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Il terremoto di Haiti

(cronaca - storia - riflessioni)



Cronaca: AlterPresse (quotidiano di Haiti) – venerdì 15 gennaio 2010


Sisma di Haiti: 3 giorni dopo la violenta scossa tellurica del 12 gennaio


Port au Prince, 19 gennaio 2010 – Haiti resta sotto choc, 3 giorni dopo la potente scossa tellurica che ha colpito la capitale e diverse altre regioni, soprattutto dell’Ovest e del Sud-Est, provocando – secondo diverse stime – decine di migliaia di morti.

Ancora cadaveri nelle strade
AlterPresse può constatare che diverse strade sono ancora disseminate di cadaveri, mentre solo adesso si cominciano ad organizzare dei convogli per trasportare i corpi in stato di decomposizione in località della periferia della capitale.
Inoltre i cadaveri abbandonati sui marciapiedi, soprattutto nelle vicinanze dell’Ospedale e dell’Università statale di Haiti (HUEH), ed i corpi imprigionati nelle macerie fanno aleggiare nell’aria un odore nauseabondo.
Molte persone camminano col volto protetto da sciarpe per evitare di essere intossicate.

Il ricordo della scossa
Resta vivo il ricordo delle scosse del pomeriggio del 12 gennaio. Le residenza di numerosi quartieri, le fabbriche e gli uffici pubblici, alcuni dei quali governativi, sono in rovina.

Materiali pesanti da rimuovere

Si notano pochi trattori nelle zone interessate e gli abitanti tentano ancora di recuperare dei corpi, sia per dare loro sepoltura, sia per tentare di liberare le rovine dei cadaveri in decomposizione.
Alcune famiglie hanno deciso di seppellire i loro parenti vittime del sisma nel luogo stesso del crollo.
In alcuni istituti di insegnamento come l’”Univertità di Port-auPrince”, si teme che un numero indeterminato di giovani sia morto. E lo stesso vale per molti altri luoghi pubblici, come gli hotel e i supermercati che sono crollati.

Miracoli
In qualche caso, ancora il 14 gennaio, delle persone sono state recuperate vive dalle macerie, grazie agli sforzi quasi sovrumani di soccorritori improvvisati.

Saccheggiatori all’opera
Ma, insieme agli slanci di generosità, è cominciata anche l’opera dei saccheggiatori. La polizia e la Missione delle Nazioni Unite per la stabilizzazione di Haiti (MINUSTAH), poco visibili, hanno formato dei cordoni di sicurezza nelle vicinanze di qualche supermercato.

La polizia e la MINUSTAH traumatizzati
La polizia e la MINUSTAH sono state anch’esse colpite in pieno dalla catastrofe. Il centro di comando della forza ONU (Hotel Cristopher, Bourdon) e diversi commissariati sono crollati. Il capo della MINUSTAH, Heidi Annabi, sarebbe tra le vittime insieme a molti altri membri della missione ed un numero indeterminato di poliziotti.

Problemi di coordinamento degli aiuti

Secondo le notizie disponibili, si cominciano a dispiegare i primi aiuti, ma problemi di coordinamento ne impediscono la distribuzione annunciata dai media.

Alcuni beni cominciano a scarseggiare

Si vedono code di veicoli e di persone davanti alle pompe di benzina e davanti alcuni banchi di distribuzione dell’acqua.

Lo Stato quasi assente

Si attendono ancora direttive del governo e l’amministrazione pubblica haitiana non esiste quasi più dopo il crollo del palazzo presidenziale, di diversi ministeri e di altri simboli dello Stato. Solo il capo dello Stato, René Préval, e qualche ministro, hanno fatto sentire la propria voce nel corso di alcune interviste a dei media che riescono a funzionare.

Difficoltà di comunicazione
L’assenza di coordinamento e di presenza dello Stato è aggravata dalle difficoltà di comunicazione che persistono. Le installazioni telefoniche e di connessione internet sono state molto colpite come la maggior parte dei media.
Tale situazione favorisce il diffondersi di voci incontrollate e si assiste a scene di panico ogni qualvolta si verificano delle repliche

Esodo
Si assiste ad una specie di esodo su alcune strade, con una folla di persone in viaggio con bagagli verso diverse destinazioni.

