Stampa







TelQuel n. 498 – novembre 2011


Viaggio tra i ribelli di Imiter
Omar Radi


Nel sottosuolo della regione si trova uno dei più grandi giacimenti di argento dell’Africa. Ma in superficie c’è la miseria in tutto il suo splendore. Zoom su un villaggio che dice “NO”


A 200 km da Ouarzazate, provenendo da Tinghir, la strada e lo scenario cominciano a tendere al grigio, i rilievi si imbruniscono mano a mano che ci si avvicina al villaggio di Imiter. Le montagne nere segnalano la presenza di un vicino giacimento di argento. Nel villaggio principale del comune rurale di Imiter, si direbbe che il tempo si sia fermato: niente edicole di giornali, niente accesso a internet, niente liceo… Perfino la campagna elettorale – che impazza in tutto il paese – non sembra essere arrivata fino qui. Nessun manifesto murale e nessun candidato che faccia il porta a porta per guadagnare voti. “Delle elezioni ce ne fottiamo. Non saranno loro a cambiare il nostro quotidiano”, spiega Brahim, un disoccupato del villaggio. Il fatto è che gli abitanti di Imiter sono arrabbiati. Gli ottomila dannati della regione sono in stato di agitazione da cinque mesi. Denunciano la povertà e l’indigenza in cui vivono, ma anche il super-sfruttamento delle loro ricchezze naturali. I loro mali, li riassumono in una sola parola: l’ONA, la holding reale (diventata SNI) che detiene la concessione di una miniera d’argento, una delle più importanti d’Africa, attraverso la sua filiale, la Societé minière d’Imiter (SMI).


La marcia della sete
Tutto è cominciato all’inizio delle vacanze estive. Gli studenti del villaggio, di ritorno dalle università di Errachidia o di Marrakech, chiedono, come ogni estate, un lavoro stagionale nella miniera. E, come ogni anno,  la SMI ne assume una quindicina. Gli scartati non sono contenti: “Com’è che una società che fattura centinaia di milioni di dirham estraendo minerale dalle nostre terre pretende di non avere i mezzi per assicurarci un lavoro, sia pure stagionale?” s’interroga il nostro disoccupato. Ma la goccia che fa traboccare il vaso verrà più tardi, quando gli abitanti vedranno ridursi il getto d’acqua dai loro rubinetti, fino a cessare del tutto. “A qualche settimana dal ramadan, l’acqua sgorgava dai rubinetti non più di una mezzora al giorno”, racconta Brahim. Si scatena allora un vasto movimento di protesta sociale e di disobbedienza civile.  All’inizio sono gli studenti e i disoccupati che dirigono il movimento. Presto vi aderiscono anche gli altri abitanti e tutti insieme decidono di effettuare ogni giorno una “marcia della sete” dal centro del villaggio fino all’ingresso della miniera. Però nessun interlocutore si degna di confrontarsi con loro. Decidono allora di radicalizzare la loro protesta, interrompendo la fornitura d’acqua della miniera. “Loro ci prendono tutta l’acqua e nessuno ci rende giustizia, e allora noi abbiamo deciso di fare lo stesso”, spiega lo studente Omar Moujani. In pieno ramadan, nel mese di agosto, più di 1000 persone si accampano vicino al più importante serbatoio d’acqua che serve la miniera, in cima al monte Alebban, a 1.400 metri di altezza. Sono passati quattro mesi e il sit-in prosegue. I “guardiani del serbatoio” non sono ancora scesi dalla vetta della montagna.


La trivellazione della collera
Secondo gli abitanti della regione, le risorse d’acqua hanno cominciato a rarefarsi nell’ultimo decennio, quando la SMI ha trivellato, nel 2004, un nuovo pozzo di una profondità di 40 metri, diventato il principale fornitore d’acqua per la miniera d’argento. Molti piccoli agricoltori hanno visto i loro pozzi prosciugarsi e le piantagioni morire. “Da quando abbiamo interrotto la fornitura d’acqua alla miniera, il villaggio è stato rifornito in modo normale e senza interruzioni”, spiega Omar Moujani. Da parte sua, la SMI nega ogni relazione tra la costruzione del nuovo pozzo e la rarefazione dell’acqua. “Vi sono 3 khettarat (sistemi di irrigazione sotterranei) nella regione e i nostri studi confermano che sono indipendenti dalla nostra trivellazione”, precisa Youssef El Hajjam, direttore generale della società. E aggiunge: “Noi abbiamo tutte le autorizzazioni dal 2004 ed esse sono state rinnovate nel 2009”. Secondo lui, tutto dipende dalla pluviometria: “Non ha piovuto molto negli ultimi anni, è dunque normale che la regione ne soffra”.


La lotta continua
Vi sono stati dei negoziati tra la società mineraria e gli abitanti del villaggio, ma si sono presto arenati. “La SMI ha proposto qualche finanziamento per risolvere qualche problema sociale, ma mai una soluzione globale”, spiega Brahim. “Questa società sfrutta le ricchezze che si trovano nel nostro sottosuolo, è suo dovere partecipare allo sviluppo della regione. E’ inammissibile che, con la crescita del suo fatturato, continui ad ignorare le nostre rivendicazioni, che non sono poi impossibili da soddisfare”, sottolinea.
Perché, oltre alle rivendicazioni di lavoro e di accesso all’acqua, gli abitanti della regione reclamano più infrastrutture di servizio pubblico. “Il liceo più vicino è a 30 km da qui, l’infermeria chiude alle 15, non apre da venerdì a domenica e non possiede nemmeno del paracetamolo”, denuncia Brahim. Dopo avere bloccato la sede del comune rurale, “che non serve a niente” secondo loro, gli scolari e gli studenti minacciano di fare un anno bianco. “All’unanimità abbiamo deciso che nessun ragazzo andrà a scuola o all’università quest’anno”, spiega lo studente Moujani.
I toni continuano a crescere. E gli abitanti ribelli di Imiter sono determinati a continuare la loro lotta fino in fondo. Una determinazione che non sembra scalfita né dalle rudi condizioni climatiche né dalle intimidazioni delle forze dell’ordine, che di tanto in tanto procedono a degli arresti. “Le nostre rivendicazioni restano le stesse e la nostra lotta resterà pacifica”, promette Brahim. Fino a quando?






Modello. La democrazia amazighe
“Gli orfani di Massinissa”, così i ragazzi della regione amano chiamarsi, mantenendo un rapporto assai forte con la loro terra e le loro ricchezze naturali. Questo attaccamento li dota di uno spirito combattivo e di un’ispirazione che né la repressione né il clima sembrano intaccare. Discendenti della tribù Ait Atta – che, come gli Ait Baamrane della costa ovest, è stata un bastione di resistenza al colonialismo – gli abitanti di Imiter non hanno dei capi villaggio o degli anziani come decisori. Tutti partecipano alle decisioni comuni, piccoli e grandi. Questa forma di democrazia diretta è vecchia come il mondo tra le tribù amazighe: si chiama Agraw. Nelle loro manifestazioni, sugli striscioni citano Bertolt Brecht, una icona del movimento di estrema sinistra europeo. E se pochi comprendono la darija (il dialetto marocchini, ndt), quasi tutti i giovani parlano francese.