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Atlantico, 4 agosto 2019 (trad. ossin)
 
Israele non è un'estensione dell'Europa
Matti Friedman
 
Giornalista a scrittore israelo-canadese, Matti Friedman torna nel suo ultimo libro "Spie di nessun paese" sull’identità israeliana, molto più radicata in Medio Oriente che nella cultura europea
 
 
Atlantico : In “Spie di nessun paese”, il suo ultimo libro, lei scrive che "la moderna Israele ha senso solo in una prospettiva mediorientale". Cosa ci manca di tanto importante per comprendere questo paese con le nostre chiavi di lettura occidentali?
 
Matti Friedman : In Occidente, si ha la tendenza a considerare Israele come un’estensione della loro storia, la storia degli ebrei in Europa, i Lumi, l’idea socialista dei kibbutz, ovviamente l’Olocausto. E anche agli Israeliani è sempre piaciuto pensare di fare parte della storia europea – gran parte del primo sionismo stava diventando, in qualche modo, europeo, dopo secoli di rifiuto in Europa.
 
Queste storie hanno occultato un fatto piuttosto evidente a proposito della società israeliana, vale a dire che la metà della popolazione ebraica di Israele viene dal mondo islamico e non dall’Europa. C’erano quasi un milione di ebrei originari dei paesi islamici negli anni 1940. Bagdad, per esempio, era per un terzo ebraica. Casablanca, Algeri, Aleppo: in queste città vi erano antiche comunità ebraiche. Tutti questi ebrei se ne sono andati a causa dell’ostilità verso di loro da parte della maggioranza della popolazione musulmana, e la maggior parte di loro sono venuti qui e sono diventati israeliani, incidendo molto sull’identità del paese. Tuttavia sono sempre stati considerati secondari rispetto alla storia del sionismo europeo. Io penso che questo debba cambiare se vogliamo comprendere Israele del 2019. Noi siamo in Medio Oriente. Un quinto dei nostri cittadini sono arabo-musulmani, e gran parte della nostra popolazione è di origine medio-orientale e nord-africana. Basta passeggiare in una strada di Tel-Aviv per capire che non siamo in Europa – di fatti c’è una popolare canzone di qualche anno fa, "This Isn't Europe", che dice proprio questo. Ma il discorso corrente non sempre ne tiene conto.
 
A.  Come è accaduto che una storia di spie israeliane nate nel mondo arabo l’ha portata a tali conclusioni?
 
M. E’ successo il contrario. Ho scritto questo libro sulle spie perché volevo parlare di questo. E una storia di doppie identità mi pareva un buon modo di parlare dell’identità segreta del paese.
 
Qualche anno fa, in una banlieue di Tel-Aviv, incontrai una spia in pensione che aveva allora quasi 90 anni, nato ad Aleppo, di lingua materna araba. MI ha raccontato una storia sorprendente sul modo in cui lui e i suoi amici avevano vissuto la fondazione di Israele nel 1948. Era diversa da tutte le storie che avevo fino ad allora ascoltato. Lui e i suoi amici erano tutti ebrei di qui: Aleppo, Damasco, Yemen. Nessuno di loro era mai stato in Europa. Quando sono arrivati qui adolescenti, non erano veramente accettati nella società dei pionieri, perché la maggior parte di questi ultimi proveniva dall’Europa dell’est, e loro avevano un aspetto molto arabo, i loro gusti, la loro lingua. Sembravano essere il nemico, troppo simili al nemico per ispirare fiducia. Ma hanno però scoperto che questa qualità, la loro identità araba, poteva essere anche un’arma: potevano diventare spie. E utilizzarono quest’arma naturale per dare una mano a creare uno Stato per gli ebrei, non solo gli ebrei di Polonia o della Germania, la maggior parte dei quali non poteva più essere salvata, ma gli ebrei della Siria, del Marocco e della Tunisia. Questa piccola unità, all’epoca molto dilettantesca, senza equipaggiamento né denaro, nota col nome di "Sezione araba", è diventata uno dei semi del Mossad.
 
Questa storia ha reso quella della fondazione di Israele una storia sul Medio Oriente, e ho pensato che si tratta di una di quelle storie di cui oggi abbiamo bisogno. Ci può dire molto sul paese in cui oggi vivo. Io adoro le storie di spie – a chi non piacciono?
 
A.  La storia della nascita di Israele sembra essere un problema perché la sua narrazione sembra dimenticare l’identità di Israele in Medio Oriente. Perché viene vissuta come un peccato originale da parte di Israele?
 