Rifugi improvvisati
Vi sono dei rifugi improvvisati nelle piazze pubbliche, soprattutto il Campo di Marte. I dintorni della residenza del Primo Ministro sono anch’essi presi d’assalto.
Le perdite in vite umane toccano tutti i settori della società haitiana (politico, socio-professionale, sociali, economici, finanziari, religiosi, ecc.)

L’angoscia cresce
Man mano che il tempo passa, cresce l’angoscia tra gli abitanti della capitale che temono di poter venire a conoscenza in ogni momento della morte di un parente o di un amico.
Le ultime scosse telluriche di forte intensità risalgono al 3 giugno 1770 a Port-au-Prince, ed al 7 maggio 1842 a Cap-Haitien (Nord)
 




Storia: Il Manifesto, 16 gennaio 2010


Haiti è di nuovo "americana"

di Maurizio Matteuzzi


La reazione di Obama alla tragedia che ha colpito Haiti è stata prontissima e forte. 100 milioni di dollari subito come «prima tranche» di aiuti, migliaia di marines e truppe scelte della (piuttosto inquietante) ottantaduesima brigata aerotrasportata per pattugliare le strade ed evitare violenze e saccheggi, portaerei e nave-ospedale, la «riconversione umanitaria» del lager anti-islamico nella base cubana di Guantanamo, le U.S. Air Force Special Operation Forces che «si è impadronita» (parole de la Repubblica) dell'aeroporto di Port-au-Prince e decide «chi può atterrare e chi no». Va bene, è «uno strappo alla sovranità nazionale di Haiti» ma anche prima «era comunque una finzione». Di fatto gli americani si ritrovano a governare Haiti come è già capitato un'infinità di volte.
Tutto bene e a fin di bene. Come a dire che, questa volta, gli Stati uniti di Obama - il primo presidente nero - «non dimenticheranno e non abbandoneranno» Haiti - la prima repubblica nera del mondo.
Ma gli Stati uniti non hanno mai dimenticato né abbandonato Haiti durante gli ultimi 100 anni (semmai l'hanno spolpata, ma questo è un'altro discorso). Altrimenti non sarebbe ridotta com'è ridotta: un Stato fallito del quarto mondo. E il terremoto non avrebbe avuto gli effetti apocalittici - almeno in termini di morti - che ha avuto.
Sia chiaro. Questo non è un processo alle intenzioni (anche se il primo anno di presidenza Obama si è caratterizzato, a giudizio quasi unanime, più per le buone intenzioni che per i risultati).
Ma Haiti è Haiti e la storia (dei suoi rapporti con gli Usa) è la storia. Per Haiti e la sua storia, i «buoni» Woodrow Wilson e Bill Clinton non sono stati molto (o niente) diversi dai «cattivi» Teddy Roosevelt e George W. Bush (Clinton e Bush, la strana coppia che Obama ha messo alla testa del team bipartisan di coordinamento degli aiuti).
Tutti si augurano che Obama abbia la forza e la volontà di rompere questo linkage perverso (e chi ne dubita si vada a leggere Noam Chomsky, non Fidel Castro o Hugo Chvez, a meno che anche Chomsky sia diventato troppo «anti-americano»).
Con le decine di migliaia di morti ancora sparsi fra le rovine di Port-au-Prince e la commozione del mondo di fronte all'apocalisse haitiana, forse è sgradevole parlarne adesso.
Invece bisogna parlarne. Adesso. E c'è chi ne parla. Ad esempio Naomi Klein, autrice di best-seller come No Logo e Shock Economy. Intervenendo a New York mercoledì scorso ha lanciato un «allarme» sulle intenzioni di quello che lei ha chiamato «il capitalismo dei distastri» (disastri naturali, disastri economici, disastri politici): «Stop them before they shock again». «Loro», quelli da fermare prima che colpiscano di nuovo, sono gli «shockterapeuti», gli adepti della «shockterapia» che il Nobel per l'economia Joseph Stigliz (altro noto «anti-americano») ha definito «i bolscevichi del mercato per la passione dimostrata verso il cataclisma rivoluzionario».
