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Cf2R (Centre Français de Recherche sur le Renseignement), settembre 2018 (trad.ossin)
 
Chiarito il mistero dei rapporti tra Al Qaeda e l'Iran
Alain Rodier
 
Un recente studio indipendente statunitense [1], sul tema delle relazioni tra Al Qaeda e l’Iran, finalmente chiarisce un mistero che risale al 2001. Infatti, quando la coalizione internazionale invase l’Afghanistan (2002)  - a seguito del rifiuto opposto dal governo di quel paese a consegnare bin Laden, accusato di essere responsabile degli attentati dell’11 settembre -, numerosi attivisti di Al Qaeda e le loro famiglie trovarono rifugio in Iran. In seguito è stato sempre assai difficile sapere quale fosse la natura delle relazioni intercorse tra Teheran e Al Qaeda.
 
Osama bin Laden
 
Questa “zona d’ombra“ è da anni presa a pretesto dall’amministrazione USA, per accusare l’Iran di complicità con quella organizzazione terrorista, responsabile di migliaia di vittime. E recentemente è stato uno degli argomenti con cui il presidente Donald Trump ha giustificato le sanzioni contro Teheran, anche prima del ritiro, nel 2018, degli Stati Uniti dall’accordo JCPOA (Joint Comprehensive Plan of Action) sulla programma nucleare iraniano, firmato nel 2015.
 
La ricercatrice Nelly Lahoud, del Think Tank New America (Washington), ha avuto accesso ai documenti recuperati dalle forze speciali USA a Abbottabad, nel maggio 2011, in occasione dell’operazione speciale per uccidere bin Laden. Oltre ai documenti resi pubblici dal Combatting Terrorsim Center di West Point, ha anche avuto accesso ai documenti comunicati dal Director of National Intelligence tra il 2015 al 2017, e poi dalla CIA nel 2017.
 
Il suo studio minuzioso ha consentito di evidenziare soprattutto due documenti particolarmente interessanti :
 
– una lettera di 19 pagine, scritta da un alto dirigente di Al Qaeda a gennaio 2007, che riferisce in dettaglio gli inviti loro rivolti da Teheran nel 2004 a porre termine agli attacchi anti-sciiti in Iraq ;
 
– e un « diario » di 220 pagine, attribuibile a bin Laden, ma verosimilmente scritto dalla figlia Miriam[2]. Esso copre il periodo da marzo a maggio 2001, vale a dire subito prima che Osama bin Laden fosse abbattuto dai proiettili dei Seals, i commando dell’ US NAvy.
 
Da una lettura approfondita di questi documenti, Nelly Lahoud trae la conclusione che non vi è « alcuna prova di cooperazione […] nella organizzazione o esecuzione di attacchi terroristi » tra Al Qaeda e Teheran.
 
Afferma che occorre distinguere tre differenti periodi per ciò che concerne le relazioni dell’Iran con la nebulosa terrorista:
 
– Il primo è assai breve e corre dal dicembre 2001 all’inizio del 2002. L’Iran accolse sul suo territorio centinaia di jihadisti che fuggivano davanti alle forze della coalizione, entrati nel paese con un visto o, più spesso, illegalmente. Teheran all’epoca collaborò con Riyad perché questi attivisti fossero rimpatriati nei loro paesi di origine (Arabia Saudita o Kuwait). Le autorità iraniane chiedevano a questi specialissimi rifugiati di mantenersi discreti e di non comunicare tra di loro. Però i jihadisti non rispettarono questa prescrizione, intrattenendo comunicazioni telefoniche con attivisti ceceni e di altre nazionalità. Taluni si allontanarono inoltre  dalla regione di Zahédan, dove erano stati concentrati, andandosene liberamente in giro per il paese.
 
– Il secondo è altrettanto breve e si estende dall’inizio del 2002 al marzo 2003. Senza dubbio irritati dai comportamenti indisciplinati dei jihadisti di Al Qaeda, le autorità iraniane hanno cominciato ad arrestarli e a trasferirli manu militari all’estero. Da notare che all’epoca gli Iraniani si incontravano regolarmente con emissari statunitensi a Ginevra [3] per scambi di informazioni su varie questioni, tra cui anche Al Qaeda e i suoi affiliati.
 
