TelQuel n. 481


Cronaca di un plebiscito (reale) annunciato
Driss Bennani e Mohammed Boudarham


Il varo della nuova Costituzione non è stato facile. Avviato sotto la pressione popolare, il cantiere delle riforme è stato poi ripreso in mano dai partiti politici, i sindacati e l’entourage del re. Ritorno su una primavera marocchina movimentata


Indicendo, nel gennaio 2011, una grande manifestazione di protesta nazionale, i promotori del futuro “Movimento del 20 febbraio” non si immaginavano cosa sarebbe successo. All’epoca l’organizzazione aveva un solo volto, quello di Oussama Lakhlifi. Un giovane studente, dall’aspetto volutamente trascurato, che invitava i Marocchini a scendere in piazza per “gridare la loro rabbia e la loro disperazione”. In tempi normali, nessuno lo avrebbe preso molto sul serio. Ma la situazione era completamente cambiata. Nel corso delle ultime settimane, infatti, due regimi che sembravano inamovibili erano caduti sotto la pressione popolare, in Tunisia, poi in Egitto. Il regno è stato dunque preso dal panico. Alla vigilia del 20 febbraio, vi sono state perfino famiglie che sono corse a fare provviste, temendo eventuali sommosse. Nei salotti la primavera araba faceva paura. E’stato il tempo del dubbio. L’eccezione marocchina era dunque solo una chimera? Tutto il paese ha trattenuto il respiro.


Marchons, marchons…
Domenica 20 febbraio, le manifestazioni (o piuttosto i sit-in) organizzati un po’ dappertutto nel paese sono esemplari. Alla fine migliaia di persone hanno risposto all’appello dei promotori, per lo più giovani e disciplinati. Replica il week end successivo. I manifestanti sono più numerosi. E, sorpresa, qualcuno viene con la famiglia, facendo presto dimenticare la presenza dei militanti islamisti di Al Adl Wal Ihsane. Gli slogan sono creativi e condivisi. La folla esige una nuova Costituzione democratica ed una migliore distribuzione del potere e delle ricchezze. Il Marocco si ritrova, un po’ lui malgrado, sotto i riflettori. Cosa farà il Potere? Reprimerà i manifestanti? Li ignorerà? La risposta arriva mercoledì 9 marzo. Nel primo pomeriggio il protocollo reale annuncia un discorso di Mohamed VI per la serata. Un discorso di circostanza, perché in quel giorno non cade alcuna ricorrenza nazionale o religiosa. Il monarca comincia annunciando le grandi linee del progetto di regionalizzazione avanzata (che non interessa più nessuno), prima di lanciare ufficialmente il cantiere di una “profonda riforma costituzionale”. Mohammed VI si spinge anche più oltre, insistendo sulla costituzionalizzazione dell’amazigh, l’indipendenza della magistratura e il necessario potenziamento del ruolo del Primo Ministro.
Un’inedita euforia si impadronisce di larghe frange della popolazione. L’élite applaude un discorso storico. I Marocchini ritrovano un re riformatore e volitivo. “Che questi giovani del 20 febbraio tacciano adesso!” si sente anche dire nei salotti o nelle terrazze dei caffè. L’indomani del suo discorso. Mohammed VI costituisce la Commissione incaricata della riforma costituzionale e ne affida la presidenza ad Abdeltif Menouni, un costituzionalista che ha già fatto parte dello IER. Ne fanno parte militanti per i diritti dell’uomo, fianco a fianco di accademici esperti. Essi lavoreranno senza comunicazione con l’esterno, poi sottoporranno le loro proposte ad un’altra commissione, della quale fanno parte i partiti politici e i sindacati. La stesura finale dovrà essere presentata al re prima di essere sottoposta a referendum. Per questo i giovani del 20 febbraio non abbassano la guardia. Criticano una commissione designata e non eletta e decidono di continuare col loro movimento di protesta.


