Stampa










El Watan, 4 luglio 2011


Ritorna la protesta
Hacen Ouali


La pausa è stata breve. Due giorni dopo l’approvazione della Costituzione per referendum, il Marocco riprende con la mobilitazione generale. Erano in migliaia, ieri, a manifestare nelle strade di Rabat. Le forze dell’ordine, appoggiate da una decina di “baltaguia” (bande di facinorosi filomonarchici) che si sono riversate sulla piazza Bab El Hed, sul boulevard Hassan II da cui doveva partire il corteo, non sono stati in grado di contenere le migliaia di manifestanti che hanno risposto all’appello del Movimento del 20 febbraio.

Una vera e propria marea umana ha invaso il boulevard Mohammed V, il più grande della capitale. Erano 15.000 manifestanti secondo gli organizzatori. Una vera dimostrazione di forza.

Sono le 17.30 quando si cominciano a formare i primi gruppi dietro gli striscioni su cui era scritto: “Echaab yourid iskat el istebdad (Il popolo vuole far cadere il dispotismo)”, “Processate i torturatori”, “Vai via, vai via, il popolo ha un’alternativa”. I manifestanti si raggruppano e il corteo risale il boulevard Mohammed V. Ragazze giovani, capelli al vento, accanto ad altre velate, uomini barbuti che marciano mano nella mano con manifestanti con tee-shirt piene di ritratti di Mehdi Ben Barka o Che Guevara, tutti gridano a voce spiegata: “La Makhzen, la raaya, echaab yourid el karama (né makhzen, né sudditi, il popolo vuole la dignità)”.

Le forze dell’ordine sono costrette ad arretrare sotto la spinta dei manifestanti. I militanti del Movimento del 20 febbraio hanno approntato un servizio d’ordine impressionante capace di evitare ogni incidente.  Nel corteo vi sono molte ragazze la cui età media non supera i 25 anni. Meriem, studentessa in scienze economiche e membro attivo del movimento, megafono alla mano, galvanizza chi gli sta intorno gridando: “Da Rabat al Cairo, i popoli si ribellano” e “Hourya, karama adala ijtimaiya (libertà, dignità, giustizia sociale)”. L’organizzazione è perfetta. Quasi ogni manifestante reca con sé un cartello o il ritratto del giovane Kamel Lamari, assassinato nel corso delle prime manifestazioni per il cambiamento in Marocco.

Questa mobilitazione impressionante induce un turista tedesco a dire che “i Marocchini meritano di vivere nella democrazia più avanzata”. Via via che il corteo avanza, diversi passanti si uniscono ai manifestanti. Achraf, uno die leader del movimento a Rabat, tocca il cielo con un dito.
Non crede ai propri occhi: “Francamente non ci aspettavamo tanta gente – dice- E’ una vittoria. Questo dimostra che il referendum è stata una mascherata. Si diceva che la gente avrebbe avuto paura per i discorsi minacciosi che si sono fatti dopo il referendum, ma ormai niente fermerà i Marocchini nella loro lotta per la democrazia”.  I manifestanti si fermano a commentare le notizie che giungono dalle altre città del paese dove altre manifestazioni sono state organizzate: “Sono decine di migliaia a Tangeri, Casablanca, a El Housseima e in tutto il regno”, esclama Achraf.

Giunti vicini al Parlamento, i manifestanti criticano violentemente i parlamentari, chiamandoli “sbirri di un sistema feudale”. Un gruppo dispiega sulle transenne che circondano il Parlamento uno striscione su cui è scritto: “No ad una Costituzione-bidone, il popolo vuole un’assemblea costituente e una Costituzione democratica”. E’ totale il rigetto della Costituzione adottata venerdì scorso.

Gli esponenti politici dei partiti che sostengono il movimento di sinistra e degli islamisti, l’Associazione marocchina per il diritti dell’uomo, si collocano dietro al corteo. “Questi giovani danno una bella lezione di maturità politica e organizzativa. Nessuno potrà rubargli i sogni”, commenta Fouad Abdelmoumni, ex detenuto politico dei tempi di Hassan II.

Verso le ore 20 la manifestazione finisce e la folla si disperde pacificamente. Gli animatori del Movimento del 20 febbraio si danno appuntamento in serata “per fare il bilancio e preparare altre manifestazioni”, ci confida Monceuf, un animatore del movimento.

Insomma il palazzo reale e i partiti politici che hanno sostenuto la nuova costituzione sono spiazzati da questa dimostrazione di forza dell’opposizione. “Il popolo vero è in piazza, non nel palazzo, quelli che sono andati a votare erano dei fantasmi”, dice una militante. Dopo un breve week-end ingannatore, la monarchia alauita viene brutalmente risvegliata dalla realtà della piazza.  


