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Cf2R (Centre Français de Recherche sur le Renseignement), 8 luglio 2014 (trad. ossin)



Lo Stato Islamico nel mondo

Alain Rodier


Il 29 giugno 2014, primo giorno di ramadan, Ibrahim Ibn ‘Iwad, Ibn Ibrahim, Ibn ‘Ali, Ibn Muhammad Al-Badri Al-Hachimi Al-Qourachi per discendenza, As-Samourra-i per nascita, Al-Baghdadi per il luogo in cui ha fatto gli studi e ha vissuto, è stato proclamato “califfo” dello Stato Islamico (IS) che si stende al momento da Aleppo (Siria) a Diyala (Iraq). L’IS è l’erede dello Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (sham) (ISIS), creato nel 2006 dopo la morte del padre fondatore di questa vera e propria obbedienza di Al Qaeda, il giordano Abu Mussab al-Zarkaui


Dal punto di vista storico, si tratta del quinto califfato, l’ultimo (ottomano) essendo stato abolito da Mustafa Kemal Ataturk nel 1924. Al-Baghdadi esige che tutti i mussulmani lo riconoscano come capo spirituale e politico. Applicando i principi della scuola hanbalite, considerata come la più rigorosa delle quattro scuole islamiche, il “califfo Ibrahim”, come è oramai conosciuto, è apparso in un video di 21 minuti, venerdì 4 luglio, per esigere, nel corso di una predica tenuta nella grande moschea di Mossul, che tutti i capi mussulmani gli prestino obbedienza: “Io sono il wali (leader) designato per guidarvi”. Questa lunga apparizione in pubblico la dice lunga sul controllo esercitato dagli uomini di Al-Baghdadi sulla seconda città dell’Iraq, conquistata senza resistenze nel giugno 2014.


Inutile dire quale accoglienza è stata fatta alle sue richieste dal re dell’Arabia Saudita “guardiano dei luoghi santi di La Mecca e di Medina”, dal re del Marocco “comandante dei credenti” e da tutti i capi di Stato mussulmani. Perfino il predicatore qataro-egiziano, fondamentalista e vicino ai Fratelli Mussulmani, Yussef Al-Qaradaui, ha dichiarato che, sebbene egli si auguri davvero l’avvento del califfato il prima possibile, il modo in cui lo stato Islamico è stato dichiarato “viola la charia” ed ha delle conseguenze pericolose sui sunniti in Iraq e sulla rivolta in Siria. Secondo lui, il titolo di califfo deve essere accordato dalla nazione mussulmana nel suo insieme e non può essere usurpata da un gruppo. Da notare che quello che più ci perde la faccia è il dottore Ayman Al-Zawahiri, il leader storico di Al Qaeda e successore di Osama Ben Laden, egli appare assai isolato e impotente nelle sue montagne pachistane.



Il Kurdistan iracheno

A causa degli ultimi avvenimenti in Iraq del giugno, il governo regionale del Kurdistan (GRK) controlla oramai la parte nord del paese e ha evitato di scontrarsi con Al-Baghdadi. Organizza le forze – soprattutto mobilitandole – per poter conservare i territori che oramai controlla, non solo contro una possibile incursione islamica ma anche, più tardi, contro un ritorno delle forze del governo centrale di Baghdad. Il suo obiettivo è orami chiaro: la dichiarazione di indipendenza legittimata da un “referendum regionale”, il cui risultato è prevedibile.


Tuttavia il GRK si trova a dovere fronteggiare tre gravi problemi.


- L’afflusso, a partire dal 2013, di più di 300.000 rifugiati curdi, sciiti e cristiani, che fuggono le persecuzioni dei seguaci dell’ISIS. Questo flusso potrebbe ancora crescere in avvenire. E’ possibile che gli jihadisti vi si infiltrino. La loro missione sarebbe di infiltrarsi in Kurdistan per commettere atti terroristi diretti a destabilizzare il GRK.

- D’altronde, ed è il secondo problema, diverse centinaia di Curdi (tra 200 e 500) si sarebbero arruolati in Siria nei ranghi dei ribelli, e una parte proprio nell’ISIS. Il loro rientro è temuto in Kurdistan proprio come negli altri paesi.