La polizia contrattacca
Domenica 13 marzo si registrano i primi scontri tra manifestanti e forze di polizia a Casablanca. La repressione di un sit-in, organizzato nel centro cittadino, è violenta. Lo shock di queste immagini spingerà migliaia di persone a scendere in piazza, in più di 50 località, domenica 20 marzo. Il Marocco ribolle. Crescono i cartelloni e gli slogan. La piazza vuole, tutto insieme, la fine del clientelismo, l’abolizione dell’articolo 19 della Costituzione, le dimissioni di Mounir Majidi (il discusso segretario particolare di Mohammed VI, ndt), lo scioglimento del Parlamento, ecc. Il Movimento del 20 febbraio riprende fiato, si organizza in coordinamenti locali più o meno autonomi, ma non si dota di un organigramma né di un portavoce più o meno ufficiale.  La sua linea diventa più aggressiva. Nel corso delle settimane, la presenza sempre più visibile di Al Adl (Islamista) e di Annahj Addimocrati (sinistra radicale) disturba. Le due organizzazioni vengono accusate di voler egemonizzare il movimento. Ma quest’ultimo si difende.


 

(nella foto, Oussama Lakhlifi ferito il 15 maggio durante una manifestazione davanti alla sede della DGST a Temara)

Nel frattempo la Commissione per la revisione della Costituzione ha avviato i lavori. Ascolta i partiti politici e i sindacati. Con qualche eccezione, i loro interventi sono privi di coraggio e pertinenza. Il Movimento boicotta queste audizioni. Lo stesso atteggiamento viene adottato dal PSU, che critica l’ambiguità dei metodi di lavoro di questa istanza ad hoc. Il paese entra allora in una lunga fase di attesa, di incertezza e di dubbi. Le manifestazioni si spostano nei quartieri popolari e periferici. La reazione delle autorità diventa casuale, ma cresce in aggressività. Il re continua, da parte sua, ad inviare segnali incoraggianti. Ultimo in ordine di tempo, la grazia concessa, a metà aprile, a 190 detenuti, tra cui i cinque politici inquisiti nella vicenda Belliraj (un belga-marocchino accusato di terrorismo, ndt), oltre a molti detenuti salafisti. Ma giorno dopo giorno la solita domanda affiora si tutte le labbra: dove va il Marocco?
Giovedì 28 aprile, l’attentato terrorista al Caffè Argana di Marrakech getta tutto il paese in uno stato di ansia generalizzata. Si teme un ritorno alle maniere forti, un remake dei rastrellamenti post 16 maggio. Alla fine non sarà così. In tutto otto indiziati, tra cui l’esecutore, sono presto individuati e arrestati dalla polizia. Ma durante le manifestazioni della domenica si giunge a gridare al complotto, accusando lo Stato di essere dietro questo attentato. Gli scontri tra manifestanti e forze dell’ordine si fanno più frequenti. Finiscono per provocare un morto a Safi, il 2 giugno. Secondo la Procura della città, il giovane Kamal Ammari sarebbe morto in seguito ad una “pneumopatia acuta e non trattata”. Qualche giorno più tardi un collettivo associativo stabilisce un nesso evidente tra la morte di Ammari e i colpi che gli hanno inflitto i poliziotti dopo una manifestazione del Movimento del 20 febbraio.