 




TelQuel n. 481


Il Marocco è inquieto
Editoriale di Karim Boukhari


Credevamo, e soprattutto speravamo, che soltanto Hassan II poteva farci “questo”. Ed ecco che si scopre che anche Mohammed VI…


Non vi fidate dell’unanimismo ingannevole del 98,5% di Sì ottenuti dalla Nuova Costituzione. Si tratta di dati falsati. Non bisogna prenderli troppo sul serio. Non rappresentano minimamente la crescente inquietudine della società marocchina, a tutti i livelli. E non sono degni di una democrazia; al contrario questi dati costituiscono la prova del fatto che qualcosa non funziona nel più bel paese del mondo.
Basta guardarsi intorno per capire che la sera di venerdì 1° luglio è stata vissuta da molti Marocchini, ivi compresi molti dei sinceri partigiani del Sì, come un trauma collettivo ed un’immensa delusione. “Non vorranno farci nuovamente questo”, si pensava, perfino al culmine di una campagna elettorale degna di un paese totalmente retrogrado. Ebbene sì, “essi” hanno deciso di farci bere il calice fino alla feccia. Ehi, bisogna che si sia tutti d’accordo su un punto: in democrazia è semplicemente impossibile ottenere quasi il 100%. Non è mai accaduto nella storia. E’ assurdo. Solo le dittature sono capaci di tali “performances”, e gli argomenti che ci vengono proposti (grosso modo: se gli astensionisti avessero votato, il risultato sarebbe stato diverso) non sono decisivi. Lo ripeto: democrazia e unanimismo sono incompatibili. In Marocco, credevamo, e soprattutto speravamo, che solo Hassan II poteva farci “questo”. Ed ecco che si scopre che anche Mohammed VI.
Ora, a ben guardare, si può pensare che quello che il Marocco ha appena celebrato non sia stato un referendum costituzionale, ma una specie di elezione “presidenziale”. Il capo dello Stato, che non è eletto, ha colto l’occasione del referendum per aggiudicarsi un plebiscito popolare quasi programmato, una Bey’a bis ma stavolta per via elettorale. Ne aveva bisogno? Forse sì, forse no. Il futuro lo dirà. Quello che è certo è che il capo di Stato ha scelto di far salire la sua personale quotazione (invitando i Marocchini a dire Sì ed autorizzando l’apparato amministrativo a fare la campagna che sapete), laddove avrebbe potuto far vincere la democrazia se avesse giocato la carta della neutralità.
Su di un altro piano, il fatto che il capo dello Stato abbia deciso di trasformare una consultazione referendaria in “presidenziale” costituisce la prova che quanto accaduto in Marocco negli ultimi mesi, e soprattutto la pressione montante della piazza, ha profondamente scosso il paese. Tutti coloro che hanno avuto dei colloqui privati con dei dignitari del regime sanno che il Potere ha tremato, per non dire che ha ondeggiato, prima di trovare la risposta con questa Costituzione, pretesto per un plebiscito reale.
Esaminato da questo punto di vista, si capisce un poco meglio come il referendum si sia concluso con questo risultato surrealista del 98,5%. E va bene. Ma questo cambia qualcosa al problema marocchino? Io non credo. Se il re ha consolidato il suo trono e riaffermato la sua legittimità, in una parola se il re ha “vinto”, ha trascinato nel suo slancio tutto il sistema del “makhzen”, che ha dimostrato di avere ancora delle chances.
Di fronte, la democrazia non ha vinto proprio niente e il Marocco è più inquieto che mai. Noi siamo dunque sempre sotto la stessa bandiera.
Io conservo, per parte mia, due soli motivi di speranza, il primo dei quali mi sembra irreversibile: i giovani, grazie al Movimento del 20 febbraio, sono ormai politicizzati e non potrà farsi più niente senza coinvolgerli. Diversamente da quanto pretende la propaganda ufficiale, questi giovani continueranno a maturare ed a rafforzarsi, e io non mi aspetto che abbassino le braccia, tutt’altro.
Il secondo motivo di speranza si chiama libertà di espressione che si è accresciuta, anche se le voci libere e indipendenti restano coperte dai propagandisti e dai lacchè. Questa libertà di espressione nuova, e relativa, è irreversibile? Io lo spero, noi lo speriamo, ma occorre lottare duramente per renderla realmente irreversibile.


 




Printemps  des  Peuples 3 luglio 2011


Montasser Essakhi. Animatore del Movimento del 20 febbraio a Rabat
“Sogniamo un Marocco dove sarà possibile sognare”


A 23 anni tiene già un discorso degno di un veterano della politica. Montasser Essakhi è uno di quei personaggi della gioventù marocchina che hanno fatto tremare il trono. Passata la febbre referendaria, ricomincia la mobilitazione. Per lui e per il Movimento del 20 febbraio, l’adozione della nuova costituzione è un “non avvenimento”. Non se ne parla di fermare la lotta prima dell’istaurazione della democrazia nel regno.

