Stampa





Sahara : l’altra strada

 

Editoriale di Ahmed Benchemsi - TelQuel n. 399


 

Il discorso reale sul Sahara ha creato molta tensione. Ma il patriottismo non deve impedirci di riflettere

 

E’ stato senza dubbio il discorso più virulento che Mohammed VI abbia mai fatto dalla sua salita al trono. Agli indipendentisti saharawi che operano in Marocco, il Re ha rivolto queste parole  scioccanti: “O si è patrioti o si è traditori; non c’è una via di mezzo”. Di colpo tutti i partiti e le istituzioni marocchine si sono lanciati in una infervorata offensiva patriottica. Un’atmosfera tesa, addirittura irritata… ma questo non deve in ogni caso impedirci di riflettere.

Dopo la proposta di un piano di autonomia elargito per il Sahara, dopo che le potenze straniere, dagli Stati Uniti alla Spagna, hanno sostenuto questo piano, il Marocco è, diplomaticamente, vincente, mentre si moltiplicano le adesioni di importanti leader politici e militari del Polisario. Insomma la nostra posizione in Sahara è più solida di come non lo era mai stata da lungo tempo, e niente di serio può minacciarla. Perché allora un simile irrigidimento? Perché – dice il ministro dell’interno – si preparano manifestazioni indipendentiste in Sahara. E allora? Saranno dieci anni che in Marocco si fanno simili manifestazioni  senza altro danno, se non quello di subire il fuoco della propaganda nemica, ma è la regola del gioco. Dopo tutto la nostra propaganda non è meno forte, e dispone di una macchina mediatica infinitamente più ampia e potente.

Forse si stava preparando qualcosa di più serio? Degli attentati per esempio? In tal caso, e a condizione che vi siano prove irrefutabili, si impongono repressione e ricorso alla giustizia. E nessuno avrà niente da ridire nella stampa internazionale, ivi compresa quella vicina agli indipendentisti.

Perché non bisogna illudersi: dal cessate il fuoco del 1991, e malgrado le ripetute fanfaronate del Polisario che dice di “essere pronto a riprendere le armi” (quando non ne ha in tutta evidenza i mezzi), la guerra continua solo sul piano mediatico. Se la mobilitazione ultrapatriottica produce consenso in Marocco, essa è malvista all’estero. E l’opinione pubblica straniera è un elemento fondamentale dell’equazione sahariana.

Come si vince una guerra mediatica? Semplice: mostrandosi più democratici dell’avversario. Gli indipendentisti parlano liberamente in Marocco? Tanto meglio per noi: questo dimostra che la libertà di espressione è una realtà. Qualcosa che deve far ben riflettere: tra un Marocco che costruisce infrastrutture per i Saharawi, permettendo loro di esprimere pacificamente il loro disaccordo, ed un Polisario esangue e che sopravvive solo grazie agli aiuti dell’esercito algerino, un Polisario governato da leader chiusi in una gabbia ideologica di un’altra epoca… la scelta è presto fatta.

Andiamo oltre: gli indipendentisti vogliono prendere posizione contro il Marocco? Molto bene! Lo facciano alla televisione, nel corso di dibattiti in contraddittorio con i difensori della marocchinità del Sahara. Non degli esponenti ufficiali rimpinzati di propaganda, ovviamente:  questi ultimi sarebbero messi in ridicolo dai loro contraddittori, militanti sinceri e appassionati. Poniamoli in contraddittorio piuttosto con esponenti della società civile, Marocchini (Saharawi o non) che siano in grado di difendere la marocchinità del Sahara con argomenti lineari, razionali, ad effetto, inattaccabili. Meglio ancora, piuttosto che indignarci perché gli indipendentisti visitano i campi, mandiamo in visita a Tindouf dei marocchini! Se saranno respinti, sarà l’Algeria ad essere considerata come una autocrazia irrispettosa dei diritti dell’uomo. Se riescono ad entrare, guardino tutto coi loro occhi e ritornino, poi invitiamoli alla televisione (di preferenza Laayoune TV, che viene captata  anche nei campi) perché ne parlino. Credete a me chesono stato a Tindouf, non è davvero difficile far trionfare l’opzione marocchina, quando si sono visti i campi saharawi dell’interno.