Protesta costituzionale
A inizio giugno cominciano le prime indiscrezioni sui contenuti della nuova costituzione. La stesura proposta dalla commissione Menouni tenderebbe ad una secolarizzazione dello Stato. Insiste sulla parità uomo-donna e raccomanda una condivisione dei poteri tra re e capo del governo. Gli islamisti del PJD sono i primi a reagire. Respingono “ogni tentativo di modificare il carattere islamico dello Stato” e minacciano di votare contro il progetto. Abdelilah Benkirane viene ricevuto tre volte dal consigliere reale Mohamed Moatassim. Le trattative si prolungano fino alle ore immediatamente precedenti il discorso reale del 17 giugno. Mohammed VI annuncia le grandi linee del nuovo progetto di costituzione, che ha visibilmente subito un ritocco conservatore. Le reazioni sono di segno diverso. Se il testo risulta assai convincente sul piano dei diritti e delle libertà o delle attribuzioni del parlamento, continua tuttavia ad accordare larghe prerogative all’istituzione reale. Nell’attuale configurazione, il Capo del governo può fare raccomandazioni, ma spetta sempre al Consiglio dei ministri, presieduto dal re, di decidere. Quest’ultimo continua a controllare l’apparato giudiziario e militare, oltre a quello religioso. Insomma si è ancora lontani dal modello di monarchia parlamentare tanto auspicato.
A questo punto si avvia anche la campagna elettorale. Sarà patetica. Poiché il re ha annunciato che voterà in favore della nuova costituzione, il ministro dell’interno mobilita a tutta forza. Panettieri, club sportivi, associazioni di quartiere, artigiani, macellai o commercianti… tutti invitano a votare Sì. Nelle moschee, il ministero degli affari islamici diffonde una predica che mette in guardia i fedeli contro il voto contrario o, peggio, il boicottaggio. Nella notte tra venerdì 1 e sabato 2 luglio, il ministro dell’interno comincia con l’annunciare il tasso di partecipazione: 70%. Sugli schermi televisivi gli uomini politici si rallegrano di queste cifre “vere e realiste”. Poco dopo avranno qualche difficoltà a commentare un secondo dato, molto meno sfumato: 98,5% di voti a favore della nuova costituzione.


Risultati. Il plebiscito che dà fastidio

Lo Stato alla fine ha ottenuto quello che voleva: un plebiscito in favore della nuova costituzione. Ovviamente ci sono quelli che hanno votato per convinzione, dopo avere esaminato i pro e i contro del nuovo testo. Ma è incontestabile che, durante più di una settimana, è stato fatto tutto il possibile per spingere il maggior numero possibile di persone a votare a favore del testo sottoposto a referendum. Meeting partigiani, prediche nelle moschee o feste popolari… la campagna elettorale si è trasformata in una immensa operazione di propaganda, caratterizzata da innumerevoli approssimazioni e scorciatoie.  “Il discorso reale è stato per noi una enorme pressione – riconosce un quadro del ministero dell’interno – Votare No o boicottare il referendum significava disapprovare una raccomandazione reale”. Allo stesso modo, partiti politici e autorità pubbliche si sono quasi passati la voce per raggiungere un risultato assai bislacco: votare Sì significava scegliere la stabilità, in opposizione al disordine generalizzato auspicato dagli attivisti del 20 febbraio.
In certi ambienti popolari, qualcuno si è sentito obbligato a presentarsi al seggio, temendo rappresaglie da parte delle autorità locali. “Io ho chiesto di uscire prima dal lavoro per andare a votare. Nel quartiere si diceva che quelli che non avessero votato avrebbero incontrato molte difficoltà ad ottenere i documenti amministrativi di cui avessero avuto bisogno in futuro”, confida Saida, donna di servizio a Casablanca. Una volta giunta al seggio, non si è posta soverchie domande. Quasi automaticamente ha fatto scivolare la scheda del Sì nell’urna, sperando che “le cose sarebbero andate meglio nel paese”.
Youssef è invece impiegato in una azienda privata. Il suo discorso politico i è fatto più coraggioso durante le ultime settimane. E tuttavia è andato a votare. E come il 98,5% dei suoi concittadini ha detto Sì alla nuova costituzione. Spiegazione: "Ho paura di votare NO e che questo si venga a sapere”. I vecchi riflessi stentano decisamente a morire. Bisogna dire infine che, durante tutta la campagna elettorale, lo spazio pubblico era riempito solo dalle due opzioni più radicali: il Sì e il boicottaggio. Nessun partito e nessuna associazione hanno chiaramente invitato a votare No. Nel 98,5% rientrano ovviamente anche le decine di migliaia di militari, paramilitari e assimilati (500.00 a dir poco) che hanno certamente votato Sì per disciplina.


