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Demain online, 21 giugno 2012 (trad. ossin)



Un villaggio marocchino ribelle circondato e saccheggiato dalle forze dell’ordine

Da quasi una settimana, il villaggio di Chilhat nel Marocco del Nord, dove si è installata una azienda risicola spagnola con l’avallo del governo, vive momenti di forte tensione. Le centinaia di abitanti che si considerano truffati dall’impresa hanno tentato di far sentire la loro voce ma si sono scontrati con una repressione feroce.

L’impresa spagnola Rivera del Arroz affitta dallo Stato marocchino nel 2007 un terreno agricolo di circa 4000 ettari, circondato da una cintura di casali poveri, tra cui il villaggio di Chlihat. Giovedì mattina i contadini di questo villaggio di 400 abitanti si sono riversati in un campo che l’impresa sta coltivando da metà maggio per impedire ai trattori di lavorare, trattandosi di un appezzamento messo in produzione in violazione di un accordo preso con la comunità locale. Gli abitanti affermano infatti che la produzione intensiva di riso provoca una proliferazione di zanzare e così avevano attenuto dall’azienda l’assicurazione che non sarebbe stata lavorata questa parte vicina alle loro case, una particella che speravano peraltro potesse essere riservata agli allevamenti del villaggio.


Ore 0’32: “Adesso siamo circondati. Nono possiamo andare da nessuna parte, nemmeno al mercato. Penetrano nello nostre case forzando le porte, qualche volta alle 2 o alle 3 o alle 4 di mattina. Nessuno può uscire, nemmeno i malati possono lasciare il villaggio per farsi curare”.


Ore 2’58: “Le istituzioni dello Stato dovrebbero tutelare la dignità dei cittadini ma anche la loro sicurezza. Succede invece che la loro unica preoccupazione è quella di favorire gli interessi di questa impresa che attenta ai nostri diritti”.


Sono rapidamente scoppiati dei tafferugli tra le forze dell’ordine, dispiegate a protezione dell’impresa, e gli abitanti. Secondo il ministero dell’interno, i manifestanti avrebbero gettato pietre in direzione delle forze dell’ordine, provocando diverse decine di feriti, e avrebbero tentato di fermare la circolazione su di una strada nazionale. I manifestanti dicono, dal canto loro, che le forze dell’ordine, circa 1500 uomini, hanno fatto un uso smisurato della forza utilizzando cannoni ad acqua e proiettili di gomma. L’Associazione marocchina per i diritti dell’uomo (AMDH), alcuni dei cui militanti si trovavano sul posto, parla di un centinaio di feriti. Aggiunge peraltro che nei giorni scorsi dei poliziotti sono penetrati con la forza nelle case e che alcuni negozi sono stati saccheggiati.

Il conflitto tra l’impresa e gli abitanti non è nuova. Oltre alla questione della particella che avrebbe dovuto essere risparmiata, gli  abitanti affermano di avere ottenuto anche la promessa, durante i negoziati del 2009, di 500 assunzioni. Invece solo “12 persone sono state assunte, essendo la produzione del riso quasi completamente meccanizzata”, informa un militante locale dell’AMDH.

Venticinque persone sarebbero state arrestate dall’inizio del movimento, sempre secondo l’AMDH, tra cui giornalisti e militanti per diritti dell’uomo. Sedici sono ancora detenuti. Mercoledì la situazione restava tesa nel villaggio.


Abbiamo tentato di contattare l’impresa spagnola Rivera del Arroz a più riprese, ma nessuno ci ha finora risposto.

Said Kharraz è membro della sezione locale dell’Associazione marocchina per i diritti umani. Tra giovedì e domenica ha raccolto diverse testimonianze.

“Dopo la repressione della manifestazione di giovedì, c’erano decine di feriti, alcuni dei quali in grave stato. Molti di essi non hanno potuto essere ricoverati in ospedale perché le forze dell’ordine circondavano una zona che comprende più casali ed avevano paura di essere arrestati. Alcuni manifestanti, molti dei quali avevano riportato fratture, sono comunque riusciti a rifugiarsi in villaggi vicini dove hanno ricevuto cure rudimentali. Quel giorno le forze dell’ordine hanno ucciso una vacca e bruciato il raccolto di alcuni contadini. Ma il peggio doveva ancora venire”.

Sabato, verso le nove del mattino, alcuni poliziotti sono entrati con la forza in qualche casa, hanno trascinato i residenti in strada, poi li hanno ammassati in una piazza e bersagliati con cannoni ad acqua. Nel frattempo altri poliziotti si sono abbandonati ad una vera razzia nel villaggio, nel corso della quale sono stati rubati oggetti preziosi, tra cui gioielli ma anche alimenti, e dei forni (tradizionali) sono stati distrutti.

Abbiamo calcolato un centinaio di feriti, tra cui un bambino che ha perso un occhio. Due studenti hanno raccontato ai genitori di essere stati torturati in un centro della gendarmeria perché fornissero informazioni su Arriahi Ayachi, un compagno militante per i diritti dell’uomo, detenuto per istigazione alla disobbedienza civile. (Abbiamo tentato di raccogliere la versione delle autorità locali, ma fino ad ora non hanno risposto).

Questi ultimi giorni Chlihat sembra un villaggio fantasma. I giovani si sono rifugiati nella foresta e nei casali del circondario per sfuggire agli arresti. Le donne e le persone anziane che sono rimaste non parlano coi militanti o con la stampa, per timore di rappresaglie.

Jamel (pseudonimo) è un giovane disoccupato che abita a Chlihat. Dall’inizio dei disordini si nasconde, in compagnia di altri giovani, in una foresta vicina per sfuggire all’arresto.
 
Ore 1’38: “Ieri ci hanno sparato contro con cannoni ad acqua fino a dentro le nostre case (…) Siccome ci
hanno minacciato, noi abbiamo passato la notte nella foresta (…) Entrano a forza nelle nostre case, ci maltrattano e maltrattano i nostri figli. Per non parlare degli insulti”.

“Noi non abbiamo fatto niente di male. Le nostre sole ‘armi’ sono gli striscioni e gli slogan. All’inizio ci siamo schierati davanti ai trattori per impedire loro di avanzare. Un Europeo, al volante di un grosso trattore, è passato lo stesso buttando giù una vecchia. Un bambino ha risposto lanciandogli una pietra. E lì è partito tutto: gli spari con proiettili di gomma, il gas lacrimogeno, i manganelli, gli arresti. Noi siamo pronti a negoziare per trovare una soluzione, ma le violenze devono cessare, le nostre donne devono poter essere curate e i nostri figli debbono poter tornare a scuola”.