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Demain online, 12 maggio 2012 (trad. Ossin)



Lhaqed: un anno di galera
AP


Il rapper marocchino Mouad Belghouat, alias El-Haqed, è stato condannato da un tribunale di Casablanca a un anno di prigione senza condizionale venerdì, per oltraggio alla polizia.

Il verdetto è stato pronunciato senza arringhe della difesa, che si era ritirata dal processo nel corso dell’ultima udienza del 7 maggio.


Si tratta della seconda condanna in cui incappa questo artista del Movimento del 20 febbraio, che manifesta per ottenere profonde riforme politiche in Marocco dall’avvio della Primavera araba l’anno scorso.


El-Haqed è stato arrestato il 29 marzo su denuncia della Direzione Generale della Sicurezza Nazionale che lo accusava di danneggiare l’immagine dell’istituzione. La polizia marocchina accusa il rapper di aver pubblicato su internet una canzone accompagnata da foto che costituiscono un oltraggio alla polizia.







Lhaqed: un verdetto surrettizio per una giustizia furtiva
Salah Elayoubi


E’ la storia di un operaio che tanto sognava la democrazia che si è messo a cantare. Ha cantato con tanto talento e convinzione che è riuscito a raccogliere attorno a lui migliaia di persone come lui, assetati di libertà. Allora "hanno" deciso di farlo tacere!


E’ questa, riassunta nella sua più cruda realtà, la tragedia di Mouad Belghouat. Tutto il resto è aneddoto, menzogna o complotto. Un anno di silenzio senza condizionale. E’ la pena per avere cantato alto e forte quello che la maggioranza dei cittadini di questo paese pensa e mormora a bassa voce.


Il verdetto desta interesse nel merito, per la sua durezza, benché non fosse sfuggito a nessuno che era giunto il tempo della repressione, con l’arrivo della nuova compagnie governativa al comando.


La sentenza è rilevante soprattutto per il modo. Prevista per le 16.00, il dispositivo è stato invece letto prima, cogliendo di sorpresa il comitato di sostegno, mentre imputato e avvocati si erano rifiutati di presenziare per protestare contro le condizioni nelle quali si svolgeva il processo.


Precipitazione sospetta, da parte di un tribunale che, fino ad allora, se l’era presa comoda.

Una pena inflitta in condizioni particolarissime. Tanti mezzi, tanti poliziotti, tanti magistrati, tanti intrighi e tanti intrallazzi, per – alla fine – sussurrare questo verdetto, al riparo delle orecchie interessate, solo per impedire che si raggruppassero i simpatizzanti del militante.


La giustizia marocchina ci aveva abituato a ogni sorta di turpitudini e di comportamenti devianti.

Si sapeva che i nostri magistrati sono nella maggioranza scaltri. Quelli che hanno operato questo pomeriggio, sotto il segno dell’infamia, meritano di far parte della nazionale dei perversi.


Un verdetto surrettizio, quasi segreto. Perfino “en loucedé” (espressione gergale che significa “alla chetichella”, ndt), tanto questa espressione, presa a prestito dal linguaggio della malavita, si addice perfettamente alla situazione. Perché tutto nella genesi di questa vicenda, come nelle altre macchinazioni di ogni genere ai danni dei militanti del “Venti febbraio” (il movimento di contestazione della primavera marocchina, ndt) evoca comportamenti delinquenziali, commessi da bande e su commissione, agli antipodi di ogni senso di giustizia, nell’ambito di complotti perfidi.


La regola sarebbe che la giustizia venga pronunciata, amministrata e trattata con serenità. Quella che abbiamo visto questo venerdì 11 maggio era tutto tranne che serena. Si trattava di una giustizia furtiva e sbrigativa. Né visto, né conosciuto, ti condanno!


Ciò che è accaduto è una omissione di atti di ufficio truccata da giustizia. Non si trattava, né più né meno, che di punire Mouad per avere avuto tanto coraggio, audacia e dignità, durante questo processo che disonora, una volta di più, il nostro paese. Il comportamento del rapper ha posto questi giudici di un’altra epoca di fronte allo specchio, di fronte ai loro compromessi con la dittatura. Egli è stato sempre fedele alla sua immagine: risoluto e determinato! Una lezione raramente apprezzata dagli assolutisti avvezzi a leggere negli occhi di chi sta loro di fronte solo terrore o servilismo.


La vigilia del verdetto, Mohammed VI, circondato da un areopago di “marciatori all’indietro”, sempre gli stessi, acquisiti alla causa della dittatura, ha promesso una ennesima riforma della giustizia. Un puro capolavoro di cinismo e di ipocrisia, destinato a ingannare la comunità internazionale sulle immutabili intenzioni liberticide del regime marocchino e fare dimenticare la repressione selvaggia della primavera marocchina, gli assassini dei militanti, i processi in catene e le sentenze ingiuste.


Ecco che l’antro dell’ingiustizia e dell’assolutismo pretende di preoccuparsi di restituire, con una mano, l’indipendenza a un settore, dopo averlo blindato con uomini fedeli, nel corso degli anni.


Chi è disposto a ingoiare questo rospo?


La tragedia di Mouad segna una pausa momentanea. Il rapper è tornato in cella, il tempo di comparire in appello.


Nel più bel paese del mondo, la tirannia ha ripreso piede. La stupidità degli assolutisti anche, attendendo che il soffio della libertà giunga a porre fine a questa brutta parentesi della storia contemporanea del Marocco.

 

Il precedente arresto di Lhaqed:

Arrestato il rapper del Movimento 20 febbraio

Liberato il rapper Lhaqed