Partecipazione. Il terzo astensionista
E’ senza dubbio il tasso di astensione più elevato registrato in una consultazione referendaria. In tutto, quasi tre Marocchini su dieci (iscritti nelle liste elettorali) non sono andati a votare il 1° luglio.  Hanno tutti boicottato per ragioni politiche il primo referendum di Mohammed VI? Non è certo. Ci sono prima di tutto quelli che non hanno rinnovato la loro iscrizione nelle liste elettorali. Avendo cambiato domicilio o città di residenza, si sono trovati a diversi chilometri dal seggio che era stato loro designato. Poi ci sono quelli che non si sono dati la pena di partecipare ad una consultazione i cui risultati erano già scontati. Ma politicamente quelli che hanno invitato al boicottaggio possono sempre appropriarsi di questi dati e sostenere che un terzo del corpo elettorale ha raccolto il loro invito. Sul piano regionale, è stata Casablanca a registrare il tasso di partecipazione più basso (57,7%), confermando in tal modo la sua reputazione di città astensionista, seguita dalla regione orientale con il 63,99%. Fonti associative assicurano che “interi villaggi hanno boicottato il referendum del 1° luglio, in segno di protesta per le loro condizioni di vita”.


20 febbraio. Il Movimento non intende scomparire

Domenica 3 luglio, vale a dire 2 giorni dopo il referendum, il Movimento del 20 febbraio ha deciso di scendere nuovamente in piazza in diverse città. “Intendiamo continuare a manifestare ogni domenica”, afferma in tono di sfida Hamza Mahfoud, membro del coordinamento casablanchese del movimento. Quest’ultimo adatterà i suoi slogan alla nuova situazione? Chiederà per esempio l’abrogazione del testo plebiscitato dal referendum? “Noi manteniamo le nostre rivendicazioni iniziali”, risponde il nostro interlocutore, che fa riferimento ai venti punti contenuti nella piattaforma del movimento  e che raggruppano diverse rivendicazioni politiche e sociali. I giovani del 20 febbraio possono comunque contare sul sostegno dei loro fratelli maggiori presenti in alcuni partiti politici o in alcune associazioni.
“Noi continueremo ad appoggiare il movimento in tutte le iniziative che intenderà assumere”, conferma Mohamed El Aouni, coordinatore nazionale del Conseil national d’appui au Movement du 20 février. E questa è la facciata. Grattando un pochettino, si scopre una realtà un po’ meno netta: grandi dissensi si sono manifestati tra le diverse componenti di questo movimento. Esempi: Annahj Addimocrati e gli Indipendenti accusano Al Adl e il PADS (Parti de l’avant-garde démocratique et socialiste) di non averli consultati prima di indire la manifestazione di domenica 3 luglio nel quartiere Sbata a Casablanca. “Noi temiamo anche l’atteggiamento di alcune componenti che tendono a radicalizzarsi e ad aggravare le tensioni con le autorità”, confida un giovane membro del 20 febbraio. Il movimento alla fine dovrà fornire molte risposte essenziali: continuerà a manifestare ogni domenica in diverse città? Le autorità lo lasceranno fare? Che atteggiamento assumeranno gli anti-20 febbraio, diventati particolarmente aggressivi dopo il voto referendario? Secondo nostre fonti, prima del 20 luglio dovrebbe tenersi una grande assemblea del movimento, nel corso della quale tutte queste questioni dovranno essere discusse e decise.


Irregolarità. A chi credere?
All’indomani del referendum del 1° luglio, il Consiglio nazionale per i diritti dell’uomo (CNDH) ha dichiarato, in un comunicato ufficiale, che “l’operazione si è svolta nel rispetto della legge e che nessuna irregolarità è stata registrata”. Identici commenti da parte dei partiti politici che hanno tutti apprezzato l’atmosfera nella quale si è svolto il referendum del 1° luglio e la “trasparenza” dello scrutinio. Ma alcune ONG indipendenti e alcuni movimenti forniscono un’altra versione dei fatti.

