoltà economiche, l’aumento della disoccupazione e, soprattutto, dell’insicurezza quotidiana. Gli Egiziani sono avidi di stabilità e desiderosi di vivere infine una esperienza democratica sotto l’impulso del loro nuovo presidente, Abdel Fattah al-Sissi.

 
Tre anni di caos

I preconcetti sono numerosi in Francia, a proposito delle pseudo rivoluzioni arabe e del sedicente colpo di Stato del maresciallo al-Sissi del 2013. Tutti in occidente danno per scontata la regolarità delle elezioni presidenziali del 2012 che hanno portato Mohamed Morsi, un oscuro apparatcik dei Fratelli mussulmani, alla presidenza (1).  Occorre dunque richiamare alcune circostanze. Prima di tutto, la vittoria dei Fratelli Mussulmani alle legislative del 2011 è stata invalidata dalla Corte Costituzionale, a causa di numerose frodi e irregolarità. Poi, la legalità e la trasparenza delle elezioni presidenziali del 2012 non sono mai state veramente riconosciute in Egitto. In alcun modo, infatti, gli elettori dei Fratelli Mussulmani, anche se aggiunti a quelli che volevano punire il regime di Mubarak, avrebbero potuto vincere, nonostante le numerose operazioni di procacciamento e acquisto di voti, ma anche di pressioni sugli elettori diversamente orientati. Sono state così consumate moltissime irregolarità, che avrebbero dovuto portare all’annullamento dello scrutinio.


E’ per questo che il 18 giugno 2012, alle ore 4,30 del mattino, i Fratelli Mussulmani convocarono i giornalisti egiziani e i corrispondenti esteri per una conferenza stampa, durante la quale dichiararono che il loro candidato, Mohammed Morsi, era stato eletto Presidente della Repubblica. Fu questo l’inizio di una operazione di manipolazione dei risultati, perché solo l’Alto Comitato Nazionale per le Elezioni Presidenziali era abilitato a fare una simile dichiarazione. Nello stesso tempo, il movimento ordinò ai suoi seguaci di recarsi in piazza Tahrir, di montare delle tende, di effettuare moltissime manifestazioni e sit-in nella capitale, e soprattutto di minacciare di mettere l’Egitto a ferro e fuoco se il loro candidato non fosso stato riconosciuto come il vincitore delle elezioni presidenziali. Un vero e proprio ricatto.


Al contrario, sembrava certa la vittoria del generale Ahmed Shafiq. Unità della Guardia repubblicana e unità delle Forze speciali avevano ricevuto l’ordine di posizionarsi intorno alla sua residenza e di prepararsi ad accompagnarlo al Palazzo presidenziale alla comunicazione dei risultati ufficiali. Questo ordine era la prova irrefutabile della vittoria di Shafiq in quanto, nel mondo militare – e soprattutto in Egitto – nessuna unità può agire senza l’ordine di un comandante, in particolare in occasione di un avvenimento tanto cruciale. Ciò significa che il Consiglio Supremo delle Forze Armate egiziane aveva dato l’ordine al comandante della Guardia repubblicana di prendere in carico la protezione di Ahmed Shafiq e del suo domicilio, prima ancora dell’annuncio dei risultati ufficiali.


Il generale era in strada verso un hotel del Cairo per pronunciare il discorso di vittoria, quando ricevette una telefonata dell’ambasciatrice statunitense Anne Patterson, oggi responsabile per il Medio Oriente al Dipartimento di Stato. Washington voleva assolutamente la vittoria dei Fratelli Mussulmani e Anne Patterson avrebbe allora minacciato allora il generale Shafiq di porre termine agli aiuti statunitensi e lo avrebbe ammonito che gli Stati Uniti lo avrebbero ritenuto responsabile della guerra civile che sarebbe scoppiata se egli avesse assunto la presidenza. Così Shafiq, il probabile vincitore delle elezioni, si dovette piegare sotto le pressioni di Washington.