Ma vi è ancora altro da fare: Mohammed VI ha parlato di “rifare il Consiglio consultivo reale per gli affari sahariani (CORCAS)”? Eccellente idea. Piuttosto che costruirlo unicamente su di un piano tribale che ha mostrato chiaramente i suoi limiti clientelari (il ricchissimo e cripto-makhzeniano Khelli Henna ne è il simbolo vivente), inseriamoci dei giovani saharawi, degli intellettuali, degli economisti, degli artisti… Questa gente sa bene che ha tutto da guadagnare dal Marocco e che, al contrario, ha tutto da perdere nel diventare un micro Stato indipendente satellite di una Algeria ancora attanagliata dai suoi demoni interiori…

Insomma, vi sono mille altre strategie migliori dell’ultra-nazionalismo. Se noi sapremo perseguirle con sincerità, non solo il Marocco se ne avvantaggerà sul piano diplomatico, ma anche su quello democratico. Si assisterà allora all’inesorabile disgregazione della rivendicazione indipendentista. Non è questo l’obiettivo finale?







Tel Quel n. 399

 

Diplomazia – Non toccare il mio Sahara

 

Gli Affari Esteri si concentrano sulla sfida n. 1: la “causa nazionale”. E moltiplicano i segnali di fermezza nei confronti della comunità internazionale

 

“Se vuoi la pace, sostieni il Sahara (marocchino)”, sembra essere il nuovo leitmotiv della diplomazia marocchina, customizzando in tal modo il celebre adagio romano che incitava a preparare la guerra.  Per lungo tempo accusati di inconsistenza, gli Affari esteri intendono passare al contrattacco: “Si nota un certo nervosismo da parte marocchina in questi ultimi tempi, dovuto al fatto che il dossier del Sahara non va avanti”, conferma Khadija Mohsen-Finan, ricercatrice all’IFRI (Institut français des relations internationales). Per questa specialista del Sahara, l’attuale congiuntura è meno “favorevole” a Rabat. In questione è soprattutto il severo rapporto di Human Rights Wath e la nomina di Cristopher Ross come inviato speciale delle Nazioni Unite per il Sahara. “Gli unici passi avanti sono costituiti da alcune dichiarazioni che non si capisce quali vantaggi possano portare”, sostiene un ex diplomatico, che si domanda se la dichiarazione di “sostegno” fatta da Hillary Clinton a Marrakech sia sufficiente a testimoniare di un’adesione dell’amministrazione Obama alle tesi di Rabat.

 

Orientamenti reali

Nei corridoi del Parlamento, questo sabato 14 novembre, si fa il bilancio dell’attività diplomatica. Si dà la parola a Taieb Fassi Fihri, che difende il suo piano di azione 2008-2012 davanti la commissione Affari esteri della Camera dei rappresentanti durante la discussione di bilancio. Nell’attesa, si rammentano gli ultimi fatti. In meno di un anno: ritiro dell’ambasciatore dal Senegal, chiusura dell’ambasciata in Venezuela, rottura delle relazioni diplomatiche con l’Iran e recente rimpatrio di una diplomatica svedese. Si commenta l’ultimo discorso di Mohammed VI in occasione della commemorazione della marcia Verde,  la vicenda dell’espulsione della militante pro-Polisario Aminatou Haidar. E ci si interroga sugli attacchi di inizio settimana del PAM (il partito vicino al Re, ndt) sulla gestione degli Affari esteri e soprattutto le parole del segretario generale del partito, Abdelhakim Benchemach, a proposito del “cattivo funzionamento della diplomazia ufficiale”.

Dinanzi ai rappresentanti del popolo, il ministro discute di “tutte le questioni sensibili della diplomazia marocchina, sia sul piano strategico che operativo, dal conflitto del Sahara ai problemi amministrativi del corpo diplomatico nel mondo”, sottolinea la deputata Mbarka Bouaida, presidente della commissione. “La priorità assoluta è evidentemente per il progetto di autonomia nella regione del Sahara e lo stato dei negoziati”, continua.

Gli esperti delle relazioni internazionali confermano, da due anni, uno stile Taieb Fassi Fihri, ma soprattutto l’impronta di Mohammed VI. Un diplomatico confida: “Il Re ha fornito nuovi orientamenti. Ma non si sono persi i tratti fondamentali della nostra identità diplomatica”. Un paese che non fa parte del club delle grandi potenze non può giocare nel loro cortile. L’ora della ricreazione è dunque finita. Cambia il metodo: basta col romanticismo, si comincia con la realpolitik.

 

Intransigenza o impulsività?

“Il Marocco si è fatto conoscere fino ad oggi per la sua moderazione – osserva un esperto - molte conferenze, ma poca visibilità. Ha fatto molte concessioni agli Stati Uniti soprattutto sul Medio Oriente”. Oggi, se ufficialmente si nega di aver trascurato la questione palestinese, molti osservatori notano una certa indifferenza del Marocco per il conflitto in medio Oriente. Rabat si concentra suoi interessi diretti, primo tra tutti “la causa nazionale”. E soprattutto lo fa sapere. Sbattere i pugni sul tavolo diplomatico è diventata un’abitudine. Convocazioni e richiami di ambasciatori e reazioni burrascose sono oramai frequenti nelle relazioni internazionali. “Questi atteggiamenti di Rabat – analizza l’ex diplomatico – sono atti che intendono delineare una linea di frattura: non intendiamo cedere nulla sul dossier del Sahara”.

