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Orient XXI, 19 febbraio 2015 (trad. ossin)


Il movimento marocchino del 20 febbraio visto da un giornalista egiziano

Karem Yehia


Nonostante la riforma della Costituzione, in Marocco prevale l’immobilismo e la repressione contro gli organismi indipendenti, soprattutto l’Associazione Marocchina per i diritti dell’uomo (AMDH), cresce di intensità. Tuttavia, mentre il Movimento del 20 febbraio celebra il suo quarto anniversario, i militanti traggono insegnamenti dai loro errori e lavorano per il futuro. Un giornalista egiziano racconta le sue impressioni di viaggio


Al mio arrivo a Rabat, proveniente dal Cairo, per la commemorazione del quarto anniversario del Movimento del 20 febbraio marocchino, avevo con me uno studio sula stampa egiziana e il culto esasperato della personalità. Immediatamente mi sono reso conto che i miei colleghi marocchini conoscono già bene questa situazione: dovunque c’erano dei ritratti a colori del re, dalla hall dell’aeroporto, passando per i biglietti di banca e fino allo spicciolo più minuto.

Il fatto è che il ritratto del “Comandante dei Credenti” – titolo mantenuto anche nella Costituzione riformata del 2011, che istituisce una monarchia costituzionale e parlamentare (1) – vi accompagna dovunque, quasi fino in camera da letto.

Prima di partire per il Marocco, avevo consultato gli archivi di Al Ahram, il più antico e importante quotidiano egiziano, quello più attento all’attualità regionale e internazionale. Avevo constato la poca attenzione accordata al Movimento del 20 febbraio marocchino. Solo sei titoli nell’anno in cui il movimento è nato; informazioni limitate, riprese dalle agenzie di stampa internazionali, a eccezione di un articolo del 6 agosto 2011 che riporta una intervista alla segretaria di Stato presso il ministero degli affari esteri, Latifa Akherbach, dal titolo: “Nessuna necessità di clonare le esperienze di transizione democratica”.

Purtuttavia, ascoltando a Rabat i giovani del Movimento parlare delle loro esperienze, mi sono convinto che l’ondata di cambiamento provocata dalle due rivoluzioni, tunisina ed egiziana, hanno avuto un impatto profondo nel mondo arabo, fino ai confini dell’Atlantico.


Mobilitati per un cambiamento sociale e politico

Vero è che le contestazioni marocchine erano state precedute da segni annunciatori fin dall’inizio degli anni 2000, con numerose manifestazioni contro la disoccupazione e il costo della vita. Comitati di coordinamento e campagne varie avevano anche promosso, nel 2007, azioni di boicottaggio contro il pagamento delle bollette dell’elettricità e dell’acqua in molte città del regno, dopo la privatizzazione di questi due servizi pubblici e la cessione della loro gestione a compagnie europee. Ma quando è scoppiata la primavera araba, molti giovani utenti di Facebook, fuori dai partiti politici e dalle associazioni, si sono chiesti: “Perché non fare come in Tunisia e in Egitto?”

Proseguendo la narrazione della sollevazione popolare che si è estesa a tutto il Marocco, per una durata che varia da tre mesi a due anni a seconda delle fonti, sembra che la mobilitazione sia cominciata con un comunicato in otto punti pronunciato ufficialmente nella sede dell’Associazione marocchina per i diritti dell’uomo (AMDH), a Rabat, il 17 febbraio 2011. Scritto da giovani di diverso orientamento politico e da indipendenti, il testo chiedeva una Costituzione democratica che esprimesse la volontà del popolo. Conteneva anche altri punti di natura politica, sociale e culturale, come il riconoscimento della lingua amazigh. Tuttavia, né le rivendicazioni consegnate a questo comunicato, né gli slogan di strada sono mai giunte al punto da chiedere la caduta del regime o l’istaurazione di una Repubblica.

Gli attivisti sono riusciti a dare vita ad una lotta di ampia portata che ha coinvolto tutto il paese. La mobilitazione si rinnovava attraverso manifestazioni che avevano luogo ogni domenica e il giorno 20 di ogni mese. Ma non ha mai raggiunto il livello di una insubordinazione civile, né è riuscita mai a organizzare una manifestazione decisiva in un luogo centrale e simbolicamente importante.

Comitati di coordinamento sono spuntati in tutte le città e giovani leader sono stati promossi sul campo. E’ nato un Consiglio nazionale per sostenere le rivendicazioni del movimento, composto da partiti politici, associazioni, comitati e sindacati. Ciononostante, i giovani del movimento non sono riusciti ad esprimere una direzione centrale a livello nazionale.