Nei mesi successivi i Fratelli mussulmani, sotto la guida di Morsi, hanno governato il paese in modo insensato e molto settario. Hanno avviato una vasta politica di epurazione nella funzione pubblica e vi hanno inserito loro esponenti. Molti alti funzionari, ideologicamente alla opposizione del movimento, sono stati silurati e talvolta messi sotto processo. Questa politica partigiana, e i regolamenti di conti che l’hanno accompagnata, hanno reso manifesti agli occhi della maggioranza degli Egiziani i veri obiettivi del movimento islamista.


Rapidamente il regime dei Fratelli Mussulmani si è rivelato né più né meno la versione islamista del regime di Mubarak: corruzione, nepotismo, arbitrio e repressione, ma questa volta in nome dell’islam. Un altro punto in comune tra i due regimi era il sostegno che ricevevano dall’amministrazione USA, ragione per la quale gli Egiziani hanno rapidamente concluso che nulla era cambiato alla fine, nonostante la rivoluzione di gennaio 2011 contro Mubarak.

Inoltre una ondata di terrore, intellettuale poi fisico, si è abbattuto sul paese in nome della “identità islamica”. Così gli islamisti hanno assediato la Cittadella mediatica, il luogo dove sono situati tutti gli studi delle televisioni private egiziane, minacciando di linciare i presentatori che avessero formulato critiche contro i Fratelli Mussulmani. Molti giornalisti si sono ritrovati bloccati nei loro uffici, non potendo rientrare a casa col rischio di essere uccisi dai militanti islamisti.


Questa politica settaria e anti nazionale ha molto presto esasperato l’opinione pubblica, che ha reagito attraverso il movimento Tamarod (Ribellione) che ha raccolto milioni di firme che chiedevano l’allontanamento dal potere dei Fratelli Mussulmani e ha poi occupato la piazza con ripetute manifestazioni. Trenta milioni di Egiziani, provenienti dai quattro angoli del paese, si sono mobilitati contro Morsi, ma i media occidentali non vi hanno fatto molto caso. Davanti al rischio di scontri violenti, e rispondendo ai ripetuti appelli del popolo che ne chiedeva l’intervento, l’esercito, guidato dal generale al-Sissi, ministro della Difesa, ha finito con l’intervenire per garantire la sicurezza e la stabilità del paese. In nessun caso è stato l’esercito a prendere l’iniziativa.


Al contrario, il generale al-Sissi ha agito con patriottismo accogliendo le insistenti richieste di tutte le componenti della società egiziana, disprezzate e emarginate dai Fratelli Mussulmani, di porre fine al loro regime e alle sue pericolose derive. La decisione di intervenire, inoltre, venne presa in presenza dello sceicco di Al-Azhar – la più alta autorità dell’islam in Egitto – del papa della Chiesa coopta, di personalità politiche influenti, dei giovani rappresentanti di Tamarod, ma anche dei salafisti, tutti desiderosi di salvare l’Egitto dal vero e proprio caos in cui era sprofondato.


Deponendo un presidente illegittimo, l’esercito ha salvato il paese; tuttavia il generale al-Sissi è stato ingiustamente accusato di aver fatto un colpo di Stato da parte di quelli che avrebbero voluto che niente cambiasse e il carattere popolare dell’avvenimento è stato minimizzato, facendo addirittura passare Morsi e i suoi seguaci per delle vittime. Così il rovesciamento del regime settario e violento dei Fratelli Mussulmani, richiesto da più di trenta milioni di Egiziani, è stato considerato illegale dalla comunità internazionale, quella stessa che, pochi mesi più tardi, dichiarerà legittima la “rivoluzione” ucraina sostenuta dall’estrema destra e che aveva rovesciato un presidente democraticamente eletto col controllo degli osservatori europei.


