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Le mond tel qu’il est, 23 luglio 2015 (trad. ossin)
 
 
La Grecia, il “debito”, Schäuble e i Crasso dei nostri tempi
Bruno Adrie
 
Marco Licinio Crasso, l'uomo più ricco di Roma
 
Origine del debito greco
In una nota scritta da Michel Husson, accessibile sulla pagina del “Collettivo per un audit civico del debito pubblico”, si apprende che il debito pubblico greco è passato dai 2,2 miliardi di euro del 1970, ai 317,2 miliardi di euro del 2014, che a valori costanti esso si è moltiplicato per 21, ma si legge anche che, se si voglia capire meglio il fenomeno, è essenziale analizzare il rapporto debito/PIL, che meglio rende l’idea del livello di indebitamento di uno Stato. Ebbene, questo rapporto debito/PIL ha subito variazioni che spiegano perché la Grecia non navigava in acque tranquille, ancora prima che la crisi scoppiasse.
 
Nel corso degli anni 1970, il rapporto debito/PIL è rimasto basso, passando dal 17,1% al 20,8% (+3,7 punti). Dal 1980 al 1993, è cresciuto rapidamente, passando dal 20,8% al 91,2% (+70,4 punti). Dal 1993 al 2007 si è stabilizzato, passando dal 91,2% al 103,1% (+11,9 punti) poi, dal 2007 al 2014, con una nuova impennata, è passato dal 103,1% al 175,4% (+72,3 punti). Lo scorso 2 luglio, il FMI ha annunciato che il rapporto toccherà il 200% se, nei prossimi due anni, non saranno concessi un periodo di tolleranza e serie detrazioni (Le Figaro, citando un rapporto del FMI).
 
Prima della crisi, il debito greco era pari al 100% del PIL.
 
E ciò per due ragioni, spiega Michel Husson: prima di tutto, a causa degli interessi imposti dai creditori a partire dagli anni 1980, interessi che l’economista giudica “stravaganti”; poi per una riduzione delle entrate fiscali a partire dal 2001, che non ha consentito allo Stato di coprire le spese.
 
Tassi di interesse stravaganti
Praticare tassi di interessi eccessivi è naturalmente dannoso per l’economia, specialmente quando superino il tasso di crescita del PIL. Ebbene, i tassi di interesse, che erano inferiori al tasso di crescita del PIL negli anni 1970, hanno finito per superarlo, e di gran lunga, tra il 1988 e il 2000, “toccando perfino livelli assai elevati, se paragonato a identici indicatori relativi al debito francese” (Michel Husson). La nota conclude, su questo punto, che se “i tassi di interesse del debito greco non fossero stati così anomali tra il 1988 e il 2000, il rapporto debito/PIL sarebbe stato, nel 2007, del 64,4%, invece del 103,1%, con una differenza di 38,7 punti di PIL”. Insomma gli interessi del debito, vale a dire il profitto dei creditori che pagano poco o niente di tasse, sono la prima causa delle difficoltà greche prima della crisi. Quasi 40% di punti di PIL, che abboffata!
 
Entrate fiscali insufficienti
Il secondo fattore che ha contribuito ad accrescere il rapporto debito/PIL è la riduzione delle entrate fiscali. La nota fa osservare che, nel periodo che ha preceduto l’ingresso nell’euro, in ragione della volontà di rispettare i criteri di Maastricht, le entrate fiscali sono molto cresciute. Ma dopo l’ingresso nella moneta unica, sono stati elargiti una serie di regali fiscali alle classi dominanti: diminuzione delle tasse di successione, dimezzamento delle imposte sui redditi e varo di tre leggi di amnistia fiscale per gli evasori. Tutto ciò ha comportato una tale riduzione delle entrate fiscali, da mettere lo Stato in difficoltà. Michel Husson conclude che, “se le entrate tributarie non si fossero ridotte a partire dal 2000, il debito pubblico si sarebbe fermato allo 86,2% del PIL, invece del 103,1%, con uno scarto di 16,9 punti di PIL”. Ancora una volta, sono i ricchi la causa del problema, perché non pagano o pagano troppo poco.
 
