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Lakome.com – 24 luglio 2011



20 febbraio, 1° luglio… quali prospettive per la lotta democratica?
Youssef Belal


Il mio discorso sulle prospettive della lotta democratica dopo il 1° luglio può così riassumersi:

• - La strategia delle forze democratiche deve anche essere una contro-strategia di fronte al Potere

• - Le impasse e le contraddizioni dell’autoritarismo monarchico devono essere seriamente sfruttate dalle forze democratiche

• - Una delle poste principali dell’azione per il passaggio alla democrazia è la questione della responsabilità politica del re. Non si può concepire un passaggio alla democrazia eludendo la questione della responsabilità del re.

• - Non può esservi transizione democratica se non nella rottura e nella crisi. Una spontanea caduta dell’autoritarismo è un’illusione. Solo la crisi consente di cristallizzare in un determinato momento le diversità politiche e di polarizzare i vari attori politici attorno al tema della democrazia. Lo scoppio della crisi per iniziativa di uno o più attori che abbiano fatto la scelta della partecipazione può avere un considerevole effetto moltiplicatore.

• - Conviene fare della partecipazione alle istituzioni una leva per la democratizzazione e la trasformazione delle pratiche istituzionali.

• - Di fronte alla segmentazione favorita dallo Stato, le forze vive devono essere capaci di avviare una dinamica di larghe alleanze.
Queste alleanze dovranno riuscire a superare almeno due punti di divergenza. Il primo è quello della scelta di operare all’interno delle istituzioni o nella forma della contestazione al di fuori delle istituzioni. Il secondo punto di divergenza è quello delle differenze ideologiche tra la sinistra e il movimento islamico. Il superamento di queste due diversità – che lo Stato tenta di strumentalizzare – permetterà di costruire un’alleanza politica per la fine dell’autoritarismo.


1. Quale è la strategia del Potere?

La strategia delle forze democratiche deve fondarsi sull’analisi delle prospettive. La sua efficacia deve misurarsi soprattutto nella sua capacità di sferrare “colpi” all’avversario e nell’essere anche una contro-strategia. Perché si possa definire una tale contro-strategia, è importante conoscere la strategia del Potere.

• Tentare di porre fine alla contestazione dell’autoritarismo monarchico dandosi una legittimità plebiscitaria di fronte alla contestazione di piazza. Il Potere crede di bloccarla con un risultato finale che dovrebbe porre fine come per miracolo alla contestazione.

• Il testo di nuova costituzione non tende tanto a ridurre gli squilibri istituzionali, quanto piuttosto a riaffermare l’onnipotenza del re e la sua irresponsabilità politica

• Dividere le forze vive, soprattutto cercando di screditare il movimento del 20 febbraio con l’accusa di essere strumentalizzato da Al’Adl wa Al Ihsan e Al-Nahj

• Dirottare la contestazione verso il prossimo governo e fare del governo un capro espiatorio per la monarchia. L’ipotesi migliore sarebbe quella di un governo guidato dal PJD (il partito islamista) o almeno con una forte presenza di questo partito. Il PJD potrebbe giocare lo stesso ruolo dei partiti della sinistra governativa nel 1998, dando fiato alla monarchia.

• Tutto ciò dovrebbe  permettere alla monarchia di guadagnare tempo e di non andare più veloce degli altri paesi arabi. Il paese più avanzato, la Tunisia, avrà bisogno di almeno un anno e mezzo o due per avviare le istituzioni democratiche. Questo intervallo consente alla monarchia di preservare un’immagine riformista sulla scena internazionale.


2. Le impasse e le contraddizioni dell’autoritarismo monarchico devono essere seriamente sfruttate dalle forze democratiche


• Non può esservi transizione democratica se non nella rottura e nella crisi. Una spontanea caduta dell’autoritarismo è un’illusione. Solo la crisi consente di cristallizzare in un determinato momento le diversità politiche e di polarizzare i vari attori politici attorno al tema della democrazia. E’ evidente che una transizione democratica non può farsi senza rotture perché l’attore principale, vale a dire la monarchia autoritaria e il makhzen, hanno troppo da perdere. Gli altri attori, i cui interessi sono legati all’autoritarismo monarchico, faranno di tutto per fare abortire ogni prospettiva di democratizzazione. Il consenso sarà necessario in un secondo momento, quando i rappresentanti delle forze vive dovranno accordarsi sulle regole del gioco democratico.

• Una delle poste principali dell’azione per il passaggio alla democrazia è la questione della responsabilità politica del re. Il re resta il depositario dei poteri più ampi. Nel sistema politico marocchino non vi sono meccanismi istituzionali di responsabilità politica del re. In tale contesto gli attori democratici dovranno porre la questione della responsabilità politica del re e chiedere conto delle decisioni che saranno assunte dalla monarchia sulle questioni più importanti per il paese. Gli slogan del Movimento del 20 febbraio hanno già cominciato a farsi più incalzanti nel corso delle ultime manifestazioni, prendendo di mira direttamente il re.

