L’Expression, 16 maggio 2011


Una Santa Alleanza contro chi?
di Hocine Meghlaoui (*)


In una regione instabile, queste monarchie cercano di rafforzare la loro sicurezza comune


Il Consiglio di Cooperazione del Golfo (CCG) da qualche tempo fa notizia. Più esattamente da quando, anticipando la Lega degli Stati arabi e indicandole la strada col metodo del fatto compiuto, ha chiesto l’intervento delle potenze occidentali in Libia. Questa organizzazione economica, sociale, politica e militare raggruppa sei monarchie che formano una linea discontinua di fronte all’Iran, estendendosi dall’Oman, al sud, fino al Kuwait, al nord, passando per gli Emirati Arabi Uniti, il Qatar, Bahrein e l’Arabia Saudita, che ne è il leader e la locomotiva. La carta di questa organizzazione è stata firmata il 25 maggio 1981, in un contesto caratterizzato dalla guerra del Libano e quella tra Iraq e Iran, questi ultimi due paesi essendo considerati come un pericolo per le monarchie del Golfo, il primo a causa dell’ideologia baatista e il secondo per la rivoluzione komeinista.
In questo contesto regionale instabile, le monarchie hanno cercato di rafforzare la comune sicurezza decidendo di considerare ogni aggressione contro una di esse come un’aggressione a tutte. Il promotore dell’iniziativa fu l’Arabia Saudita, spalleggiata dagli Stati Uniti dove il presidente Reagan era salito al potere con l’intento trattenuto di far pagare all’Iran l’oltraggio della presa in ostaggio dei diplomatici USA da parte dei guardiani della rivoluzione. Ryadh e Washington, alleati strategici dalla Secondo Guerra mondiale, avevano dunque identici interessi per ciò che concerne l’Iran – e li hanno tuttora. Bisogna ricordare che, messo in disparte dal CCG, l’Iraq creò una organizzazione concorrente, il Consiglio di Cooperazione araba, comprendente oltre ad esso la Giordania, lo Yemen e l’Egitto. Il CCA non è sopravvissuto all’invasione del Kuwait del 1990.