- Infine il Kurdistan è diviso tra due grandi partiti dotati ciascuno delle sue proprie forze militari: l’Unione patriottica del Kurdistan (UPK), considerato piuttosto vicino all’Iran, presente soprattutto nelle regioni di Diyala e Kirkuk; e il Partito Democratico del Kurdistan (PDK), che intrattiene buone relazioni con la Turchia. E’ quest’ultimo che porta la responsabilità del controllo dei dintorni di Mossul. Il coordinamento tra queste due formazioni è indispensabile per contenere in modo efficace la minaccia immediata rappresentata dall’ISIS. Già vi sono state delle operazioni terroriste contro i peshmerga nelle regioni di Kirkuk e di Diyala.


Se gli Statunitensi condannano ufficialmente il processo di indipendenza del Kurdistan – in quanto la loro preoccupazione è di conservare un Iraq unito – non di meno essi sostengono sottomano il GRK. Ancora più discreto, ma forse più efficace, è il sostegno di Israele al Kurdistan iracheno, e questo fin dalla creazione della zona autonoma nel 1992/1993. La collocazione strategica di questa regione di fronte a due avversari dello Stato ebreo, l’Iran e, in passato, l’Iraq, spiega questo impegno in cui il Mossad gioca un ruolo molto importante.



La Turchia

La Turchia si trova in grave imbarazzo con l’evolversi degli avvenimenti in Siria e in Iraq. E’ stata tra i primi a sostenere direttamente la ribellione siriana, ispirata in ciò dai Fratelli Mussulmani e incoraggiata dagli Stati uniti. Lo Stato Islamico tiene prigionieri ancora più di una quarantina di diplomatici turchi, parte delle loro famiglie e delle forze speciali che avevano il compito di proteggere il consolato di Mossul. Una quarantina di autisti turchi, che pure erano stati fermati, sono poi stati liberati, verosimilmente in cambio di un forte riscatto. La nascita di un Kurdistan indipendente nel nord dell’Iraq è molto sgradita ad Ankara, che però non dispone più dei mezzi per impedirlo. Il Primo Ministro turco Erdogan non può evitarlo, tanto più che sono in gioco importanti interessi economici, particolarmente il transito di idrocarburi dall’Iraq verso il mar Nero. Questa questione potrebbe influenzare le prossime elezioni presidenziali. Non possono escludersi atti terroristi in un prossimo futuro in territorio turco, particolarmente lungo la frontiera siriana.



L’Iran


Teheran non ha reagito direttamente all’annuncio della creazione del Califfato. Sul piano generale, gli sciiti sono bersaglio dell’odio viscerale di Al-Baghdadi, che li considera traditori dell’islam, “apostati”. Oltre alla difesa dei leader e delle popolazioni sciite dell’Iraq – che è un dovere per l’Iran – la tutela dei luoghi santi di Nadjaf, Samarra e Karbala costituisce una “missione sacra”. 


Il mantenimento di Nouri al-Maliki quale Primo Ministro non è però una condizione obbligatoria imposta da Teheran, che vedrebbe bene l’avvento di un uomo “nuovo”. Per il momento gli Iraniani stanno con lui, senza troppo entusiasmo.

