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Le Journal Hebdomadaire, 18/24 luglio 2009

“Si può paragonare il commissariato di Jamaa El Fna a Tazmamart o a Guantanamo”

Intervista di Hicham Bennani con Zahra Boudkour, la più giovane detenuta di opinione in Marocco.



D: Giovedì 9 luglio 2009 lei è stata condannata a due anni di prigione senza condizionale dal tribunale di Marrakech.  Se lo aspettava?
R: (Lungo silenzio) Ho preso due anni di prigione insieme ad altri nove studenti. Uno studente si è beccato quattro anni.  Eravamo tutti preparati a questa sentenza. Eravamo anche pronti a subire qualcosa di peggio della prigione. La prigione, in fondo, non è che un piccolo luogo di detenzione.

D: Dunque non è rimasta delusa dal processo?
R:Eravamo psicologicamente preparati. Il tempo ci darà ragione, perché la verità finisce sempre per trionfare. Nell’attesa, io resto in prigione ancora per quattro o sei mesi, aspettando il processo di appello.


D: Che cosa è successo in tribunale quel “giovedì nero”?
R: Niente di speciale. Noi abbiamo reiterato le nostre dichiarazioni di sempre davanti al giudice. Abbiamo dichiarato che tutte le accuse che ci sono state rivolte erano infondate.


D: Di cosa, esattamente, eravate accusati?
R: Di tentativo di omicidio e di incendio.  Chi ci ha appioppato questo processo è gente ben conosciuta.  Il poliziotto che è stato ferito durante la manifestazione non è stato neppure capace di indicare il responsabile. La cosa più assurda è che, nel momento in cui è stato aggredito, noi eravamo già in commissariato.


D: Che cosa avete dichiarato nel corso del processo?
R:Subito prima della lettura del dispositivo, il giudice ci ha dato la parola un’ultima volta. Noi rivendichiamo i nostri atti fino in fondo, qualsiasi sia il giudizio.


D: Quali problemi incontra attualmente nella prigione di Boulmharez?
R: Non c’è neppure un posto in cui ci si possa recare per consultare un medico. Il medico viene una sola volta alla settimana. Dunque se ci si ammala nel corso della settimana, occorre aspettare il venerdì. E poi dobbiamo pazientare fino al lunedì per ricevere le medicine. Non è tanto l’attesa, è che si può morire a fuoco lento…


D: L’assistenza medica è dunque carente?
R: Questo mese il medico è venuto una sola volta. Ogni volta che mi prescrive una terapia, non mi fa alcun effetto. Eppure io spiego al medico quali sono i miei mali. Io non so bene neppure quali siano le mie malattie ed il medico non me le lo sa dire.


D: Che cosa succede quando c’è un’urgenza medica?
R: Bisogna sempre attendere, ore ed ore…  


D: Quali sintomi accusa?
R: Da quando mi hanno picchiato con una sbarra di ferro al commissariato di Jemaa El Fna, soffro di mal di testa ricorrenti, che si accentuano quando mi lavo i capelli. Ho inoltre degli strani dolori al ventre ed in certe parti del corpo.


D: Ci descriva le condizioni in cui vive dal maggio 2008
R: Sono esecrabili. Siamo troppi, rinchiusi in un piccolo ambiente invaso dagli scarafaggi. Siamo in cinquanta mentre ve ne potrebbero stare al massimo venti. Molte donne sono gravemente malate, hanno problemi di polmoni e sputano sangue. Anche i bambini sono in condizioni di grande sporcizia, hanno gli scarafaggi sulla faccia.


D: Quali sono le condizioni igieniche?
R: Si può fare una doccia di acqua fredda una sola volta la settimana. In cinquanta persone ci dividiamo un solo gabinetto.


D: Dove dorme?
R: In condizioni pietose. Ci sono detenuti che sono sistemati un po’ meglio, ma noi dormiamo tutte su dei vecchi stracci.


D: E che cosa mangia?
R:  Del cibo penoso. D’estate si mangiano lenticchie, fagioli, fave, (silenzio) carote, patate, cioè viene tutto cucinato con molta acqua.


D: In prigione viene maltrattata?
R: (Silenzio) No, no, non ci picchiano


D: Lei conserva il sorriso, nonostante quello che sta passando…
R: Io non voglio autocommiserarmi, dunque tanto vale sorridere! Cosa vuole che faccia?


D: Riceve visite dalla sua famiglia?
R: Una volta alla settimana, e solo una decina di minuti al massimo in un baccano totale. Le nostre famiglie sono inoltre costrette ad attese lunghissime, perché le visite per gli uomini, che sono 6000, hanno la precedenza su quelle per le donne.


D: Ci vuole ricordare che cosa ha subito il 15 maggio 2008 al commissariato di Jamaa El Fna?
R: Ci hanno ammanettato mani e piedi. Ci hanno bendato gli occhi. E da questo momento, ci hanno torturato per cinque giorni senza tregua. Abbiamo ricevuto botte su tutto il corpo, me mi hanno colpito con una sbarra di ferro sulla testa e anche un occhio è stato colpito. Non mi permettevano di andare al gabinetto, mi hanno anche spogliata.