L'altra sera a New York la Klein ha detto che «deve essere assolutamente chiaro che questa tragedia - in parte naturale, in parte non naturale - non deve, in nessun caso, essere usata 1) per aumentare il debito di Haiti e 2) per portare avanti impopolari politiche favoriscono gli interessi delle nostre corporations. Questa non è una teroria del complotto. L'hanno già fatto più e più volte». E «sono pronti a rifarlo», ha aggiunto, citando a mo' di esempio un documento diffuso dalla Heritage Foundation, «uno dei sostenitori di punta dello sfruttamento dei disastri per imporre unpopular pro-corporate policies», in cui si leggeva: «Oltre a fornire immediata assistenza umanitaria, la risposta degli Stati uniti al tragico terremoto di Haiti offre l'opportunità di ridisegnare il governo e l'economia haitiane che da lungo tempo non funzionano, e di migliorare l'immagine pubblica degli Stati uniti nella regione».
«Loro», ha aggiunto la Klein, «non hanno aspettato neanche un giorno per sfruttare il devastante terremoto a Haiti e premere per le loro cosiddette riforme» e anche se poi quella frase è stata tolta dalla Heritage Foundation e sostituita con una «citazione più diplomatica», il loro «primo istinto è rivelatore».
Obiettivi economici a breve e lunga scadenza, obiettivi politici di riconquista dell'egemonia in un' America latina che da un po' di tempo tende a sfuggire loro di mano.
Un altro sito degli «shockteraputi», The Foundry, che si definisce «promotore di politiche e principi conservatori», sempre legato alla Heritage Foundation, scrive che, accorrendo per primi e in massa sul luogo della tragedia, «i soldati Usa hanno anche la possibilità di interrompere i voli notturni carichi di cocaina diretti a Haiti e la Repubblica dominicana dalle coste del Venezuela» (ma non venivano dalla Colombia filo-americana di Uribe?) «e di fronteggiare gli incessanti tentativi del presidente venezuelano Hugo Chávez di destabilizzare l'isola di Hispaniola». Non solo. «Questa presenza militare Usa, che dovrebbe anche includere una grossa presenza della Guardia costiera, ha anche la possibilità di prevenire un movimento su larga scala degli haitiani che si lanciano in mare su pericolose e rischiose imbarcazioni per tentare di entrare illegalmente negli Stati uniti». Così si riolverebbe anche il problema dei boat-people. Più in generale «gli Stati uniti dovrebbe portare avanti un forte e vigoroso sforzo diplomatico per fronteggiare la propaganda negativa che certamente verrà dal campo Castro-Chávez. Questo sforzo servirà anche a dimostrare che il coinvolgimento Usa nei Caraibi resta un forza poderosa per il bene delle Americhe e del mondo»
Obiettivi del resto ben chiari, per chi guardi al ruolo degli Stati uniti senza farsi obnubilare dal fascino di Obama, anche al Brasile di Lula che sta cercando, come scriveva ieri Europa, «di contendere la leadership umanitaria di Obama a Haiti», con soldi e aiuti anche se su scala infinitamente minore (mentre una coltre si silenzio copre gli aiuti di paesi come Cuba e Venezuela). Lula, di fronte alle critiche della sinistra interna (anche il Pt, il suo partito) contro «la forza di occupazione» della missione di stabilizzazione inviata dall'Onu a Haiti nel 2004, ha giustificato la preponderanza del contingente brasiliano (1200 uomini) con la necessità di controbilanciare il peso degli Usa nel paese e nella regione caraibica. Ma, per ora, il ruolo di «buono» nella tragica storia haitiana ha un solo nome e un solo protagonista: Obama.
Tutti auspicano un happy end per Haiti. Ma il richiamo con l'uragano Katrina, che nel 2005 spazzò via New Orleans, è forte e inevitabile. Allora il non compianto professor Milton Friedman, il guru della «economia dei disastri» e della «shockterapia», scrisse un'editoriale sul Wall Street Journal che Katrina era una tragedia ma anche «un'opportunità», e un deputato della Louisiana disse che «finalmente siamo riusciti a ripulire il sistema della case popolari a New Orleans. Noi non sapevamo come fare, ma Dio l'ha fatto per noi».
Ora «Dio» l'ha fatto con Haiti. Allora alla Casa bianca c'era Bush, oggi c'è Obama. Vedremo cosa farà.




