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TelQuel  24/30 ottobre 2009


Sahara Occidentale, il giro di vite


Per tre giorni Chakib Benmoussa ha martellato il medesimo messaggio: “Tutto è permesso, salvo il separatismo”.  Un chiaro avvertimento, all’indomani dell’incriminazione di sette indipendentisti per “attentato alla sicurezza dello Stato”



Chakib Benmoussa è un uomo che non fa le cose a metà. Solo qualche giorno dopo l’arresto dei sette indipendentisti che si sono recentemente recati a Tindouf, il ministro dell’interno ha guidato tutto il suo stato maggiore a Laayoune, capitale del Sahara. Qui la delegazione ha tenuto riunioni-maratona con gli eletti, gli sceicchi delle principali tribù e diverse associazioni locali. Obiettivo: condannare l’atto, considerato criminale da parecchi intervenuti alle riunioni, dei sette indipendentisti incarcerati. Si tratta, in termini più generali, di far passare un messaggio di fermezza. Il ministro dell’interno ha d’altronde detto senza giri di parole: “A coloro che predicano il separatismo sotto l’ombrello dei diritti dell’uomo, noi diciamo che il Marocco si è incamminato, in modo irreversibile, sulla via del rispetto e della difesa dei diritti dell’uomo, ma non accetta che i diritti dell’uomo servano da pretesto per attaccare i suoi simboli sacri, tra cui l’integrità nazionale”.
Nel corso del suo giro, il ministro dell’interno ha anche parlato di sviluppo, di investimenti, di infrastrutture… Ma nessuno o quasi ha dato peso a queste tematiche. “La composizione della delegazione è essa stessa rivelatrice delle sue intenzioni. Vi sono wali e governatori, tra cui diversi saharaoui, ma anche capi della polizia, della Gendarmeria e delle Forze ausiliarie. Non sono profili adatti a parlare di sviluppo durevole o sostegno al tessuto associativo”, ironizza un membro del Conseil royal consultatif des affaires sahariennes (Corcas).

Nuova intifada?

Subito dopo il loro arrivo a Laayoune, i componenti della delegazione hanno tenuto una riunione per la sicurezza a porte chiuse, con la partecipazione di rappresentanti della Procura. Perché – come confessa una fonte poliziesca a Laayoune – “la congiuntura è difficile”. All’indomani dell’arresto dei sette indipendentisti, infatti, alcuni abitanti di Laayoune hanno occupato in forze degli alloggi riservati a dei seguaci del Polisario. Abbastanza perché le forze di sicurezza temano l’esplosione di una nuova “intifada saharaoui”, come nel 2005. “All’epoca – ricorda la nostra fonte – alcuni indipendentisti hanno cominciato a esprimere apertamente la loro fedeltà al Polisario. Ciò che ha dato luogo ad un atteggiamento di lassismo che ha incoraggiato molti scontenti a scendere in strada. Manifestazioni che sono state egemonizzate dagli indipendentisti. La visita di Benmoussa aveva allora appianato i conflitti tra il wali e la tribù Ould Rachid, i rapporti tra i quali erano particolarmente tesi dalle ultime elezioni, largamente vinte dal presidente del Corcas”.
Oggi Chakib Benmoussa ha dunque cambiato atteggiamento, mostrandosi più fermo, addirittura minaccioso. “In tutte le riunioni, ci ha raccontato un testimone, ha martellato che tutto era permesso salvo il separatismo. E questo è stato percepito da alcuni come una intimazione. Si tratta di un cambiamento di tono radicale, perché fino a qualche anno fa il Marocco sembrava tollerare l’indipendentismo sul piano dei diritti di opinione”. Alcuni dirigenti spiegano questo cambiamento con “l’uso distorto” che i militanti indipendentisti hanno fatto della “libertà che era stata loro accordata”. Secondo un osservatore, “il discorso indipendentista perde terreno in Sahara. Inoltre il Marocco è riuscito a guadagnare una serie di colpi mediatici e politici. L’ultimo dei quali in ordine di tempo  è stata la dichiarazione di fedeltà di Ould Souleim e l’accoglienza ufficiale che gli è stata riservata a Dakhla. Questo fatto ha assai irritato il Polisario e i suoi simpatizzanti in Marocco. Che hanno allora cercato di provocare un’altra volta lo Stato, spingendosi però troppo in là, visitando delle istallazioni militari a Tindouf o partecipando a riunioni quasi ufficiali con alcuni responsabili dei servizi di informazione algerini”. Secondo altre fonti di polizia, sarebbero state programmate molte altre visite simili per i mesi a venire. Obiettivo: testare il grado di tolleranza delle autorità marocchine. “Lasciar fare sarebbe stato percepito come un segno di debolezza dagli scontenti di ogni tipo. Reagire fermamente aiuta gli indipendentisti a riavviare una macchina ferma già da diverse settimane”, analizza un osservatore. Dilemma corneliano… Il Marocco ha optato per la seconda opzione.

Ritorno alla stretta autoritaria
Risultato: i sette indipendentisti si trovano davanti al tribunale militare di Rabat con delle imputazioni eccezionalmente pesanti: intelligenza col nemico e attentato alla sicurezza dello Stato. Dall’altro versante della frontiera est, la macchina della propaganda si è naturalmente messa in movimento. I Saharaoui incarcerati sono presentati come degli eroi dell’indipendenza o dei martiri del popolo saharaoui. Essi hanno potuto incontrare le famiglie nella prigione di Salé, dove sono detenuti, e raccontare i dettagli dell’interrogatorio, le accuse che sono loro rivolte, ma non hanno fatto alcun cenno ad atti di tortura o violenza dei quali sarebbero stati vittime. “In questo genere di affari, spiega una fonte vicina agli indipendentisti, non si tratta di ottenere confessioni, quanto piuttosto di verificare se l’interpretazione dei fatti da parte dello Stato marocchino è logica o no (l’intelligenza col nemico nel caso della recente visita a Tindouf). Sennonché  queste persone non hanno mai nascosto la loro fede indipendentista ed il loro riconoscimento del Polisario come l’unico legittimo rappresentante del popolo saharaoui”.   
Nei territori saharaoui, secondo diversi testimoni, la tensione è reale. Anche se il messaggio di fermezza di Benmoussa è stato ben compreso da tutti, molti rimproverano allo Stato il ritorno ad una logica puramente securitaria nella gestione della questione del Sahara.





Zoom . Il Marocco è in stato di guerra?
I sette militanti indipendentisti, deferiti davanti al Tribunale militare di Rabat, rispondono dei delitti previsti dagli articoli 190 e 191 del Codice penale. Questi puniscono l’attentato alla sicurezza esterna dello Stato. Vi si legge che “è colpevole… ogni Marocchino o straniero che abbia posto in essere, con qualsiasi mezzo, un attentato all’integrità territoriale marocchina”. L’art. 191 è ancora più esplicito perché definisce come colpevole di attentato alla sicurezza esterna dello Stato “chiunque intrattenga con agenti di una autorità straniera delle intelligenze aventi per obiettivo o effetto di nuocere alla situazione militare o diplomatica del Marocco”. Le pene vanno da un anno di prigione alla pena capitale, quest’ultimo caso quando il paese è in stato di guerra. Ufficialmente il Marocco ha firmato col Fronte Polisario un accordo di cessate il fuoco nel 1991. La pace dunque? No, perché secondo una sentenza dell’anno scorso contro un militare marocchino in pensione, il Marocco sarebbe in stato di guerra.