– Il terzo inizia con l’invasione USA dell’Iraq nel 2003. Gli attivisti che si trovavano ancora in Iran, compresa una parte della famiglia di bin Laden, vennero collocati in residenza obbligata. Teheran propose a Washington uno scambio tra i membri di Al Qaeda e alcuni responsabili dei Mujaheddin del popolo (MEK) residenti in Iraq, ma  Washington non accettò. Lo scambio era inconcepibile dal punto di vista umanitario, in quanto gli estradati sarebbero stati giustiziati; inoltre gli Statunitensi già pensavano che il MEK sarebbe stato loro molto utile un giorno contro il regime dei mullah.
 
Tutto questo non vuole quindi dire che l’Iran cooperasse con Al Qaeda. Un documento di Abbottabad parla d’altronde del « regime deviazionista iraniano », che riflette la convinzione dei sunniti radicali che gli sciiti non siano dei « veri musulmani » in quanto non rispettano i “veri valori“ dell’islam.
 
Sembra piuttosto che vi fosse uno scambio di comunicazioni nel rispetto del vecchio adagio : « quando non si è in grado di battere un nemico, bisogna trovare una composizione con lui ». Quindi, a luglio 2004, gli Iraniani chiesero a bin Laden di intervenire sugli attivisti a lui affiliati perché ponessero fine agli attacchi contro le moschee sciite in Iraq. Venne loro risposto che, in cambio, dovevano rilasciare i membri della famiglia di bin Laden. La condizione non venne accolta e, quindi, si intensificarono gli attacchi contro gli sciiti, non solo in Iraq, ma anche in Pakistan. Questa liberazione tuttavia avvenne molto più tardi, nel 2010, quando la moglie di bin Laden, Umm Hamza, suo figlio Hamza e la sua famiglia furono scambiati con l’attaché commerciale iraniano rapito nel 2008 in Pakistan.
 
Il “diario“ più su citato manifesta il fascino esercitato su bin Laden da parte delle rivoluzioni arabe e i suoi interrogativi sul come fosse possibile accompagnarle. Qui si fanno rari i riferimenti all’Iran, a parte l’inquietudine manifestata da bin Laden a proposito di una possibile mobilitazione delle popolazioni sciite in Arabia Saudita e in Bahrein, avendo Teheran, a suo giudizio, un politica rivoluzionaria mondiale e potendo approfittare del disordine provocato da questi avvenimenti. L’autore cita anche una lettera assai nota di bin Laden a sua moglie Umm, in occasione della sua liberazione nel 2010. Le raccomanda di non portare con sé niente dall’Iran, ivi compresi abiti e libri, giacché qualsiasi oggetto, anche delle « dimensioni di una pillola », avrebbe potuto essere imbottito di esplosivo dai suoi carcerieri.
 
Conclusioni
 
Per giustificare l’invasione dell’Iraq del 2003, oltre al possesso di armi di distruzioni di massa, Washington ha anche sostenuto che  Saddam Hussein cooperasse con Al Qaeda. Entrambe le asserzioni si sono rivelate false. All’epoca i servizi di intelligence francesi non si fecero ingannare e avvertirono il presidente Chirac, che prese la decisione giusta : non imbarcarsi con Washington in una avventura militare le cui motivazioni erano più che oscure e i cui esiti si sono rivelati catastrofici. Come reazione, la Francia subì allora i fulmini di Washington.
 
Gli Statunitensi utilizzano oggi gli stessi argomenti per irrigidire la loro politica verso Teheran. Se il programma balistico e i dubbi sul reale arresto del programma nucleare di Teheran possono essere oggetto di approfondimento, parlare di legami di cooperazione tra gli Iraniani e Al Qaeda sembra essere invece, come minimo, esagerato.
 
 
Note: 
 
[1] Iran and Al-Qaïda : the View from Abottabad, September 2018, https://www.newamerica.org/international-security/events/iran-and-al-qaida-view-abottabad/
 
[2] E non da suo padre come si era inizialmente creduto.
 
[3] Questa città è stata sempre una sede privilegiata per le trattative tra Washington e Teheran. E’ qui che emissari segreti statunitensi hanno negoziato l’Irangate, l’accordo in base al quale venivano forniti pezzi di ricambio all’esercito iraniano con l’intermediazione dello Stato ebraico. Una parte dei pagamenti effettuati servivano a finanziare i Contras nicaraguensi.