Scudo della Penisola
Fin dall’11 novembre 1981, gli Stati membri del CCG hanno stretto un accordo di cooperazione economica, avviando anche un processo di integrazione finalizzato all’unione. La realizzazione del mercato comune del Golfo, in vista della realizzazione di una moneta comune, sconta oggi dei ritardi a causa, tra l’altro, di divergenze sorte tra Ryadh e Abou Dhabi, soprattutto sulla individuazione della sede della futura Banca centrale. L’entrata in vigore effettiva dell’Unione doganale è prevista ormai per il 2015, vale a dire dopo 12 anni dall’avvio del processo. Tenuto conto dei precedenti rinvii, non è certo che tale data sarà rispettata.
Sul piano della sicurezza, la prima sfida che si pose alla CCG fu il tentativo di colpo di stato in Bahrein, nel dicembre 1981. Nel 1982 le sei monarchie hanno firmato un accordo per la sicurezza interna e cominciarono a organizzare manovre militari congiunte chiamate “Scudo della Penisola”.
Cosa che portò alla costituzione, nel 1984, di una forza congiunta con quartier generale ad Hafa Al-Batin, in Arabia Saudita, alla frontiera con il Kuwait e l’Iraq. La Forza “Scudo della Penisola” si dimostrò totalmente inefficace durante l’invasione del Kuwait da parte dell’Iraq nel 1990 e le monarchie del Golfo dovettero fare appello ad una coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti (operazione “Scudo del deserto” del 1981). In seguito la situazione di questa Forza non è migliorata. E ancora non costituisce uno “scudo” efficace per gli Stati membri nel caso di crisi serie. Il primo intervento effettivo della Forza “Scudo della Penisola” ha avuto luogo il 14 marzo 2011, in Bahrein, il ventre molle dei paesi del Golfo a causa della composizione della sua popolazione in grande maggioranza sciita, governata da una monarchia sunnita. Si è concretato nell’invio a Manama di un migliaio di soldati sauditi e di un mezzo migliaio di poliziotti degli Emirati, che la popolazione considera come una “forza di occupazione”. Le ultime dichiarazioni di un alto responsabile militare del Bahrein annunciano la prossima costruzione di una base militare permanente delle forze dello “Scudo della Penisola”, la cui missione è di difendere i siti strategici e le frontiere del Bahrein contro le minacce destabilizzatrici “degli Iraniani, dei Siriani e dei Libanesi”. L’intervento in Bahrein si colloca in un contesto segnato dalle sollevazioni democratiche che si sono svolte in molti paesi arabi e che hanno già provocato la caduta dei presidenti Ben Ali in Tunisia e Mubarak in Egitto, entrambi alleati dell’Arabia Saudita. Oltre che in Bahrein, le contestazioni in corso in Oman ed in Kuwait potrebbero degenerare in movimenti più consistenti.
L’Arabia Saudita è coinvolta in pieno nella situazione in Bahrein a causa del fatto di essere un paese confinante al quale è collegato da un ponte – l’argine Fahd – e soprattutto per la presenza di una numerosa popolazione sciita nelle sue regioni orientali, dove si trova il grosso delle sue riserve petrolifere. E a causa anche della situazione in Yemen dove il suo alleato, il presidente Abdallah Salah, rischia di essere destituito, aprendo così la porta ad una possibile divisione del paese che porterebbe alla costituzione, in prossimità della frontiera saudita, di un Imamat zaydita (sciita), alleato dell’Iran. (Negli anni ’60 e ’70 gli Zayditi erano sostenuti dall’Arabia Saudita contro i repubblicani yemeniti alleati di Nasser, considerato un antimonarchico). Il regno risulterebbe così preso a tenaglia con degli alleati di Teheran sui due fianchi.
L’esempio del Bahrein e di altri paesi arabi non è tale da rassicurare il re Abdallah che, immediatamente dopo il ritorno a Ryadh, ha annunciato personalmente alla televisione un massiccio programma di aiuti sociali per un valore di 70 miliardi di dollari (2500 dollari per abitante) ed altre misure come l’aumento dei salari e sovvenzioni per i disoccupati (la maggioranza dei disoccupati si colloca nella fascia di età tra i 19 e i 21 anni) e infine la creazione di un comitato contro la corruzione. Dopo la carota, il re ha brandito il bastone annunciando nel corso dello stesso discorso il reclutamento di 60.000 agenti di polizia per tenere a bada “chiunque intendesse arrecare danno” al regno. Sul piano esterno, l’Arabia Saudita rischia di non potere più contare sull’aiuto dell’Egitto senza Mubarak. I caratteri del nuovo potere che si installerà al Cairo sono ancora incerti, ma è certo che la politica estera egiziana subirà dei cambiamenti. Già la diplomazia egiziana ha ottenuto una riconciliazione tra l’Autorità Palestinese e Hamas che ha provocato l’ira di Israele. Ed è in agenda il ristabilimento delle relazioni diplomatiche con l’Iran, rotte da una trentina di anni. Il ministro degli affari esteri egiziano e il vice ministro degli affari esteri iraniano hanno tenuto a rassicurare le monarchie del Golfo sulla loro sicurezza. Ma il ministro iraniano della Difesa ha denunciato il “Fronte delle dittature arabe”, vale a dire le monarchie arabe. Il controllo della Lega degli Stati Arabi da parte del CCG, con l’aiuto del presidente Mubarak, era sempre meno accettato. La strumentalizzazione fattane dallo stesso CCG, che per primo ha chiesto l’intervento occidentale in Libia, ha lasciato delle tracce ed ha messo in luce la complicità di Amr Moussa. Questa situazione rischia di perdurare a causa della debolezza delle repubbliche che avranno bisogno di tempo per fare o digerire le loro “rivoluzioni”. La posizione dell’Egitto in proposito sarà determinante nel futuro. Come lo sarà l’evoluzione della situazione nelle monarchie. Quanto precede consente di dire che, sul piano economico, militare, della sicurezza e anche diplomatico, il CCG ha ancora molto da fare e molte preoccupazioni. Quanto precede aiuta anche a capire l’annuncio fatto il 10 maggio 2011 dal segretario generale del CCG, che ha dichiarato che il Summit che stava per concludersi a Ryadh per discutere la situazione economica regionale, del Bahrein e dello Yemen, aveva accolto con favore la richiesta della Giordania di adesione all’organizzazione ed aveva altresì invitato il Marocco a formalizzare la propria.
L’annuncio a proposito del Marocco ha sorpreso almeno l’opinione pubblica. Infatti, geograficamente, la Giordania è paese frontaliero dell’Arabia Saudita che è leader del CCG. V’è dunque una continuità territoriale tra questo paese e quelli del Golfo. Inoltre una parte della popolazione giordana e la stessa dinastia reale sono originari della penisola araba, dove hanno radici più profonde di quelle che hanno nella loro terra di accoglienza. D’altronde la Giordania non ha sbocchi a mare e non appartiene ad alcuna organizzazione sub-regionale.
Per contro il Marocco è situato all’estremità ovest del Maghreb, molto decentrato rispetto ai paesi del Golfo coi quali non ha alcuna continuità geografica. La maggioranza della sua popolazione – si può dire la totalità – è berbera e guarda al suo futuro nell’ambito di un Maghreb dei popoli piuttosto che in quello di un Machrek lontano e poco conosciuto. Il Marocco è membro fondatore dell’Unione del Maghreb Arabo (UMA), della quale ospita la sede.
Consapevole dell’incongruità dell’operazione e della difficoltà di giustificarla di fronte alla sua opinione pubblica e ad una parte della sua classe politica, Rabat ha preso la precauzione di far venire l’invito dal CCG. Fatica sprecata perché è difficile immaginare che esso non fosse stato preventivamente patrocinato dal Palazzo reale. Non si mette un paese, specialmente se amico, in una situazione ch’esso non abbia preventivamente accettata. Si deve supporre che l’idea sia stata oggetto di consultazioni tra il re Mohammed VI e il re Abdallah nel corso del soggiorno di quest’ultimo in convalescenza a Casablanca, dopo essere stato sottoposto ad un intervento chirurgico a New York. Il monarca saudita, proveniente dagli Stati Uniti, è giunto in Marocco il 22 gennaio 2011, in piena “rivoluzione” tunisina ed una settimana appena dopo la fuga di Ben Ali verso l’Arabia Saudita. E’ impensabile che i due re non si siano scambiati i rispettivi punti di vista su quanto accadeva e non abbiano discusso delle misure da prendere per difendere i loro troni dal nemico di sempre di ogni monarchia, che sono le sollevazioni popolari che ne mettono in discussione la legittimità.
In un comunicato, il ministero marocchino degli affari esteri e della cooperazione ha dichiarato di accogliere con grande interesse l’invito del CCG, pur reiterando “la propria naturale e irreversibile adesione all’ideale maghrebino ed alla costruzione dell’UMA, scelta strategica fondamentale della nazione marocchina”. Una simile professione di fede avrebbe potuto anche essere convincente, se non fosse stata proprio Rabat all’origine del gelo che caratterizza oggi i rapporti nell’UMA… - E non c’entra la questione del Sahara, che è anteriore alla nascita di questa organizzazione. Basti ricordare che Hassan II partecipò al Summit di Zeralda e che l’atto costitutivo dell’UMA fu firmato a Marrakech-.
Infatti il Marocco è attirato dal CCG per diverse ragioni, tra cui alcune di carattere commerciale: la speranza di beneficiare di aiuti finanziari da parte di paesi ricchi per superare una situazione economica difficile. Più importante ancora sarebbe trovare un’oasi per proteggersi dalle turbolenze che scuotono il mondo arabo. Se è per questo, la migliore difesa è quella che viene offerta dal popolo ai suoi governanti. E’ più saggio cercare a casa propria, piuttosto che inseguire chimere a migliaia di chilometri di distanza. I nuovi aderenti alla CCG dovranno soddisfare delle obbligazioni economiche, politiche e militari e di sicurezza, ma beneficeranno anche di tutti i vantaggi. A titolo di esempio, il principio di mutua difesa funzionerebbe in caso di bisogno per la Giordania e il Marocco come ha funzionato con il Bahrein? Questo rischierebbe di metterli in difficoltà con alcuni dei loro vicini. Si possono per esempio immaginare gli eserciti delle monarchie del Golfo accampati alla frontiera giordano-siriana? In tal modo l’allargamento del CCG potrebbe portare non ad una maggiore coesione e stabilità dei paesi arabi. Rischia piuttosto di esacerbare gli antagonismi esistenti tra alcuni di essi e di provocare maggiori spaccature.