Altri osservatori denunciano reazioni talvolta eccessive: “ Non vi sono dei punti fermi nella diplomazia marocchina. Si naviga a vista. L’assenza del  Marocco sulla scena del Medio Oriente o in America Latina dimostra l’assenza di una visione globale”, analizza Abdelmoughit Ben Massoud, professore di relazioni internazionali all’Università di Rabat. Egli dipinge un quadro fosco della diplomazia marocchina che, secondo lui, necessita di “riforme strutturali”. “Giorno per giorno, si constatano delle disfunzioni dovute alla mancanza di mezzi da parte delle rappresentanze consolari” fa notare un membro della commissione parlamentare. Davanti ai deputati, Fassi Fihri ha annunciato un piano di riforme delle risorse umane, finanziarie e di metodo”. Perché il tecnocrate punta, per gestire il suo ministero, sul miglioramento tecnico e sul ringiovanimento dello staff. Ma non è certo che i 2 miliardi di dirham e le nuove cento assunzioni ottenute saranno sufficienti.

 

Investimenti strategici

Nella diplomazia del nuovo regno, la bonomia di Taieb Fassi Fahri fa coppia vincente col nuovo braccio armato: la diplomazia economica. Nella sua presentazione ai deputati, Taieb Fassi Fihri ha inoltre delineato il suo obiettivo di "diversificare le partnership”. In altre parole, si tratterebbe di una lobbie diplomatica che vede il Marocco offrire investimenti di cortesia da parte di imprese nazionali o la consulenza  di un ufficio pubblico (acqua, energia elettrica) per progetti di sviluppo. Obiettivo n. 1: l'Africa. "Il Marocco attribuisce particolare importanza alla cooperazione con l'Africa nel contesto di una nuova politica nei confronti dei paesi del continente", ha detto, Taieb Fassi Fihri ai deputati, secondo quanto segnalato dalla MAP. Un diplomatico spiega: "Oggi sono i progetti di sviluppo umano che vengono promossi, piuttosto che le relazioni tra gli Stati”. Sono finiti i tempi in cui le amicizie tra i leader facevano il bello e il cattivo tempo nelle relazioni internazionali. "Ora occorre coinvolgere anche le popolazioni. Le numerose visite di Mohammed VI in Senegal e in Gabon vanno in questa direzione ", continua la nostra fonte. Infatti la diplomazia resta una competenza reale. Nelle capitali straniere Taieb Fassi Fihri ha l’abitudine di presentarsi come "l'emissario di Sua Maestà". Mai come quello di Abbas El Fassi ...   

 



 


Profilo. Taieb Fassi Fihri, il negoziatore

Al Ministero degli Affari Esteri, Taieb Fassi Fihri è di casa. Non che vi trascorra tutto il suo tempo – sono frequenti i viaggi ufficiali - ma perché è qui che è cresciuto. Economista di formazione, ha scelto la carriera diplomatica. Oggi, a soli cinquant'anni, è conosciuto e apprezzato dalle ambasciate straniere. Questo nativo di Casablanca, che ha conseguito un dottorato in analisi e politica economica alla Sciences Po di Parigi, è stato raccomandato ad Hassan II dal supervisore della sua tesi di laurea, Raymond Barre. Nel 1984, ha cominciato a lavorare al Ministero della Pianificazione  prima di entrare,  meno di due anni più tardi, al ministero degli Esteri. Fassi Fihri si è fatto le ossa nel Gabinetto di Abdellaif Filali, durante i negoziati con la Comunità europea.  A 35 anni è stato nominato (e riconfermato per tre volte), Segretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione. Poi è arrivata l’Alternanza (il governo socialista, ndt). Nel 1998 ha fatto una breve comparsa nel gabinetto reale, prima di tornare nel 1999 al suo portafoglio. In casa Fassi Fihri, la politica è un affare di famiglia, ma Taieb, considerato un lavoratore, gestisce i suoi dossier da buon  tecnocrate. Ha iniziato i negoziati per l'accordo di libero scambio con gli Stati Uniti e divenne, nel 2002, ministro del governo Jettou. Nel 2007, colui che era l’esperto dei dossier più importanti (soprattutto  il Sahara) è diventato il diplomatico n. 1 in Marocco: un posto che gli spetta "de facto" da anni.