Vitale, per contro, è per essi garantirsi un governo sciita a Baghdad, contro l’offensiva lanciata da quelli che essi definiscono i pazzi furiosi dell’ISIS. La missione è stata affidata ai pasdaran e al Maggiore generale Qassem Souleimani, il potentissimo capo delle unità Al-Qods, il “service action” iraniano. Opera per mezzo delle milizie sciite, considerate più affidabili delle forze armate. Una parte di queste, che già combattono in Siria dalla parte di Bachar el-Assad, sono state rimpatriate in fretta e furia in Iraq. E’ stato ordinato a Hezbollah libanese di dare ad esse il cambio, rafforzando gli effettivi già presenti. Sono stati dispiegati di urgenza degli aerei a Baghdad, soprattutto dei Su-25 della dotazione aerea dei pasdaran. In realtà questi apparecchi sono parte di quelli che si erano sottratti all’offensiva statunitense del 2003, scappando in Iran. Teheran non li aveva mai restituiti. E’ evidente che gli Iracheni non dispongono di personale in grado di assicurare la manutenzione di questi aerei e ancor meno il pilotaggio. Sono dunque gli Iraniani che si occupano di ciò. D’altronde un pilota iraniano, il colonnello Shoja’at Alamdari Mourjiani, ha perso la vita ai primi di luglio nella regione di Samara. Teheran fornisce anche molti “consiglieri” e droni di sorveglianza che sono già apparsi nei cieli libanese, israeliano e siriano. Infine, dal punto di vista tecnico, niente impedisce agli iraniani di effettuare degli attacchi aria-suolo dal loro territorio se elementi jihadisti si avvicinassero troppo alle frontiere. Rinforzi terrestri sarebbero stati già inviati per poter rispondere a ogni minaccia.



L’Arabia Saudita


Riyadh ha mobilitato 35.000 uomini sulla sua frontiera con l’Iraq. Un nuovo capo dei servizi di informazione (General Intelligence Service – GIS) è stato designato il 1° luglio nella persona del principe Khaled bin Abdul Aziz. La famiglia reale, che ha apertamente sostenuto la nascita della ribellione in Siria, sembra essere stata sorpassata dalla sua creatura, in particolare dall’IS. Ha ben tentato di mettere insieme un “Fronte Islamico” contro questa organizzazione a metà 2013, ma non si intravvedono successi militari. Inoltre il Qatar avrebbe un tempo aiutato finanziariamente l’ISIS. In tale contesto, bisogna mantenere il senso della realtà: le principali risorse dell’ISIS provenivano soprattutto dai traffici in cui era impegnato il movimento, in particolare quello del petrolio venduto alla Turchia a al governo legale siriano! Poi ci sono le tasse – vale a dire il racket – imposte alla popolazione e alle imprese. Prima ancora della presa di Mosul, l’ISIS poteva contare su otto milioni di dollari al mese, estorti ai commercianti della città.


Riyadh ha oramai preso delle misure drastiche, impedendo nella misura del possibile il rientro nel Regno degli jihadisti sauditi. Questi ultimi sono oramai considerati come una minaccia importantissima per il regime. Il risultato è che questi individui vengono costretti a restare jihadisti, in quanto non dispongono di alcuna via di uscita. E’ possibile che alcuni andranno a ingrossare i ranghi delle forze islamiche in Yemen. I loro capi non hanno ancora fatto conoscere la loro posizione nei confronti dell’IS. Cominciano però a correre voci su di una promessa di fedeltà a al-Baghdadi, cosa che costituirebbe un altro colpo per Zawahiri, perché il capo di Al Qaeda nella Penisola Arabica (AQPA), Nasir al-Wuhayshi, è ufficialmente il suo secondo!

Cominciano gli attacchi? Un commando di sei uomini ha attaccato il posto di frontiera tra Yemen e Arabia Saudita di Wadia, venerdì 4 luglio. Tre sono rimasti uccisi, uno è stato fatto prigioniero e gli altri due si sono fatti esplodere in una struttura delle forze di sicurezza, il 6 luglio, provocando quattro vittime.



La Giordania


La Giordania è in stato di massima allerta, in quanto sembra che sul suo territorio siano presenti molti partigiani dell’IS, soprattutto all’interno degli immensi campi di rifugiati che ospitano più di 600.000 persone. Ve ne sarebbero anche nel sud del paese, soprattutto nei dintorni di Maan. Numerosi Giordani hanno combattuto nei ranghi dei movimenti islamisti in Siria e il loro rientro in patria costituisce quindi un grave rischio per Amman. Potrebbero scoppiare gravi disordini, tanto più che talune tribù beduine criticano l’incondizionato allineamento del re Abdallah II a Washington. Gli Stati uniti, che dispongono di loro forze nel paese, sono consapevoli del pericolo. Washington fa di tutto per dare man forte ai servizi di informazione a all’esercito giordano, che costituiscono il pilastro del regime hashemita. Israele che ha interesse a preservare lo spazio giordano come scudo contro gli jihadisti, resta estremamente attenta all’evolversi della situazione, non scartando la possibilità di un intervento diretto.