• Si può concepire un passaggio alla democrazia  eludendo la questione della responsabilità del re? Questa è stata la strategia della sinistra governativa dal 1998, che può riassumersi in questo: “Ricopriamo i posti di responsabilità, allarghiamo l’ambito dei poteri dei governi eletti, ma non parliamo della questione del potere monarchico”. Ora sappiamo che questa strategia non ha dato risultati e se qualche progresso vi è stato, seppure timido, con la nuova costituzione, ciò si deve solo all’iniziativa di contestazione del Movimento del 20 febbraio.  Nel periodo precedente, soprattutto dopo il 2002, nessuna strategia di democratizzazione delle istituzioni basata sulla leva del governo e delle istituzioni è stata posta in atto dai partiti di sinistra, e nessun tentativo è stato fatto per trasformare le pratiche istituzionali.

• Che cosa spingerebbe oggi i partiti espressione delle forze vive e che abbiano fatto una scelta di presenza nelle istituzioni a usare questa presenza come una leva di trasformazione delle pratiche istituzionali? Per loro sarebbe indispensabile per la loro stessa sopravvivenza politica ed elettorale. Molti partiti si sono abituati a concepire la politica esclusivamente come una negoziazione con il Palazzo, trascurando la propria responsabilità di fronte all’elettorato e alla società. La larga presenza di notabili alle elezioni hanno accentuato questo stato di cose. Il cambiamento verrebbe dall’emergere di nuovi dirigenti che interpretano questa nuova visione e dalla loro capacità di farla diventare egemone nel loro partito. In parallelo la pressione esercitata dai movimenti di contestazione e l’emergere di un nuovo elettorato, soprattutto giovanile, svilupperebbero nuove pratiche con effetti di trasformazione.

• Benché improbabile, non è tuttavia impossibile avere in futuro un capo di governo che cerchi di imporre la sua leadership di fronte al potere reale in una situazione di crisi nella quale sia indotto ad assumersi la responsabilità politica ed elettorale delle decisioni reali. Questa situazione consentirebbe pratiche istituzionali più avanzate. In una situazione di contestazione continuata, di un peggioramento dei conti pubblici per rispondere alle domande sociali, il costo elettorale e politico delle contestazioni non sarebbe più tollerabile per il partito o la coalizione di governo. In un caso del genere, non sarebbe impossibile che il capo del governo rifiuti di assumersi la responsabilità politica delle decisioni prese dal Palazzo.

3. Di fronte alla segmentazione favorita dallo Stato, le forze vive devono essere capaci di avviare una dinamica di larghe alleanze. Queste alleanze dovranno riuscire a superare almeno due punti di divergenza.

• Il primo è quello della scelta di operare all’interno delle istituzioni o restarne fuori. La mobilitazione contestatrice nello spazio pubblico è indispensabile perché essa assume il ruolo di un contropotere della società civile, oggi assente nel sistema marocchino. Tuttavia nell’attuale contesto la mobilitazione di piazza non può da sola provocare la caduta del Potere autoritario, soprattutto nel lungo periodo. E comunque occorre fare in modo che questa contestazione democratica nelle piazze e in tutti gli spazi pubblici si generalizzi. Nonostante questo momento di riflusso, la contestazione del potere monarchico costituisce, a termine, un potente mezzo di destabilizzazione.

• Sappiamo anche che la strategia di partecipazione alle istituzioni parlamentari e governative non è da sola sufficiente a porre fine al potere autoritario. Quando i partiti presenti in parlamento e al governo non devono rendere conto alle forze vive della società, in una situazione nella quale le elezioni non costituiscono ancora un momento di giudizio sulla responsabilità politica degli eletti, dovranno essere i rappresentanti di quelle forze vive vicine al movimento del 20 febbraio a dovere esercitare una pressione sufficiente perché vi sia un giudizio di responsabilità. Uno degli obiettivi è quello di ottenere un rinnovamento degli organismi dirigenti dei partiti politici progressisti, soprattutto il Consiglio nazionale/Comitato Centrale, che devono diventare dei reali spazi di resa dei conti in seno ai partiti sul tema della democratizzazione.

• Per dare alla strategia di democratizzazione delle speranze di riuscita, occorre trovare un punto di incontro tra – da una parte – i partiti che hanno fatto la scelta di partecipare al governo e al parlamento e, - dall’altra – i movimenti di contestazione, soprattutto il movimento del 20 febbraio. Ad un certo punto gli attori che partecipano alle istituzioni devono assumere le rivendicazioni dei movimenti che operano al di fuori delle istituzioni senza travisarne il contenuto democratico. E’ ciò che è accaduto in Tunisia nella seconda fase della rivoluzione, ed è questo rapporto permanente che è essenziale a tutto il percorso di costruzione della fiducia democratica dopo la caduta del dispotismo. E’ possibile ipotizzare, nel caso del Marocco, che questo rapporto tra movimenti contestatari ed attori democratici si costruisca prima della caduta del dispotismo.

• La seconda diversità che deve essere superata è quella della differenza ideologica tra la sinistra e il movimento islamico (il PJD e Al’Adl wa Al Ihsane). Oggi è necessaria un’alleanza politica tra la sinistra e il movimento islamico. Una simile alleanza tra queste due forze che dispongono di un radicamento popolare reale sarebbe fatale per il potere autoritario. Non si tratta certo di abolire le differenze tra la sinistra e il movimento islamico, né di porre fine alle divergenze ideologiche, ma di costruire una alleanza politica che consenta di porre fine all’autoritarismo. In un secondo tempo, una volta stabilite solide regole del gioco democratico, questi due progetti ideologici torneranno ad essere in competizione per governare e disporre del potere reale in un quadro di alternanza e di rispetto dell’avversario democratico.