M.  Quando Theodor Herzl ha immaginato lo Stato ebraico alla fine degli anni 1800, pensava a qualcosa come una Vienna utopistica. L'avanguardia pionieristica che ha creato il paese, che ha costruito i kibbutz, che è morta di malaria e che ha creato questa nuova società ebraica, era composta principalmente da socialisti dell’Europa dell’est, e sognavano una specie di repubblica guidata dal proletariato che avrebbe salvato il popolo ebraico nell’ambito del movimento mondiale dei lavoratori. Nessuna di queste idee aveva qualcosa a che vedere con gli ebrei di Casablanca, dello Yemen o del Levante.
 
Così, quando un’ondata di immigrazione proveniente da questi paesi è giunta qui letteralmente poche settimane dopo la creazione dello Stato, i fondatori non sapevano che cosa fare. I nuovi arrivati non erano socialisti. Non avevano intenzione di abbandonare la religione e diventare laici. Erano profondamente impegnati nella creazione di Israele, ma di un impegno diverso da quello dei fondatori. La maggior parte parlava arabo, ascoltava musica araba e aveva l’aspetto da arabo. Nonostante gli immensi sforzi fatti dai dirigenti per alloggiare i nuovi venuti e integrarli, li trattavano però con disprezzo. Erano comunità antiche e fiere e si aspettavano di essere accolte qui come fratelli. Sono stati trattati invece come cittadini di seconda classe. E’ stato, forse, l’errore maggiore della generazione fondatrice, Questo tipo di discriminazioni non si dimentica facilmente e ancora oggi fa sentire i suoi effetti.
 
A.  Quali sono questi effetti nella società israeliana di oggi ? E’ solo un problema demografico e culturale ?
 
M.  L'arrivo qui degli ebrei dell’islam non è un problema: è qualcosa che ha arricchito la nostra società, l’ha resa più dinamica, eterogenea ed eccitante, e ci ha bene radicato nel Medio Oriente. Se si crea uno Stato ebraico nel mondo islamico, è un bene avere delle persone che vivono da secoli nel mondo islamico come ebrei. Ne abbiamo ricavato un di più di saggezza. Io penso che l’esodo degli ebrei dai paesi islamici sia prima di tutto un problema per questi paesi.
 
Ma gli effetti degli errori che sono stati commessi durante la loro integrazione si fanno ancora sentire. Molti Israeliani che provengono dal mondo islamico, per esempio, non voteranno mai per il Partito laburista, il partito dell’antico establishment. Si identificano molto di più col Likud, che li tratta con maggiore rispetto ed è più vicino alla loro visione del mondo. E’ una delle maggiori ragioni del successo del Likud. C’è ancora molta rabbia nei confronti delle "élite", i media, il mondo culturale, perfino il potere giudiziario, a causa del loro atteggiamento paternalistico nei confronti della parte non europea della popolazione, e Netanyahu è stato capace di attingere a questa rabbia. E’ paradossale, perché Netanyahu è un elitario ricco e laico di origine europea. Il Partito laburista, d’altra parte, ha eletto il suo secondo leader consecutivo di origine maghrebina.
 
A.  Se la forma reale di Israele è una fonte di frustrazione per gli Israeliani, perché non la cambiano ?
 
M.  Il paese sta cambiando da questo punto di vista, e va nella direzione giusta. La società è molto più attenta alle voci che erano da tempo represse. In passato, ad esempio, la musica pop del Medio Oriente in ebraico, un genere chiamato "Mizrahi", era qualcosa che non si ascoltava molto nelle radio a larga diffusione – la musica israeliana era la musica occidentale. Da una quindicina d’anni, Mizrahi è diventato il genere pop dominante e sono gli artisti Mizrahi a riempire i più grandi spazi di concerto. Molti Israeliani di origine europea, come me, si sono fatti influenzare da uno stile religioso più medio-orientale, nel quale non sia necessario essere rigorosamente religioso o laico, ed è normale essere tradizionalisti in modo alquanto flessibile.
 
Abbiamo ancora molta strada da fare, evidentemente. Una cosa di cui abbiamo ancora bisogno, è di raccontare episodi collegati alla nostra storia, che la valorizzino ancora di più. Io ho pensato che una nuova storia della creazione del nostro Stato sarebbe stata utile, ed è quanto ho tentato di fare, scrivendo "Spie di nessun paese".