Conclusione di Michel Husson
Michel Husson termina in questo modo il suo saggio: “Il debito greco si sarebbe fermato al 45,3% del PIL, invece che raggiungere il 103,1%. Si tratta di una variazione del 57,8% del PIL che può scomporsi in un effetto di interessi (40,9 punti) e un effetto entrate (16,9 punti)”. Traduciamo: se non si fosse consentito all’internazionale dei ricchi di pretendere interessi “stravaganti” e se le classi dominanti locali avessero pagato tasse più giuste, la Grecia avrebbe economizzato 60 punti di PIL. Non avrebbe quindi spaventato gli investitori internazionali che avrebbero continuato a prestarle denaro. Nessuno avrebbe dato l’allarme e quindi niente Troika, niente pacchetti di riforme che hanno provocato una riduzione del 25% del PIL e, cosa più grave, una riduzione del 33% nel rapporto col debito. Non vi sarebbe stata disoccupazione massiccia (25% della popolazione attiva, 50% dei giovani), non l’aumento del tasso dei sucidi, 800.000 dipendenti del settore privato non avrebbero dovuto aspettare da 1 a 18 mesi per ottenere il salario (Martialis) e i poliziotti non sarebbero stati tentati di riprendere la loro tradizione repressiva in piazza Syntagma, nella notte tra il 15 e il 16 luglio.
 
Il pubblico non è informato
Ma i media dominanti non lo spiegano al pubblico. Invece di farlo, invece di fare il mestiere che pretendono di fare, i giornalisti pagati dai ricchi dicono che in Grecia ci sono troppi impiegati pubblici, che i Greci hanno scialacquato troppo nel corso degli ultimi anni e che, nonostante le riforme (la festa è finita), la Grecia è rimasta un pozzo senza fondo. E tutti lo ripetono, tutti lo cantano, senza sapere che, nel 2001, i dipendenti pubblici rappresentavano solo il 7% della forza-lavoro in Grecia (8% nel 2014), contro l’11% della Germania e il 23% della Francia; che dei 207 miliardi di euro “prestati” tra il 2010 e il 2014, solo 14,7 sono andati ad “ingrassare” le casse dello Stato, il resto è andato a gonfiare direttamente le tasche elastiche e ben cucite dei creditori. Tutto questo senza considerare che la Grecia dovrà pagare, fino al 2054, interessi su somme che non ha mai toccato. Ma tutti dicono che c’è ancora bisogno di molte riforme.
 
Che siano gli uomini politici a non voler prendere atto di questa realtà, lo si può capire. Sono troppo impegnati in incontri, pranzi, discussioni, cocktail, tavole rotonde e altri conciliaboli di cui nulla si sa, ma nei quali emerge la vera natura della loro funzione – quella che si nasconde dietro la funzione ufficiale – giacché essi altro non sono se non dei commessi viaggiatori che lavorano per conto di una casta che Georges Bernanos definiva “canaglie da Grand Hotel e wagon-lit”.
 
Che non ne vogliano sapere nulla anche dei giornalisti, il cui tempo di cervello disponibile è esclusivamente destinato alle litanie e alla recitazione dell’ideologia neoliberale, lo si può ancora comprendere. L’abbiamo visto e sentito nel “Les nouveaux chiens de garde” di Balbastre e Kergoat, o nel primo episodio di “Les anes ont soif” del documentarista arrabbiato dall’umorismo sarcastico Pierre Charles. Sappiamo che se ne infischiano, che preferiscono l’autoreferenzialità delle trasmissioni di “dibattito” e di attualità e le cene del Secolo, dove vanno a prendere gli ordini di quelli che li tengono al guinzaglio e che hanno loro insegnato a dare la zampa e a non sbavare sulla moquette.
 
Quello che risulta incomprensibile è che uno Schäuble, che certamente conosce la verità e che desidera che i colpevoli paghino i loro debiti, non strangoli i banchieri e gli investitori che hanno approfittato dei tassi “stravaganti”, o i componenti della Troika che ha sprofondato il paese in una crisi economica abissale. Perché dunque? Perché sono lontani? Perché dipende da loro? O perché fa parte del club?
 
Herr Schäuble, quando la guardiamo, che cosa vediamo? Un polito onesto? No. Un amministratore serio? No. Un patriota tedesco? Nemmeno. Vediamo solo l’esecutore di una agenda mai pubblicata, ma che riusciamo almeno in parte immaginare, noi, i diffidenti, noi che abbiamo capito che la politica è la menzogna diventata arte, e che voi padroni, i Crasso di oggi, vi fermerete solo quando sarete morti per esservi troppo abboffati del mondo.
 
Attendiamo questo momento con impazienza.