La maggior parte delle irregolarità segnalate da questi osservatori “non graditi” si riferiscono al giorno dello scrutinio. Vi è stata, prima di tutto, la campagna per il Sì che è continuata oltre i limiti temporali di legge. Nella maggior parte delle città gli inviti a votare Sì hanno continuato ad essere affissi sui mezzi di trasporto comuni con la complicità delle autorità. Striscioni con lo stesso messaggio erano addirittura presenti in alcuni seggi elettorali. In qualche caso notabili locali hanno utilizzato mezzi di trasporto pubblici o scolastici per raccogliere gli elettori. A Mohammedia un video (postato su Youtube) mostra un uomo, presentato come un moqaddem (funzionario pubblico), dare una banconota ad una donna che, dopo ciò, è entrata nel seggio elettorale. Su un altro video si vede un’altra signora esibire il suo “bottino”: dei sandali e una maglietta regalati in cambio del voto. Le nostre fonti parlano anche di diversi funzionari pubblici che hanno fatto in diverse località il porta a porta per incitare la gente ad andare a votare. E, cosa ancora più grave, in qualche seggio degli elettori sono stati fatti votare senza controllarne l’identità o è stato consentito loro di votare per altri senza alcuna procura. In altre località le nostre fonti parlano di verbali in bianco, firmati dai presidenti di seggio prima di trasmetterli alle autorità. Tutte informazioni che il Consiglio costituzionale dovrà verificare, prima di proclamare i risultati ufficiali.


Elezioni. Dimenticatevi di ottobre!

Contrariamente a quanto si era ipotizzato in un primo momento, non è probabile che le elezioni anticipate si terranno il prossimo ottobre. “Ad eccezione dell’Istiqlal, tutti gli altri partiti preferiscono rinviare la data a dicembre 2011 o marzo 2012”, spiega una fonte della maggioranza. Per il momento riprenderanno solo le consultazioni, sospese nel periodo elettorale, tra le formazioni politiche e il ministero dell’interno a proposito della legge elettorale. Il Parlamento dovrà anche votare le leggi attuative della regionalizzazione avanzata. “Il Parlamento chiude i lavori il 13 luglio, ma restano attive le commissioni permanenti”, spiega una fonte del governo. E aggiunge che è sempre possibile la convocazione di una sessione straordinaria nel prossimo settembre per l’adozione delle leggi varate in commissione. Comincerà poi la stagione elettorale. Molte scadenze nel 2012: legislative, regionali e professionali, senza dimenticare l’elezione dei nuovi membri della camera dei consiglieri. “La data di queste elezioni dipenderà dall’esito delle consultazioni tra le forze politiche e il ministero dell’interno, anche se lo scenario più probabile resta quello di elezioni legislative nella primavera del 2012”, spiega un esponente di un partito di maggioranza.




Cronologia. Le tappe della primavera marocchina

14 gennaio. Caduta di Zine El Abidine Ben Ali, presidente della Tunisia.
11 febbraio. La pressione popolare costringe Hosni Moubarak a lasciare il potere in Egitto.
20 febbraio. Prime manifestazioni popolari in Marocco.
3 marzo. Insediamento del Conseil national des droits de l’homme (CNDH) presieduto da Driss El Yazami e Mohamed Sebbar, segretario generale.
9 marzo. Discorso di Mohammed VI e annuncio di una “profonda riforma costituzionale”.
10 marzo. Istituzione della Commissione consultiva di revisione della Costituzione, presieduta da Abdeltif Menouni.
13 marzo. Repressione violenta di una manifestazione a Casablanca.
14 aprile. Grazia reale per 190 persone, tra cui i cinque uomini politici arrestati nell’ambito della vicenda  Belliraj e un centinaio di detenuti salafisti.
27 aprile. Aumento generalizzato dei salari delle FAR (Forze armate reali), della Gendarmeria e delle Forze ausiliarie.
28 aprile. Attentato terrorista al café Argana di Marrakech, con 17 morti.
15 maggio. Scioglimento violento di un sit-in davanti alla sede della DGST a Témara.
18 maggio. Visita del procuratore del re, del presidente della CNDH e di parlamentari alla sede della DGST a Témara. Tutti escludono che ospiti una prigione segreta.
2 giugno. Morte di Ammari a Safi, per una “  pneumopatia acuta “  secondo la Procura. Secondo invece un collettivo associativo, “le violenze poliziesche avrebbero indirettamente provocato la morte del giovane militante”.
10 giugno. Presentazione della prima stesura ufficiale della nuova Costituzione a Mohammed VI in Oujda.
17 giugno. Adozione della definitiva stesura della Costituzione da parte del Consiglio dei Ministri. Lo stesso giorno il re si indirizza alla nazione ed annuncia un referendum per il 1° luglio.
1° luglio. Il referendum si risolve in un plebiscito reale : 98,5% di “Sì”. 