D: Dopo il referendum, il vostro movimento non rischia di indebolirsi?
R: Penso il contrario. Il Movimento del 20 febbraio crescerà perché la gente si renderà rapidamente conto che la riforma costituzionale adottata non costituisce una risposta seria alle rivendicazioni dei marocchini. Ci sarà ancora molta gente che vorrà manifestare in tutte le città marocchine. Le manifestazioni di oggi (l’intervista è stata realizzata prima della manifestazione di domenica, ndr) daranno nuova vitalità al Movimento del 20 febbraio. Il nostro Movimento non si esaurisce nella Costituzione e nei risultati del referendum. Le nostre rivendicazioni vanno molto al di là di quanto quel testo propone. La nostra rivendicazione principale è l’istaurazione di una reale monarchia parlamentare e il controllo parlamentare sull’istituzione militare. Ciononostante il nostro movimento ha posto in primo piano altre rivendicazioni che non si risolvono con le leggi, ma attraverso decisioni capaci di restituire ai Marocchini la loro dignità. Noi abbiamo preteso la fine della corruzione e la traduzione davanti alla giustizia di tutti i suoi simboli. Abbiamo anche rivendicazioni legate alle condizioni sociali ed economiche. Bisogna finirla con le rendite e provvedere ad un’equa ripartizione delle ricchezze del paese.

D: Non temete di essere considerati degli estremisti?
R:
Noi non chiediamo la luna, ma cose molto semplici da realizzare: la democrazia, la libertà e la giustizia sociale. Restituire ai Marocchini la loro dignità. In che cosa saremo estremisti? Se c’è qualcuno che oggi si rallegra di avere una nuova Costituzione, ciò è avvenuto grazie al Movimento. Queste élite politiche devono capire che il mondo è cambiato intorno a noi e che il Marocco non deve restare indietro. Noi disponiamo di enormi potenzialità per fare del nostro paese un’oasi di democrazia e di libertà. Noi diciamo a coloro che passano il loro tempo a dare lezioni che la gioventù marocchina è ormai responsabile. Devono sapere che la dittatura non sarà mai più accettata.

D: Alcuni politici ritengono che la nuova Costituzione contenga delle conquiste importanti…
R:
Sono gli stessi che dicevano, dieci anni fa, che il Marocco è un paese democratico. Sapete, la maggior parte dei partiti politici marocchini sono lontani dalla realtà del paese. La loro vicinanza al Potere ha fatto loro perdere il buon senso dell’analisi. Hanno grandi interessi da difendere, dunque naturalmente essi saranno contrari ad ogni idea di cambiamento che rischi di mettere in pericolo i loro privilegi.

D: Lei è anche militante dell’Union socialiste de forces populaires (USP), che però ha sostenuto il progetto di riforma. Lei non ha rispettato la disciplina di partito…
R:
Non solo non abbiamo rispettato la disciplina, ma abbiamo fatto una campagna molto attiva per il boicottaggio. Soprattutto non abbiamo alcuna intenzione di spaccare il fronte del 20 febbraio che ha restituito speranza ai Marocchini.
Io appartengo alla corrente degli “Unionisti del 20 febbraio”, che chiede le riforme anche all’interno del partito. L’USFP ha una lettura degli avvenimenti e della situazione politica del paese che si limita a dire che non bisogna rendere la situazione più complessa e che il sistema di potere non dispone di risposte immediate, dunque la transizione deve aspettare. Una visione che noi non condividiamo. Abbiamo già troppo atteso, noi vogliamo il cambiamento qui e subito. E’ dal 1998 che ci parlano di transizione, ma le cose non sono andate molto avanti. Al contrario, dopo 11 anni di regno, ci ritroviamo nel campo dei paesi del dispotismo.

D: Quali i suoi sogni come giovane marocchino?
R:
Come tutti i Marocchini giovani, vecchi, donne e uomini, noi sogniamo un Marocco democratico dove la dignità umana sia sacra. Vogliamo essere degli uomini e delle donne libere. Vogliamo una equa ripartizione delle ricchezze per farla finita con la miseria. Questo non può realizzarsi se non con la fine del sistema del makhzen e di tutte le sue ramificazioni, i suoi apparati, i suoi  chouyoukh e i bachawate. Con la fine delle rendite che favoriscono il clientelismo, le combriccole e la corruzione. Noi sogniamo semplicemente un Marocco dove sognare sarà possibile.