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Strategic Culture, 6 agosto 2019 (trad. ossin)
 
I tentacoli di Israele si allungano
Brian Cougley
 
Il 23 luglio, alla Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti, un voto schiacciante ha condannato il movimento BDS [Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni], che si propone di esercitare pressioni sul governo israeliano perché «rispetti il suo obbligo di riconoscere il diritto inalienabile del popolo palestinese all’autodeterminazione e si conformi pienamente alle prescrizioni del diritto internazionale:
 
1. Mettendo fine all’occupazione e alla colonizzazione di tutte le terre arabe e smantellando il muro
 
2. Riconoscendo i diritti fondamentali dei cittadini arabo-palestinesi di Israele alla piena uguaglianza
 
3. Rispettando, proteggendo e promuovendo il diritto dei rifugiati palestinesi di ritornare nelle loro case e riacquistare i loro beni, come stabilito nella risoluzione 194 delle Nazioni Unite».
 
Il presidente Donald Trump, come lo erano stati tutti i suoi predecessori, è ospite fisso dei meeting dell'AIPAC
 
Non v’è nulla di moralmente o legalmente discutibile in alcuno di questi proponimenti. Ma il Congresso degli Stati Uniti non si preoccupa di moralità né di legalità, quando siano incompatibili con la loro politica verso Israele che, come ha chiarito il rappresentante Lee Zeldin a New York, si fonda sulla convinzione che «Israele è il nostro migliore alleato in Medio Oriente; un simbolo di speranza di libertà, circondata da minacce esistenziali». Fox News ha detto che la risoluzione di condanna «è stata sollecitata dall’AIPAC, l’influente lobby israeliana a Washington», cosa che spiega molte cose, giacché l’AIPAC, [American Israel Public Affairs Committee] è un’organizzazione potentissima, dotata di tasche profonde e mani prodighe.
 
A febbraio 2019, The Intercept notava che l’«AIPAC, sul suo sito Web, raccoglie adesioni al suo ‘Club del Congresso’, impegnandosi a versare almeno  5 000 dollari ogni tornata elettorale, in favore degli aderenti». Nel film intitolato The Lobby, Eric Gallagher, un alto responsabile dell’AIPAC dal 2010 al 2015, racconta a un giornalista di Al Jazeera che l’AIPAC ottiene risultati. Un’intercettazione segreta ha rivelato che «…riuscire a ottenere 38 miliardi di aiuti militari per Israele è importante, ed è quello che l’AIPAC riesce a fare. Tutto quello che l’AIPAC fa è finalizzato a influenzare il Congresso».
 
L’AIPAC influenza il Congresso e altre istituzioni in modo estremamente efficace, fino al punto di riuscire a ottenere che Al Jazeera non trasmettesse la versione inglese di The Lobby. Il direttore dei programmi di inchiesta di Al Jazeera, Clayton Swisher, ha detto che vi sono state pressioni «di lobbisti israeliani di Washington che minacciavano di fare in modo che il Congresso classificasse la rete Al Jazeera come  ‘agente straniero’ e di accusare falsamente di antisemitismo gli autori del documentario». E basta questo: la semplice accusa di antisemitismo costringe chiunque a grattarsi la testa, ruotare gli occhi, e a farsi da parte.
 
E’ accaduto così che il giorno prima che il Congresso condannasse un’iniziativa diretta a premere perché Israele riconosca i diritti dei Palestinesi e rispetti il diritto internazionale, gli Israeliani realizassero un’operazione di distruzione mirata specificamente contro i diritti dei palestinesi, e contraria al diritto internazionale. Secondo la BBC, 200 soldati israeliani e 700 poliziotti, carichi di armi pronte all’impiego, sono stati dispiegati nel villaggio palestinese di Wadi Houmous alle 22 del 22 luglio, con bulldozer e scavatrici che hanno proceduto alla distruzione di case palestinesi.
 
L’amministrazione USA non ha mosso obiezioni. Il suo twittatore in capo aveva chiaramente espresso il suo punto di vista su Israele il 16 luglio, quando aveva annunciato che le quattro deputate donna del Congresso, non bianche, ch’egli odia in modo addirittura nevrotico, sono «un gruppo di comuniste che odiano Israele», e che «parlano di Israele come se fosse uno Stato criminale e non una vittima in quella regione». Per contro, l’Unione europea ha stabilito che «la politica di colonizzazione, ivi comprese le iniziative prese in questo contesto, come i trasferimenti forzati, le espulsioni, le demolizioni e le confische di case, è illegale dal punto di vista del diritto internazionale. Conformemente alle posizioni assunte da lunga data dalla UE, attendiamo che le autorità israeliane fermino immediatamente le demolizioni in corso». Ma comunque non cambierà nulla, visto che non c’è alcuna possibilità che gli Stati Uniti o il Regno Unito sostengano delle azioni a tutela del diritto internazionale, quando questo viene violato da Israele.
 