E domani? La mobilitazione

Come vede il futuro del paese dopo il 1°luglio? Le manifestazioni del Movimento 20 febbraio devono continuare?


Karim Tazi:
Non ho mai attribuito soverchia importanza a questo voto, che costituisce solo una tappa di un lungo processo. La lotta democratica deve continuare. Ma quello che mi fa male è questa falsificazione della storia alla quale stiamo per assistere, e che si sostanzia nel derubare ai giovani la loro vittoria. E’ ai giovani del 20 febbraio che noi dobbiamo tutto ciò che è stato fatto in questi quattro mesi, nonostante gli errori tattici che hanno potuto commettere. Non riconoscerlo, cercare di umiliarli come si fa oggi, significa lasciare delle piaghe aperte e ipotecare gravemente il futuro. Il “Sì” ha largamente vinto. Ma occorre che i giovani comprendano che l’adozione di questo testo non è la fine del mondo e che tornino alla carica per continuare la lotta democratica.


Hamza Mahfoud:
Quello che è deludente, è che il regime non è stato all’altezza degli avvenimenti. Ha lasciato passare l’onda e ha reagito con un testo al di sotto delle aspirazioni popolari. E’ per questo che noi abbiamo invitato a boicottare il referendum. Noi restiamo “Mamfakinch” (il sito che si fa interprete della rivolta, ndt), con nostro obiettivo di monarchia parlamentare. Continueremo nel nostro impegno per la libertà e la democrazia, qui ed ora.


Nabila Mounid: La gioventù marocchina, come tutto il mondo arabo, ha dimostrato la sua capacità di inserirsi in un processo costruttivo e partecipativo, attraverso una piattaforma che ha la complessità di un progetto. Ma questo profondo cambiamento non è stato raccolto dalle autorità, perché vi sono pressioni interne che si oppongono al cambiamento, aggravate dalle gravi pressioni esterne di chi non vuole l’emancipazione dei popoli arabi.  E ci sono anche quelli che hanno applaudito questo progetto ambiguo e pieno di paradossi senza nemmeno conoscerlo. Ma in Marocco la società civile è sempre viva. Il Movimento del 20 febbraio le ha dato un impulso fortissimo e ci ha spinto fuori dall’immobilismo e dalla recessione politica. Continua la lotta per passare da una monarchia conservatrice ad una monarchia parlamentare in uno Stato di diritto. Questo richiederà il tempo necessario, ma ci si arriverà.


Mostafa El Khalfi:
Dopo il 1° luglio, impegni colossali attendono il Marocco. La prossima sfida è costituita dalle prossime scadenze elettorali, dalle quali deve venir fuori un Parlamento forte. Se all’ordine del giorno non vi sarà la trasparenza, tutte le conquiste della nuova costituzione resteranno lettera morta. Peraltro occorrerà precisare diversi punti, come le leggi organiche che non sono state ancora varate, soprattutto quelle che riguardano settori strategici per il paese, come la suddivisione del seggi elettorali.


Meryam Demnati:
La costituzionalizzazione della lingua amazighe è certamente una vittoria, tuttavia all’interno del movimento amazigh siamo coscienti che è appena cominciata la lotta per incassare i dividendi di dieci anni di lavoro nell’ambito dell’IRCAM (Institut Royal de la Culture Amazighe). Peraltro dobbiamo continuare la lotta contro le forze conservatrici che hanno sempre mostrato disprezzo e programmato la morte di questa cultura.  



 

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