Coalizione di monarchi

Tanto più che l’unico denominatore comune tra la Giordania, il Marocco e i sei paesi del CCG è costituito dal regime monarchico, ed è questo l’unico parametro preso in considerazione da questi ultimi per aprire ai primi le porte dell’organizzazione, il cui progetto di allargamento è dunque basato sull’esclusione. – Come spiegare altrimenti che il CCG resta chiuso all’Iraq, dove la presenza straniera non costituisce affatto un problema per i paesi della regione, e soprattutto allo Yemen, cui l’adesione avrebbe potuto evitare molti problemi e potrebbe, allo stato attuale, costituire una soluzione ai suoi problemi?
Il CCG ha appena fatto una scelta politica e strategica importante, ma discutibile, per non dire avventurosa: portare avanti fino alle estreme conseguenze la sua logica, vale a dire diventare una specie di “Santa Alleanza” (1) che riunisce tutte le monarchie del Machrek e del Maghreb, in un contesto nel quale i paesi arabi sono così divisi che la Turchia ha potuto ergersi, a prezzi stracciati, a “campione” della loro causa più importante, la Palestina, e ad arbitro dei loro contrasti. Non si può interpretare in altro modo l’annuncio dell’adesione della Giordania e del Marocco al CCG.


(*) Ex- ambasciatore


(1) L’atto finale del Congresso di Vienna, che instaurò un nuovo ordine in Europa dopo le guerre napoleoniche, fu firmato il 9 giugno 1815. All’art. 63 gli Stati firmatari si impegnavano a fornirsi mutua assistenza in caso di aggressione. La “Santa Alleanza” fu formata inizialmente dai vincitori di Napoleone, gli Imperi russo e austriaco e il Regno di Prussia, per iniziativa di Alessandro 1° di Russia. In seguito aderirono altre potenze europee. La Francia vi aderirà nel 1818.
La “Santa Alleanza” ha giocato un ruolo contro-rivoluzionario in un’Europa investita dalle idee del “secolo dei Lumi”.
Fu così che nel 1923 la Francia intervenne militarmente in Spagna per riportare al trono il re Ferdinando VII, che era stato detronizzato da una sollevazione popolare, della quale si temeva l’esempio. Questa coalizione di monarchi contro le aspirazioni dei popoli era ispirata dalla vana volontà di riportare indietro il corso della Storia.

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