Ben presto il generale al-Sissi ha rivelato l’ampiezza delle attività anti nazionali poste in essere dal regime di Morsi. I Fratelli Mussulmani hanno minacciato ripetutamente una sollevazione violenta dei loro seguaci contro l’esercito se quest’ultimo avesse osato rimettere in causa il loro governo in nome dell’interesse nazionale. Hanno dichiarato di essere pronti a passare all’azione con l’aiuto di elementi venuti da Gaza, ma anche di Hamas e Al Qaida. Questi gruppi non attendevano che un loro segnale per intervenire al Cairo con le loro milizie e mettere l’Egitto a ferro e fuoco.


Anche i servizi di informazione hanno rivelato i contatti telefonici tra Morsi e Ayman El-Zawahri, il capo di Al Qaida, nel corso dei quali il primo avrebbe assicurato al secondo una partnership egualitaria nel governo dell’Egitto. Questo comportamento altamente anti patriottico non deve stupire. Infatti, secondo il principale ideologo dei Fratelli mussulmani, Sayyed Qotb (1906-1966): “la patria è una carogna putrefatta”. Secondo la Confraternita, l’islam non riconosce il principio della sovranità nazionale, né le frontiere. Il suo solo obiettivo è l’instaurazione di un grande califfato islamico, che comprenda tutto il mondo arabo. Morsi era totalmente in linea con questa visione e non si preoccupava in alcun modo dell’Egitto, ragione per la quale egli è stato accusato di alto tradimento al momento della sua deposizione.



Una elezione per la stabilità


Dal 26 al 28 marzo 2014, l’esercito e la polizia egiziana hanno assicurato con successo – e grazie alla cooperazione di molti cittadini consapevoli dell’importanza della posta in gioco – la sicurezza durante queste settantadue ore cruciali per il futuro del paese. Gli islamisti avevano giurato di sabotare le elezioni e di scatenare un’ ondata di attentati terroristi, ma il popolo era pronto a ogni sacrificio affinché le elezioni si svolgessero e si ponesse fine all’incubo in cui era precipitato il paese dall’arrivo dei Fratelli Mussulmani al potere, nel 2012. L’Egitto ha vissuto in tal modo una importante esperienza democratica, con un tasso di partecipazione del 48%, molto buono per il paese (2) : il corpo elettorale comprende cinquantaquattro milioni di votanti e più di venticinque milioni hanno votato. Le elezioni si sono svolte sotto il controllo di osservatori stranieri che non hanno denunciato alcune irregolarità.


La campagna elettorale è stata dominata da due candidati: il maresciallo Abdel Fattah al-Sissi e il socialista Hamdine Sabbahi. In attesa dei risultati ufficiali, si può provvisoriamente dire che Al-Sissi ha ottenuto 23,9 milioni di voti (93,1%) e che è arrivato in testa in tutti i ventisette governatorati dell’Egitto. Il suo rivale ha ottenuto solo 734.000 voti (3,1%). Un milione di voti sono stati annullati. Da notare che l’Alto Comitato elettorale non ha ammesso le schede elettorali degli elettori che avevano votato in città diverse da quelle di residenza (almeno tre milioni di voti non ammessi).


Hamdine Sabbahi ha riconosciuto la sconfitta senza porre in dubbio la regolarità del voto. Entrato in politica negli anni 1970 quando era studente, ha militato per i suoi ideali socialisti e contro Sadat. Durante il regime di Mubarak, ha invano tentato di presentarsi, ai militanti socialisti e nasseriani, come “l’erede” di Nasser, ma senza averne il carisma e senza lanciare alcun progetto. Nel 1997 ha fondato un suo partito politico, El Karama (L’onore). Nel 2005 è stato eletto al Parlamento col sostegno dei Fratelli Mussulmani. Dopo la caduta di Mubarak, Sabbahi si è presentato alle elezioni presidenziali del 2012, giungendo solo terzo, col 20,72% dei voti. Nel corso dell’attuale campagna elettorale, ha beneficiato del sostegno ufficiale dei Fratelli Mussulmani, che volevano sconfiggere a tutti i costi al-Sissi. Ma questo sostegno si è rivelato controproducente, giacché la stragrande maggioranza degli Egiziani è convinta che i Fratelli Mussulmani siano terroristi, responsabili degli assassini di poliziotti e degli attentati che, quasi ogni giorno, insanguinano il paese. La percentuale estremamente umiliante ottenuta da Sabbahi pone fine ai suoi sogni politici e dimostra che il peso elettorale dei Fratelli Mussulmani era solo un mito.