Riflessioni: Granma - Le riflessioni del compagno Fidel


La lezione di Haiti


Due giorni fa, circa alle sei del pomeriggio, ora di Cuba, quando era già notte in Haiti, per via  della sua ubicazione geografica, le emittenti televisive hanno cominciato a diffondere le notizie del violento terremoto, con potenza 7.3 gradi della scala Richter, che ha severamente colpito  Puerto Príncipe.

Il fenomeno sismico si è originato in una faglia tettonica nel mare, a soli 15 chilometri dalla capitale haitiana, una città dove l’80% della popolazione vive in case precarie, costruite con fango e mattoni.

Le notizie sono continuate quasi senza interruzione per ore. Non c’erano immagini, ma si affermava che molti edifici pubblici, ospedali, scuole e installazioni, costruiti più solidamente, erano crollati.

Ho letto che un terremoto di  forza 7.3 equivale all’energia provocata da un’ esplosione uguale a 400.000 tonnellate di TNT. Si trasmettevano tragiche descrizioni  I feriti per le strade reclamava l’aiuto dei medici, circondati dalle rovine, con famiglie seppellite.   

Nessuno, senza dubbio, ha potuto trasmettere immagini per molte ore.

La notizia ci ha preso tutti di sorpresa. Molti, ascoltavamo con frequenza le informazioni sugli uragani e le grandi inondazioni in Haiti, ma ignoravamo che questo pese vicino correva il rischio di forti terremoti. Ora si ricorda che 200 anni fa avvenne un terremoto simile in questa città, che sicuramente allora aveva poche migliaia di abitanti. Nessuno poteva trasmettere alcuna immagine.

A mezzanotte non si dava ancora una cifra approssimativa delle totale delle vittime.  Alti capi delle Nazioni Unite e vari capi di Governi parlavano dei drammatici avvenimenti  e annunciavano l’invio di brigate di soccorso.

Dato che in Haiti sono presenti le truppe della MINUSTAH, le forze delle Nazioni Unite di diversi paesi, alcuni ministri della difesa parlavano di possibili vittime tra il loro personale.

In realtà  è stato solo ieri, mercoledì, che sono giunte le tristi notizie dell’enorme numero di vittime tra la popolazione, e istituzioni come le Nazioni Unite hanno  informato che alcuni dei loro edifici in questo paese erano “collassati”, una parola che sola non dice nulla, ma può significare molto.

Per ore, ininterrottamente, sono giunte notizie sempre più traumatiche sulla situazione di questo  fraterno paese. Si discutevano i totali delle vittime che fluttuano, secondo versioni, tra 30.000 e 100.000.

Le immagini sono desolanti; è evidente che il disastroso terremoto ha ricevuto un’ampia divulgazione mondiale e molti governi, sinceramente commossi, realizzano sforzi per cooperare nella misura delle loro risorse.

La tragedia commuove in buona fede un gran numero di persone e sopratutto quelle di carattere più naturale. Però, forse, pochi si fermano a pensare perchè Haiti è una paese così povero. Perchè la sua popolazione dipende quasi al 50% dalle rimesse familiari che riceve dall’estero? Perchè non si analizza anche la realtà che ha condotto alla situazioni attuale di Haiti ed alla sua enorme sofferenza?  

La cosa più curiosa di questa storia è che nessuno pronuncia una parola per ricordare che Haiti è stato il primo paese in cui 400,000 africani  schiavi e rapiti da trafficanti europei, si sollevarono contro 30.000 padroni bianchi di piantagioni di canne da zucchero e caffè, realizzando la prima grande rivoluzione sociale nel nostro emisfero.