Il Libano


Beirut vive nella psicosi dell’attentato, dal momento che nel paese è presente un ramo sunnita che si dichiara apertamente dell’IS. Il suo emiro sarebbe Abdel Salam al-Ourdouni, un ex detenuto della prigione di Roumieh, attivamente ricercato dalle autorità libanesi. Il quartiere “Tawarek” dell’immenso campo di rifugiati palestinesi di Ain al-Héloué sarebbe uno dei principali rifugi dei terroristi sunniti. Loro bersaglio principale è la comunità sciita nel suo insieme e Hezbollah in particolare, dal momento che questo movimento, vicino a Teheran, sostiene il regime siriano.



Israele


Anche Israele teme che dei Palestinesi, spinti al radicalismo più estremo a causa degli scarsi risultati ottenuti da Hamas, si rivolgano all’azione violenta ad ogni costo. Questi ultimi potrebbero intraprendere delle azioni terroriste dalla Cisgiordania, la Striscia di Gaza o dal Sinai, dove sono spalleggiati da attivisti stranieri che si dichiarano oramai dell’IS. Il rapimento e il successivo assassinio dei tre giovani israeliani, avvenuto a fine giugno, sono stati già rivendicati da un gruppo che si richiama all’ISIS, senza che le autorità israeliane sembrino avere accordato – certamente per ragioni tattiche e psicologiche – alcun credito a questa pista. Non solo il rischio terrorista è latente, ma potrebbero anche essere provocati dei tumulti da agenti stranieri vicini all’IS. Come è stato già detto per i tre paesi analizzati in precedenza, è grande il rischio che la causa palestinese evolva verso una radicalizzazione di una parte della sua gioventù che potrebbe riconoscersi più nell’IS che nei movimenti tradizionali.

In Sinai, anche le forze egiziane rischiano di essere attaccate da Ansar Beit al-Maqdis, un movimento che è presente anche al Cairo, ma che non ha ancora dichiarato se intenda allinearsi con l’IS.



Altrove nel mondo


L’obiettivo di al-Baghdadi è oramai chiaro: realizzare il Califfato, da Giacarta all’Andalusia. Nessuno potrà negare che stavolta la sorpresa è immensa. Si moltiplicano le adesioni di attivisti all’IS, particolarmente in Libia (Ansar al-Charia Bengasi avrebbe già giurato obbedienza all’IS), in Estremo Oriente e verosimilmente in Maghreb. Benché Abdelmalek Droukdel, l’emiro di Al Qaeda nel Maghreb Islamico (AQMI) abbia invitato tutti i mussulmani alla riconciliazione sul fronte siro-iracheno – avendo cura di designare Al-Zawahiri come “nostro sceicco ed emiro” – potrebbe essere scavalcato dalla base. Gli si attribuisce l’intenzione di organizzare una grande riunione di tutti i capi islamisti dell’Africa (ivi compresi quelli del Sudan, della Nigeria e della Somalia), verosimilmente in Libia, per decidere il da farsi. Essa avrebbe come obiettivo quello di riunire i movimenti islamici sotto la bandiera di Al Qaeda centrale, ma ben potrebbe avere un altro effetto. Infatti il rappresentante di Droukdel in Tunisia, lo sceicco Khaled Chaieb – che sarebbe stato il promotore dell’alleanza tra Ansar al-charia Tunisia e la Brigata Okba Ibn Naffa nella regione del monte Chaambi, situata alla frontiera algerina – sarebbe anche in rapporti con Mokhtar Belmokhtar, che si troverebbe in Libia. Questi dirigenti potrebbero giurare fedeltà al nuovo IS.