Riflusso della contestazione

Tre avvenimenti hanno determinato il riflusso del movimento di contestazione più lungo della storia contemporanea del Marocco. In primo luogo, è stato il Palazzo reale a prendere l’iniziativa di alcune riforme costituzionali, tra le quali il riconoscimento della lingua amazigh, che sono state poi convalidate dal voto il 1° luglio 2011. Poi, le elezioni parlamentari anticipate del 25 novembre 2011 sono state vinte da un partito islamista, il Partito della Giustizia e dello Sviluppo (PJD), guidato da Abdelilah Benkirane, che ha assunto nel gennaio 2012 la guida del governo e di una coalizione di quattro partiti, tra i quali il partito comunista classico (monarchico!) (2). Infine, l’organizzazione islamica Al-Adl wal-Ishan (3), una delle forze più popolari e più influenti del paese (benché non sia stata mai autorizzata), si è ritirata dal Movimento.

Nonostante la riforma costituzionale del 2011, il Marocco non è diventato una monarchia costituzionale e parlamentare. In quanto tutti i poteri restano nelle mani del re, ivi compreso un potere medioevale sul piano religioso. Egli è al di sopra di ogni legge e non è stato creato alcun contrappeso di potere. E’ perfino vietato commentare il discorso del trono indirizzato al Parlamento. Inoltre l’annuale cerimonia di fedeltà, servile e umiliante, è stata conservata. Senza contare che il Palazzo reale e il suo entourage sono i più grossi proprietari e investitori del regno.  Essi hanno messo su un sistema economico originale, dove i caratteri della feudalità si combinano con quelli di un capitalismo clientelare. Hanno messo le mani su considerevoli estensioni terriere, conti bancari, manifatture, diritti commerciali e minerari, tra cui i fosfati, al di fuori di ogni controllo, e senza che sia imposta la minima trasparenza. Inoltre somme considerevoli vengono trasferite su conti esteri, come attestano i documenti di Swiss Leaks, di cui ha parlato la stampa del Nord del mediterraneo.


Qualcosa si muove

Ciononostante, molte persone appartenenti all’élite politica incontrate a Rabat concordano nel dire che il movimento del 20 febbraio ha innestato dei cambiamenti. Prima di tutto, i cittadini hanno preso coraggio e i margini di libertà di espressione si sono allargati. Inoltre islamisti e laici (dunque militanti di sinistra e liberali) stanno facendo una inedita esperienza di dialogo. Si è affermata l’idea che non ci può essere un solo attore del cambiamento. Una lezione importante anche per l’Egitto e il Mashrek arabo.

Incontestabilmente, la traiettoria sinuosa e a colpi alterni della rivoluzione egiziana, l’apparizione del confessionalismo e del tribalismo nelle dinamiche della sollevazione araba (in Libia, Siria, Yemen, Bahrein), oltre al pericolo crescente rappresentato dall’organizzazione dello Stato Islamico, hanno concorso a provocare un restringimento delle libertà e degli spazi democratici in Marocco. Le forze reazionarie hanno strumentalizzato tutti questi fattori, oltre alla necessità di “tutelare il prestigio dello Stato”, come argomenti per frenare le dinamiche democratiche in atto. Molti marocchini che ho avuto modo di incontrare parlano di regressione. Il governo e il Parlamento non riescono ad attuare le nuove misure – per quanto limitate – della Costituzione ed a varare leggi di adeguamento della legislazione ai nuovi principi costituzionali. Importanti questioni si pongono sul margine di manovra di cui dispone il governo Benkirame di fronte al potere quasi assoluto del re. Molto più ci si interroga sui modi coi quali il Palazzo strumentalizza questo governo per far passare decisioni economiche e sociali impopolari, adeguandosi alle richieste della Banca Mondiale e del Fondo monetario internazionale (FMI).

Ma il cambiamento più importante in Marocco resta l’emergere di nuovi leader dovunque nel paese. L’esperienza del Movimento del 20 febbraio ha permesso loro di acquisire esperienza e competenza. Molti di loro non hanno perso la speranza di vedere nascere una nuova ondata rivoluzionaria, semplicemente per il fatto che le cause che hanno scatenato la prima sono rimaste immutate. Cause ,che i ritratti a colori del re e della famiglia reale non riescono a nascondere.


Note:

(1)    Amir al-Mouminine (“Comandante” o “Principe” dei credenti) : “Il re, Amir Al-Mouminine veglia su rispetto dell’Islam. E’ il Garante del libero esercizio del culto” (…) titolo III, articolo 41 della Costituzione del 2011
(2)    Il partito comunista marocchino è stato fondato durante il protettorato francese, nel 1943. Dopo un periodo di interdizione, è riapparso nel 1968 col nome di Partito socialista e del progresso. Il PPS appoggia risolutamente la monarchia nella sua politica sul Sahara Occidentale. Fin dal 2010, e sulla scia della primavera araba, vi sono stati dei dissensi in seno al PPS, la cui linea ufficiale è di opposizione al Movimento del 20 febbraio
(3)    Giustizia e Beneficenza