Al contrario, Abdel Fattah al-Sissi ha ottenuto un successo eccezionale grazie all’amplissimo sostegno popolare di tutte le componenti della società egiziana – mussulmani moderati, copti, sufiti, Nubiani, Beduini e anche socialisti – in particolare i giovani e le donne, proprio a causa della sua azione contro i Fratelli Mussulmani.


Ex capo della intelligence militare ed ex ministro della Difesa, conosce bene gli spinosi dossier che lo attendono. E’ un uomo di esperienza che ha dietro di sé quarantacinque anni di carriera militare e una reale esperienza internazionale, avendo studiato negli Stati Uniti e in Inghilterra. Il suo discorso è molto realista: non promette ricette magiche per affrontare le sfide colossali che si presentano all’Egitto, ma si è impegnato solo a non tornare mai indietro, all’epoca di Mubarak o a quella dei Fratelli Mussulmani. Invita gli Egiziani a mettersi al lavoro e promette che lo Stato ristabilirà la situazione economica, in quanto il paese dispone di molti punti di forza. Al-Sissi precisa anche che la sicurezza e la stabilità dell’Egitto sono le priorità. Infine riconosce le aspirazioni del popolo egiziano, che ha acquisito una grande maturità politica dopo due rivoluzioni e che ha saputo sanzionare i suoi dirigenti.


Soprattutto appare come il campione dell’indipendenza e dell’onore nazionale. La destituzione di Morsi lo ha posto in una situazione di pericolosa tensione con l’amministrazione Obama, ma Al-Sissi non ha ceduto alle pressioni statunitensi. Sul piano internazionale, intrattiene eccellenti relazioni coi paesi del Golfo, a eccezione del Qatar che sostiene i Fratelli Mussulmani. Ha saputo ricostruire una cooperazione economica con la Russia, dopo il profondo disaccordo con Washington che preferiva un Egitto governato dai Fratelli Mussulmani, a onta della opposizione popolare.


Abdel Fattah al-Sissi, eletto da una maggioranza schiacciante di Egiziani, ha una storica responsabilità: risanare il paese e ricollocarlo nella sua posizione di potenza regionale. Per questo tutti gli Egiziani sono d’accordo su una cosa: hanno scelto un leader audace e non uno scialbo tecnocrate, perché il nuovo capo dello Stato dovrà prendere delle decisioni coraggiose e difficili.


Dal 2011 il popolo egiziano ha dimostrato di essere determinato a eliminare gli ostacoli alla sua libertà, che si tratti del regime autoritario e corrotto di Mubarak, o di quello dei Fratelli Mussulmani, integralista, teocratico e anch’esso corrotto. Al Cairo la piazza Tahrir è l’epicentro dei movimenti che hanno provocato la caduta dei due regimi che guidavano il paese col pugno di ferro. Oggi essa è il centro delle celebrazioni per l’elezione del nuovo eroe nazionale Al-Sissi.

 


Note:

(1) Non è il caso di Ossin. Leggi, tra l’altro: “Egitto: elezioni presidenziali molto influenzate” di Ahmed Bensaada
http://www.ossin.org/egitto/elezion-egitto-mohamed-morsi-ira-ned-mccain.html


(2) Il tasso di partecipazione al primo turno delle presidenziali del 2012 fu del 46,4%. Raggiunse il 51,8% al secondo turno, perché i Fratelli Mussulmani ricorsero a massicci acquisti di voti, andando a cercare gli elettori più poveri a casa per condurli al seggio elettorale.