Dal canto loro, gli Shabaab somali proseguono nelle loro operazioni sanguinarie sulla costa keniota, dove hanno massacrato, a inizio luglio, ventinove persone nella regione di Lamu. Almeno altri sessanta hanno trovato la morte, nelle stesse condizioni e nella stessa regione, un mese fa. Gli Shabaab non si sono ancora pronunciati sulle loro intenzioni nei confronti dell’IS.


Se le adesioni, per il momento, non coinvolgono ancora dirigenti jihadisti di alto rango, la situazione potrebbe mutare nelle settimane prossime. Per contro, non dovrebbe esservi alcun rapporto operativo tra l’IS e questi attivisti, non avendo avuto al-Baghdadi il tempo materiale, né le risorse umane, per realizzare delle vere e proprie reti. Sono dunque gruppi già esistenti che intendono combattere sotto la sua bandiera, alla luce dei successi riportati sul fronte siro-iracheno.


In occidente occorre soprattutto aspettarsi qualche azione terrorista da parte di individui o gruppetti isolati che hanno interpretato il messaggio di al-Baghdadi come carta bianca per passare all’azione: “Terrorizzate i nemici e cercate la morte nei luoghi dove pensate di poterla trovare”. L’altro fenomeno dovrebbe essere l’aumento del flusso di volontari stranieri verso la Stato islamico, che copre il territorio del califfato degli omayyadi (661-750)

 







Comunicato del 29 giugno 2014 dello sceicco Abu Mohammad al-Adnani, portavoce dell’ISIS


“Questa è la promessa di Allah”

“Venuto è il tempo per generazioni che sono state affogate nel mare dell’umiliazione, coperte di disonore, attaccate dalle creature più vili, dopo un lungo sonno nelle tenebre della inconsistenza, tempo è venuto per la umma (comunità, ndt) di Maometto (Sallalahou ‘alayhi wa sallam) di risvegliarsi dal suo sonno, di strappare gli orpelli dell’infamia, di sbarazzarsi degli abiti dell’umiliazione e dell’ignominia. Il tempo dei lamenti è finito e sta per sorgere l’alba della potenza. Il sole della jihad brilla, le luci del bene annunciano la buona novella e all’orizzonte appare il trionfo e noi vediamo i segni della vittoria. La bandiera dello Stato Islamico, la bandiera del Tawhid (unicità, il principio cardine dell’islam della unicità di dio, ndt) sventola e stende la sua ombra da Aleppo a Diyala, i bastioni dei Tawaghit (mussulmani apostati, evidentemente gli sciiti, ndt) sono stati sfondati, le loro bandiere abbassate, le loro frontiere distrutte, i loro soldati sono morti o prigionieri o vinti o disfatti. Ai mussulmani la potenza, ai miscredenti l’umiliazione, le genti della Sunna (il complesso delle parole e degli atti del profeta Maometto, ndt) sono nobili maestri e le genti dell’innovazione sono umiliate e avvilite. Le pene Prescritte vengono applicate, tutte le leggi. Le trincee sono state scavate, le croci sono state spezzate, le tombe sono state distrutte, i prigionieri sono stati liberati dal filo della spada e la gente, dovunque nello Stato Islamico, è in sicurezza dei propri beni e delle proprie persone. Sono stati nominati i capi amministrativi e i giudici, è stata imposta la djiziyyah (imposta sulla persona fisica, ndt), i beni della Zakat (elemosina, ndt), del bottino e le imposte fondiarie sono state riscosse. I Tribunali islamici sono stati insediati per risolvere le liti, indicare le ingiustizie, i peccati apparenti sono stati eliminati. Nelle mosche sono stati organizzati corsi e circoli scientifici.


E la religione, grazie ad Allah, è solo per lui. Resta solo una cosa, una obbligazione collettiva che sprofonderebbe la comunità nel peccato se non fosse adempiuta, una obbligazione dimenticata da quando la comunità ha rinunciato alla potenza, ma che è presente nel cuore di ogni mussulmano, credente, come una speranza che ondeggia nel cuore di ogni Mujaheddin e Muwahhid: il Khalafah (Califfato).


