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Sondaggio vietato : Le lezioni di un fallimento

 

di Ahmed R. Benchemsi, a nome del gruppo TelQuel


 

TelQuel, Nichane e Le Monde sono stati dunque sequestrati  perché è “un sacrilegio fare sondaggi popolari sul re”. Ritorniamo su questo deplorevole incidente che rappresenta la negazione stessa del principio di democrazia.


 

Prima di tutto ricordiamo i fatti. Sabato 1 agosto 2009 un battaglione di poliziotti si è riversato nei locali dove si stampano TelQuel e Nichane a Casablanca. Qualche ora più tardi, il Ministro dell’interno ordinava il sequestro, quindi la distruzione di 100.000 esemplari dei due periodici, perché contenevano i risultati di un sondaggio, realizzato insieme a Le Monde, sul bilancio di 10 anni del regno di Mohammed VI. Anche se accreditava il Re del 91% di opinioni favorevoli, il Ministro dell’interno ha ritenuto “lo stesso principio” di questo sondaggio “assolutamente inaccettabile”. Ma il sequestro e la distruzione da lui ordinati non erano meno illegali perché, non solo alcuna legge in Marocco proibisce i sondaggi, su qualsiasi argomento, ma non v’è neppure alcuna legge che autorizzi il Governo a distruggere dei giornali senza l’intervento di un giudice. Nel momento in cui i nostri numeri “dopo censura” venivano stampati, ancora non conoscevamo l’esito del ricorso presentato il giorno stesso al Tribunale amministrativo contro il sequestro. Due giorni più tardi il tribunale ha risolto: come nelle previsioni, il nostro ricorso è stato respinto. Ma le motivazioni non sono state pubblicate subito.

E’ dunque la notizia del rientro. Il tribunale ha finalmente motivato la sua decisione. Ha convalidato il sequestro ordinato dal ministro dell’interno , non perché l’abbiano ritenuto legalmente fondato, ma perché, tenetevi forti! ”l’invalidazione sarebbe priva di effetti, dal momento che in ogni caso le copie sono già state distrutte”! In altri termini, la giustizia marocchina ha giustificato una violazione di legge… con un’altra violazione di legge!! Non si poteva pensare ad una conclusione più adeguata  ad una sequenza che è stata un’eresia giuridica da cima a fondo.


Ora riflettiamo insieme.
Quale crimine di lesa maestà abbiamo commesso per meritare una simile punizione? Sondare l’opinione dei Marocchini sul loro re, ci hanno contestato, rappresenta un “attentato all’ordine pubblico” (articolo 37 del Codice della stampa), “mancanza di rispetto al re” (articolo 41) ed anche “violazione della Costituzione” (in particolare l’articolo 23 che stabilisce che “la persona del re è sacra e inviolabile”). Salvo che nessuna di queste accuse ci è stata ufficialmente rivolta. Il portavoce del governo si è limitato a brandirle soltanto nei diversi media, in un fiume di parole spesso contraddittorie. Ora le parole si perdono, gli scritti restano. E non c’è alcuno scritto che ci accusi di qualcosa. Si sarebbe dovuto affermare, in un documento ufficiale dello Stato o della Giustizia, che raccogliere l’opinione del popolo sul suo leader costituisce attentato ai fondamenti del regime? Ciò avrebbe significato ammettere ufficialmente che la democrazia, in Marocco, è una burla. Il Palazzo non ha voluto spingersi fino a questo Chi ha deciso questa censura sa bene, malgrado tutti i discorsi e le false apparenze, che la “sacralità reale” non può essere un pretesto per mettere il bavaglio al popolo vietando i sondaggi di opinione. Almeno non all’epoca del worldwide Web, che rende desueta ogni forma di censura. Nelle ore immediatamente successive al sequestro di TelQuel, Nichane e Le Monde, centinaia di siti web hanno pubblicato e commentato i risultati di questo sondaggio, la cui eco ha raggiunto… la Nuova Zelanda! In futuro si faranno altri sondaggi sul re, in Marocco o altrove. E sarà inutile vietarli. Affermiamo ancora con forza e tranquillità: nell’epoca di Internet la censura è una battaglia di retroguardia, inevitabilmente destinata al fallimento. Le autorità, che non possono ignorare ciò, hanno tuttavia ugualmente sequestrato i nostri periodici. Facendo ciò, hanno probabilmente voluto darci “una lezione”.


