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Demain on line, 18 marzo 2012 (trad. Ossin)



Il Rif e i suoi abitanti
Ali Lmrabet


Nel corso dei
recenti avvenimenti di Taza, le forze dell’ordine si sono molto divertite ad abbattere le porte delle case, distruggere gli altrui beni, brutalizzare cittadini, giovani, donne, bambini e vecchi compresi, e derubare quelli che hanno avuto la sfortuna di trovarsi sul loro cammino.


Invece di prendere provvedimenti sia contro i rivoltosi che contro i membri delle forze dell’ordine che hanno tenuto comportamenti indelicati, il capo del governo Abdelilah Benkirane, il ministro della giustizia e delle libertà, Mustapha Ramid, e il ministro dell’interno, Mohand Laenser, hanno deciso di procedere solo contro i dimostranti. Nemmeno una parola è stata pronunciata a conforto della brava gente maltrattata dalla polizia.


Il discorso di questi dirigenti voleva essere legalitario. Stigmatizzare il disordine, difendere il ruolo della forza pubblica nel mantenere la pace, assicurare la sicurezza dei cittadini e dei loro beni e far rispettare la legge.


Un discorso “responsabile”, ma che finisce per contraddirsi. Perché anche le forze dell’ordine hanno attentato ai beni delle persone, fatto un uso eccessivo della forza e violato la legge e commesso dei delitti puniti dalla legge.


Se Bekirane e i suoi ministri avessero invitato i poliziotti alla moderazione, le deplorevoli scene che si sono viste questa settimana nel Rif avrebbero potuto essere forse evitate.


In questi ultimi giorni, diverse località del Rif  hanno visto abbattersi su di lo orde in uniforme che hanno saccheggiato tutto al loro passaggio, aggredendo e insultando gli abitanti, torturando le persone arrestate, scassinando negozi e facendo mostra di un razzismo stupido verso i loro stessi compatrioti.


Non si tratta di propaganda. Non c’è complotto, islamista, algerino o del Polisario. Ci troviamo di fronte ai crudi fatti. Ci sono prove. Ci sono testimoni., testimonianze, sonore e video, che mostrano l’ampiezza della repressione e provano che le forze spedite da Rabat si sono comportate come se si trovassero in un paese conquistato.


E che paese! A parte qualche “gesto” nei confronti del Rif, da molto tempo emarginato dall’altro tiranno in pantofole, niente è cambiato veramente, né nella sostanza né nella forma. L’economia non è decollata, gli abitanti si sentono sempre stranieri nel loro paese e le autorità locali si comportano spesso come se avessero a che fare con pericolosi indigeni.


Noi lo sappiamo, perché nasconderlo? Che il Palazzo, oltre l’apparenza dell’annuale visita regale, non ama troppo questi abitanti del Rif che considera grezzi e non troppo servili. E viceversa. I Riffani nemmeno amano troppo questa monarchia, il suo cerimoniale di sottomissione retrogrado e umiliante e, quando se ne presenta l’occasione, si ricordano che il “buon” sultano Mohamed V (il signore che i nostri padri dicono di aver visto sulla luna) e suo figlio Hassan II hanno commesso alla fine degli anni cinquanta dei crimini contro l’umanità quando hanno bombardato al napalm delle città e dei villaggi per riuscire a vincere una ribellione.


In tutti i matrimoni di convenienza, che si sa finiscono sempre male, i coniugi concludono saggiamente una sorta di armistizio che permette loro di restare nella casa comune. Vivere insieme, ma senza amarsi e spesso senza preoccuparsi dell’altro.


Atteniamoci a questo! Che la ragione prevalga sulla violenza. Che Rabat richiami i suoi cani e rispetti i sentimenti e le particolarità dei Riffani.


Non potrà uscire niente di buono da questa pentola, se i cani continueranno ad abbaiare e a mordere.