Il Khalafah, l’obbligazione trascurata del nostro tempo. Allah l’altissimo ha detto: Quando il Tuo Signore confidò agli Angeli: Insedierò sulla Terra un vicario “Khalifa” (2:30).


Al-Qourtoubi ha detto, nel suo tafsir (interpretazione autentica da parte dei dotti dei passaggi più ardui del Corano, ndt): “Questo versetto è una prova dell’obbligazione di nominare un imam e un califfo da ascoltare e a cui obbedire, che le persone si riuniscano e che le leggi del Califfo siano applicate. Non ci sono divergenze su questo nella comunità, né tra gli imam”.


Tanto premesso, il consiglio consultivo (Shura) dello Stato Islamico si è riunito e ha discusso di questa questione. Ha riscontrato che, grazie ad Allah, lo Stato islamico possiede tutti i caratteri del Califfato, che i mussulmani sarebbero nel peccato se trascurassero questa obbligazione e che non v’è alcun impedimento o scusa legale che ci preserverebbe da questo peccato se ritardassimo la proclamazione del Califfato.


Lo Stato Islamico ha dunque deciso, rappresentato all’uopo da elementi autorevoli e nobili dei dirigenti, capi militari e del consiglio consultivo, di proclamare il Califfato. Di proclamare la nascita del Califfato islamico, di nominare il Califfo dei mussulmani e di prestare giuramento di fedeltà allo Sceicco, al Mujaheddin, all’Adoratore, l’Imam, al Devoto, al Mujaddid discendente della stirpe profetica, il servitore di Allah: Ibrahim Ibn ‘Iwad, Ibn Ibrahim, Ibn ‘Ali, Ibn Muhammad Al-Badri Al-Hachimi Al-Qourachi per discendenza, As-Samourra-i per nascita, Al-Baghdadi per il luogo in cui ha fatto gli studi e ha vissuto. Egli ha accettato la Bay’a (il riconoscimento, ndt) ed è così diventato Imam e Califfo di tutti i mussulmani del mondo. Lo Stato islamico sopprime dal suo nome “in Iraq e nel Sham (Levante)” e il suo nome diventa “Stato Islamico” (IS), a partire dalla data di questa dichiarazione.


Segnaliamo a tutti i mussulmani che, proclamato il Califfato, diventa obbligo per tutti i mussulmani di prestare giuramento di fedeltà e di soccorrere il Califfo Ibrahim, che Allah lo protegga, e tutti gli emirati, gruppi, autorità e organizzazioni che possono essere soggetti al suo governo e al suo esercito sono nulli e inutili. L’Imam Ahmad (che Allah sia misericordioso con lui) ha detto nella versione di “Abdous Ibn Malik Al-Attar”: “Chia ha preso il potere con la spada, chi è diventato califfo ed è stato nominato Air Al-Mou’minin (Capo dei Credenti), è vietato a chi crede in Allah di trascorrere una sola notte senza considerarlo Imam, che sia pio o perverso”. Il Califfo Ibrahim, che Allah lo protegga, possiede tutte le condizioni del Califfato che sono state citate dalla gente di scienza. Le persone nobili e autorevoli gli hanno prestato giuramento di obbedienza in Iraq ed è succeduto a Abu Omar Al-Baghdadi, che Allah gli renda misericordia, il suo governo si è esteso ad ampie zone dell’Iraq e dello Sham. E la terra oggi è sottomessa alla sua autorità e al suo ordine, da Aleppo fino a Diyala. Abbiate dunque timore di Allah. O servitori di Allah, obbedite al vostro Califfo e correte in soccorso del vostro Stato (Dawlah) che cresce ogni giorno di più in potenza e in numero mentre i suoi nemici sono assediati e fiaccati”… (…).


“E per finire noi annunciamo ai mussulmani la buona novella del mese del ramadan benedetto e chiediamo ad Allah Tabaraka Wa Ta’ala di farne un mese di Vittoria, di Potenza per i mussulmani e che faccia dei suoi giorni e delle sue notti un mese di castigo per i Rawafid (negazionisti, ndt), gli Sahawat (collaborazionisti, ndt) e gli apostati (mourtadin).