La Gran Bretagna sta per uscire dalla Unione Europea, quindi non ha voce in capitolo nella politica europea, ma non può comunque accettare critiche a Israele, giacché il Partito conservatore al potere promuove un’organizzazione chiamata «gli amici conservatori di Israele» (CFI), che raggruppa circa l’80% dei deputati conservatori.
 
Boris Johnson, il nuovo Primo Ministro britannico discepolo di Trump, è un fervente militante del CFI che lo ha sostenuto nella sua candidatura alla testa del Partito conservatore. Il 23 luglio, i presidenti del CFI Stephen Crabb, deputato, e Lord Pickles, insieme al presidente onorario Lord Polak, hanno dichiarato: «Dalla sua opposizione al boicottaggio dei prodotti israeliani quando era sindaco di Londra, fino al ruolo determinante svolto, da ministro degli Esteri… Boris ha una lunga storia di amicizia con Israele e la comunità ebraica. Il signor Johnson ha continuamente mostrato il suo appoggio risoluto… reiterando il suo profondo attaccamento a Israele e impegnandosi a essere un campione degli ebrei in Gran Bretagna e nel mondo».
 
Uno dei primi incarichi ministeriali conferiti da Johnson è stato alla signora Priti Patel al posto di segretario agli Interni. Costei si era dovuta dimettere dal Gabinetto della prima ministra Theresa May nel novembre 2017 dopo essere stata colta in flagrante mendacio, cosa non inabituale per lei, ma stavolta particolarmente rilevante. Come ebbe ad annunciare la BBC: «Priti Patel si è dimessa a seguito delle polemiche a proposito di Israele», scusandosi con la Prima Ministra «per le riunioni non autorizzate tenute in agosto con alcuni politici israeliani – compreso il Primo Ministro Benjamin Netanyahu – di cui si è avuta successivamente notizia. Ma è emerso poi che aveva tenuto altre due riunioni in settembre non in presenza di funzionari governativi». Non solo questo, ma in una intervista alla stampa «aveva fatto falsamente intendere che il Ministro degli Affari esteri, Boris Johnson, e il Foreign Office erano al corrente delle sue riunioni in Israele».
 
E’ uno di quei fatti che hanno suscitato tante risate nel corso delle meravigliose serie della BBC «Yes Minister» e «Yes, Prime Minister» : Ho sbagliato; dà una falsa impressione; è in prigione per avere raccontato menzogne.
 
Ed è decisamente strano che l’insigne Lord Polak, quello stesso che ha dichiarato che Boris Johnson è «amico di Israele», abbia accompagnato Patel in tredici delle quattrodici riunioni coi responsabili israeliani ad agosto e settembre. Cosa diavolo avranno fatto?
 
Ovviamente lei non aveva alcun timore di doversi dimettere per avere raccontato bugie, dal momento che Boris Johnson aveva dichiarato alla BBC : «Priti Patel è da tempo un’ottima collega e amica, una segretaria di Stato di prima classe per lo sviluppo internazionale. Lavorare con lei è stato un vero piacere, e sono certo che abbia un grande futuro davanti a sé». L’uomo ha il dono della profezia.
 
Poi Johnson ha nominato Michael Gove cancelliere del ducato di Lancaster, che è una strana nomina che conferisce grande potere e quasi nessuna responsabilità. Gove era stato apertamente sleale con Johnson all’epoca della prima competizione per la leadership, in quello che il Daily Telegraph aveva definito un «tradimento spettacolare», ma tutto è stato perdonato giacché, come dicono «gli amici conservatori di Israele», egli ritiene che l’antisionismo e l’antisemitismo siano «due facce della stessa medaglia», che significa che chiunque critichi la persecuzione dei Palestinesi da parte dei nazionalisti di Israele è un antisemita. Egli ritiene che «il criterio che consente di giudicare un popolo civile è che esso sia al fianco del popolo ebraico e al fianco di Israele. E’ un piacere stare col popolo ebraico, E’ un dovere stare al fianco di Israele».
 
I Palestinesi non ottengono alcun sostegno dagli Stati Uniti e dalla Gran Bretagna quando le loro case vengono rase al suolo dai bulldozer, Non possono aspettarsi alcuna critica da parte di Washington o di Londra quando i loro figli vengono uccisi a Gaza dai soldati israeliani.
 
La Cisgiordania, tra Israele e la Giordania, è stata conquistata da Israele nella guerra del 1967 in Medio Oriente. Poi è stata annessa Gerusalemme est. Il diritto internazionale definisce le due zone come territori occupati. Per quanto tale circostanza venga ignorata dagli Stati Uniti e dalla Gran Bretagna, è interessante constatare che il 30 luglio, in Canada, in una sentenza di portata minore, ma rivelatrice, un giudice ha deciso che il vino prodotto nelle colonie ebraiche della Cisgiordania non dovranno portare etichette con la menzione «prodotto in Israele» giacché, logicamente, le colonie si trovano in territorio palestinese.
 
Ma non servirà a niente dirlo a Donald Trump, esperto di vino israeliano, o al Congresso statunitense, o a qualsiasi membro del Partito conservatore britannico al potere, perché il diritto internazionale non ha alcun valore, quando si hanno altre priorità.