D: Se avesse potuto prevedere tutto quello che le è successo e che sarebbe stata condannata a due anni di prigione, si sarebbe comportata allo stesso modo?
R: Un vero militante non si scoraggia. Sappiamo già tutto quello che ci toccherà patire. Niente si ottiene gratis. Si tratta soprattutto di un sacrificio individuale. Io non mi aspettavo certo che la giustizia ci avrebbe offerto dei fiori o srotolato un tappeto rosso. Anzi tutt’altro. Però qualsiasi cosa ci sarà da patire, niente ci farà cambiare le nostre convinzioni. Io non rimpiango niente.


D: Dunque la sua militanza la rende pronta a tutto?
R: Io sono pronta a dare due anni della mia vita in prigione, perché le cose in Marocco cambino. Potrei anche dare quattro anni, dieci anni o tutta la vita, perché le condizioni del popolo marocchino possano migliorare.


D: Le voci secondo cui lei avrebbe chiesto la grazia reale sono quindi false?
R: Naturalmente. Non so perché dovrei chiedere la grazia reale, quando sono innocente.


D: Lei sa di essere diventata un simbolo per i difensori dei diritti umani in Marocco?
R: In Marocco non c’è stato alcun miglioramento nel rispetto dei diritti umani. I nomi dei principali capri espiatori possono essere cambiati, ma la giustizia resta sempre uguale. Si può paragonare il commissariato di Jamaa El Fna a Tazmamart o Guantanamo.


D: Che cosa intende fare quando uscirà di prigione? Resterà in Marocco?
R: Non lo so se resterò qui o meno. Non ci penso. Quel che conta è che continuerò a battermi per le idee


 




Le Journal Hebdomadaire,  18/24 luglio 2009



Il vicolo cieco

Di Omar Brouksy



Sono dieci. Dieci studenti dell’università di Marrakech. Sono stati appena condannati a due anni di prigione senza condizionale per le loro opinioni politiche. Tra di loro, Zahra Boudkour, 22 anni, è la più giovane prigioniera politica dell’era di Mohammed VI. L’eco dell’arbitrio subito da questa ragazza ha già oltrepassato le frontiere del Marocco, ha già passato i confini. E conferma ancora una volta quanto sia bloccato il sistema politico marocchino, al livello delle sue istituzioni, specialmente quelle giudiziarie, le cui decisioni sono pronunciate in nome del re, pezzo forte dell’Esecutivo.  Lo abbiamo già ricordato, Zahra Boudkour è stata arrestata un anno fa dalla polizia di Marrakech, torturata in condizioni degradanti per una ragazza. La descrizione dei tormenti che le hanno fatto subire è insostenibile, ma descrive la realtà dell’autoritarismo diffuso: “Per avere partecipato ad una pacifica marcia di protesta – scrive Ignacio Ramonet nel numero di settembre 2008 de Le Monde diplomatique – è stata brutalmente picchiata dalla polizia, condotta con centinaia di compagni al sinistro commissariato di Piazza Jamaa El Fna e selvaggiamente torturata. Per diversi giorni i poliziotti l’hanno costretta a restare nuda, mentre aveva le mestruazioni, davanti agli altri detenuti”. Dopo ripetuti scioperi della fame, Zahra Boudkour  ha risposto all’ingiustizia con la dignità. Dei piccoli funzionari del ministero della giustizia diretto dal socialista Abdelouhaed Radi le hanno lanciato l’esca di una “grazia reale”. Inutilmente. La sua risposta è stata implacabile: “Non vedo perché dovrei chiedere una grazia reale, dal momento che sono innocente”.
A qualche giorno dal decimo anniversario dell’ascesa al trono di Mohammed VI, simili ingiustizie assumono un valore simbolico incontestabile. Il sistema politico, così come è stato concepito e immaginato dal re Mohammed VI ed un manipolo di uomini fidati, raggiunge un grado di inefficacia che non gli consente di continuare secondo i parametri attuali. Una giustizia incapace di guadagnarsi la minima autonomia, a causa del peso derivante dalla natura del regime e dallo statuto del re. Un governo che è solo una comparsa. Un processo elettorale pervertito dagli stretti legami tra Fouad El Himma e Mohammed VI. Una volontà popolare che non dispone più di strumenti democratici per esprimersi al livello nazionale e locale. Dei partiti politici che non hanno più fiducia nelle regole vigenti. La lista è lunga. Dopo dieci anni di un regno assolutista, il re è oggi costretto a rivedere tutti i parametri usati, sia per consolidare il suo potere, sia per governare. La domanda democratica attraversa tutte le correnti politiche più influenti, dagli islamisti del PJD ai socialisti dell’USFP, passando per l’estrema sinistra. La palla è adesso nel campo del Palazzo, il peggio può ancora essere evitato.