Pagine insuperabili di gloria sono state scritte lì. Il più  eminente generale di Napoleone fu sconfitto. Haiti è un prodotto netto del colonialismo e dell’imperialismo, di più di un secolo di uso delle sue risorse umane nei lavori più duri, degli interventi militari,  dell’estrazione delle sue ricchezze.

Questa dimenticanza storica non è tanto grave, come il fatto reale che Haiti costituisce una vergogna della nostra epoca, in un mondo dove prevalgono lo sfruttamento ed il saccheggio dell’immensa maggioranza degli abitanti del pianeta.

Migliaia di milioni di persone in America Latina, Africa ed Asia, soffrono per carenze simili, anche se forse non tutte in una proporzione tanto alta come Haiti. Situazioni come quella di questo paese non dovrebbero esistere in nessun luogo della Terra, dove abbondano decine di migliaia di città e di paesi in condizioni simili e a volte peggiori, in virtù di un ordine economico e politico internazionale ingiusto, imposto al mondo.

La popolazione mondiale non è minacciata unicamente dalle catastrofi naturali come quella di Haiti, che è solo una pallida ombra di quello che può avvenire nel pianeta con il cambio climatico, che è stato realmente oggetto di burla, scherno ed inganno a Copenaghen.

È giusto riconoscere tutti i paesi e le istituzioni che hanno perso alcuni cittadini o membri, per via della catastrofe naturale in Haiti: non dubitiamo che realizzeranno in questi momenti il maggior sforzo per salvare vite umane e alleviare il dolore di questo popolo sofferente, Non possiamo incolparli del fenomeno naturale avvenuto, anche se siamo in disaccordo con la politica seguita con Haiti.

Non posso non esprimere la mia opinione sul fatto che è ora di trovare soluzioni reali e vere per questo popolo fratello.

Nel settore della salute ed in altre aree, Cuba, pur essendo un paese povero e bloccato da anni, coopera con il popolo di Haiti in 227 dei 337 comuni del paese, dove  lavorano tutti i giorni i nostri medici. D’altra parte, non meno di 400 giovani haitiani si sono laureati in medicina nella nostra Patria, ed ora lavoreranno con il gruppo di rinforzo che è appena partito, per salvare vite umane in questa critica situazione.

Si possono mobilitare quindi e senza uno sforzo speciale, sino a mille medici e specialisti della salute che stanno già quasi tutti lì e sono disposti a cooperare con qualsiasi altro Stato che desideri salvare le vite degli haitiani e curare i feriti.

Un altro elevato numero di giovani haitiani sta studiando medicina in Cuba.

Inoltre cooperiamo in altre sfere alla nostra portata, con il popolo haitiano. Non ci sarà, senza dubbio un’altra forma di cooperazione così degna come la lotta nel campo delle idee ed un’azione politica per porre fine alla tragedia senza limite che fa soffrire un gran numero di nazioni come Haiti.

La responsabile  della nostra Brigata Nedica ha informato: “La situazione è difficile, ma abbiamo già cominciato a salvare vite”.   

Lo ha fatto con un breve messaggio poche ore dopo il suo arrivo a Puerto Principe, ieri, con il rinforzo di medici addizionale.

Nella notte ha comunicato che i dottori cubani e gli haitiani laureati nella ELAM si stavano muovendo nel paese ed avevano già assistito a Puerto Principe più di mille pazienti, ponendo in funzione con urgenza un ospedale che non era crollato ed utilizzando tende da campo  dov’era necessario, ed inoltre si preparavano per rendere agibili altri centri d’assistenza, con urgenza.

Sentiamo un sano orgoglio per la cooperazione che in questi istanti tragici i medici cubani ed i giovani medici haitiani che hanno studiato in Cuba, stanno prestando ai loro fratelli di Haiti!

 Fidel Castro Ruz
- 14 gennaio del 2010
Ore 20.25
(Traduzione Gioia Minuti)