Quale è questa lezione? “Il re del Marocco è sacro, dunque nessuno ha diritto di esprimere un’opinione su di lui”? Assolutamente no!  Le televisioni pubbliche non allontanano il microfono dai Marocchini che dichiarano che il re è perfetto e infallibile; la cosa non ha mai irritato nessuno. Siamo chiari. Non sono tutte le opinioni sul re che danno fastidio, ma solo quelle negative.  Non quelle di quel 9% di marocchini che, nel nostro sondaggio, hanno stimato “piuttosto negativo” o “molto negativo” il bilancio dei 10 anni di regno di Mohammed VI. Questi ancora possono passare, finché si può ad essi contrapporre un tasso di consenso che supera il livello simbolico del 90%. No, la vera preoccupazione del palazzo è che, se i sondaggi sul re cominciano a diffondersi, potrebbero esprimersi altre opinioni negative nel futuro – e chissà che non diventino un giorno  maggioritarie. E questo, agli occhi di chi ci governa, è inconcepibile, inaccettabile. Ecco il nocciolo del problema.

Andiamo dritti al nocciolo della questione. Le opinioni negative dei popoli sui loro dirigenti sono sempre esistite, e sempre esisteranno in grado diverso, qualsiasi sia il paese ed il suo regime politico. Questo vale anche per il Marocco ed il Palazzo, malgrado tutta l’irritazione che una cosa del genere può suscitare, non può farci niente.

Tapparsi le orecchie ripetendo: “Nessuno può criticare il re”, quando milioni di persone lo fanno ogni giorno, non è una posizione sovrana. E’ una confessione di debolezza, addirittura di difficoltà.

Perché i sondaggi inquietano tanto il Palazzo? Esprimere un’opinione negativa sulla monarchia non vuol dire per ciò solo che la voglia rovesciare. Il portavoce del governo ha ricordato che “il re non esercita un mandato elettivo storicamente determinato”. Ragione di più per non avere nulla da temere da un sondaggio! Nelle democrazie elettive sì che i sondaggi negativi sui capi di Stato costituiscono per essi un reale motivo di inquietudine, perché rischiano di comprometterne la  rielezione. Niente di tutto questo può accadere in Marocco, dove il sovrano ha davanti a sé tutta la sua vita per realizzare la sua opera, che il popolo approvi o meno. E’ successo, è questa non è l’aspetto meno assurdo di questa avventura, che il nostro sondaggio censurato approvasse a grandissima maggioranza l’operato di Mohammed VI! Questo avrebbe dovuto, a rigor di logica, confortarlo nella strada tracciata in questi 10 anni per il Marocco, anche se essa possa trovare delle contestazioni.  D’altronde non è questo il problema, anche un’opinione negativa può cambiare, tutto dipende da ciò che i detentori del potere faranno per modificarla. Agire in questo modo vuol dire rispettare il popolo, tener conto delle sue opinioni per meglio individuarne le aspettative e meglio rispondervi. Questa sarebbe cosa degna e pacifica. Censurare invece l’opinione di un popolo, qualsiasi essa sia, costituisce invece – come ha ben detto con verve e talento il direttore di Le Monde, un “insulto al popolo”.


Si potrebbe parlare di democrazia.
Si potrebbe ricordare che la libertà di esprimere la propria opinione sul capo dello Stato, per quanto critica possa essere, ne è un fondamento. Si potrebbe infine ricordare che la libertà di espressione è un diritto del popolo, più ancora che della stampa. E che senza questa libertà è assurdo aspirare alla democrazia.  Ma si è capito che il Marocco non è una democrazia. Affidiamoci dunque, giacché il Potere agita la “specificità marocchina” come un drappo rosso, ai fondamenti specifici del nostro sistema monarchico, vale a dire la bey’a (la festa del trono) o la sottomissione. Ecco cosa ne diceva il defunto Hassan II, il padre della nazione: “La sottomissione è come una briglia, che da un lato costringe il re e dall’altro i sudditi”. Oggi è come se il Palazzo ritenesse che essa debba vincolare solo da un lato. Questa briglia, che è la sottomissione, trattiene bene il popolo, ma non riesce a trattenere il re.  E’ anzi lui a tenerla e solo il popolo è alla briglia, soprattutto nel suo diritto di dire liberamente ciò che pensa. E’ una deriva inquietante.


Un’ultima parola.
L’uso del termine Palazzo in tutto questo editoriale non è ovviamente casuale. Perché non riferirsi direttamente al re? Perché l’alone di mistero che lo circonda è tale che non si può mai dire fino a che punto egli intervenga o meno in una decisione  - e soprattutto in una decisione così opinabile come quella di censurare la stampa del suo paese. Per contro è certo (e anche confermato) che il gruppo di “amici” che lo circonda ha giocato un ruolo importante in questa deplorevole vicenda di sondaggio vietato. Che questa gente, che noi indichiamo qui come il “Palazzo”, sappia che appannando in questo modo l’immagine del Marocco nel mondo, ha reso un pessimo servizio al re.  Non v’è peggiore manifestazione di “amicizia” di questa. Possano riflettervi serenamente, adesso che la tempesta è passata.