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La città di Zagora rende omaggio al gruppo di Zahra Boudkour


di Aziz El Yaakoubi

La città di Zagora ha riservato un’accoglienza senza precedenti alla militante Zahra Boudkour e ai suoi compagni. Ritorno su una vicenda che ha permesso al movimento studentesco di coinvolgere tutte le frange della società marocchina. Per la prima volta nella sua storia.


Sabato 15 maggio, sono quasi le 21.30. L’intera città di Zagora è presente all’appuntamento. Nessuno se l’è sentita di restare a casa. I clacson delle auto si mescolano alle grida degli abitanti e agli youyou delle donne. E’ il momento di festeggiare. “Ci sono le elezioni”, dice un bambino di circa sei anni, avvicinato lungo il marciapiede. Il piccolo non ha tutti i torti: solamente i notabili che concorrono alle elezioni legislative hanno i mezzi per mobilitare la città in questo modo. A colpi di milioni di dirham, ovviamente. Ma questa sera è tutto diverso. Le strade sono invase dai militanti, che assieme al resto degli abitanti manifestano una gioia del tutto spontanea. Zahra Boudkour, la più giovane e celebre detenuta marocchina, ha appena lasciato la prigione, assieme ad altri sette compagni, dopo aver scontato due anni di reclusione. Fin dai primi villaggi seminati lungo la valle del Draa, passando per Ouarzazate, Zagora, Tagounite et M’hamid Lghezlane, l’intera regione si è mobilitata per il suo ritorno a casa. “E’ la prova che la famiglia Boudkour ha un gran peso nella zona. Le organizzazioni della sinistra radicale, da sole, non sarebbero mai riuscite a smuovere una folla simile”, commenta un membro della sezione locale dell’AMDH (l’Associazione Marocchina per i Diritti dell’Uomo).
L’appartenenza tribale e le correnti politiche hanno fatto fronte comune. E tutti hanno risposto presente. Sparite le bandiere nazionali, per le strade sventolano solo gli stendardi comunisti. Via le foto dei sovrani alawiti, sostituite dai ritratti di Mao, Lenin e Che Guevara, che spuntano un po’ dappertutto in mezzo alla folla. Per accogliere questa marea di gente, le famiglie degli studenti e il Comitato di sostegno (formato dall’AMDH, dal partito marxista Annahj Addimocrati, l’ong Attac e i sindacati locali) avevano allestito delle tende caidali al centro della città. Ma le autorità non hanno gradito e, alla vigilia dei festeggiamenti, “il governatore assieme ai suoi gendarmi hanno smontato tutto”, riferisce il presidente della sezione locale dell’AMDH. Alla fine gli organizzatori sono riusciti a negoziare una soluzione intermedia e un piccolo palco è stato montato nel viale principale di Zagora. Tutte le organizzazioni sindacali e le associazioni per i diritti umani hanno approfittato dell’occasione per far sentire la loro voce.

“Gli anni di piombo non sono finiti”
Zahra Boudkour resta discreta. “Non avrei mai immaginato che degli studenti potessero ricevere un tale omaggio. Ho difficoltà a trovare le parole giuste per esprimere la mia gioia”, confessa con voce tremante prima di salire sul palco. E’ lei la star della città, il suo orgoglio. L’ingresso sulla tribuna è accompagnato da cori e inni che invocano un cambiamento di regime. Bandiera falce e martello in mano, Zahra fa un segno ai compagni. La folla si accende. Un drappello di ufficiali delle forze di sicurezza, intanto, segue lo spettacolo a una decina di metri di distanza. “Abbasso il Makhzen! Abbasso la “nuova era”! Gli anni di piombo non sono finiti!”, scandisce la città ad una sola voce.
Il presidente del Comitato di difesa prende poi la parola. “Abbiamo vissuto dei momenti difficili dopo l’arresto di questi studenti, i nostri studenti, i nostri figli. Loro hanno tenuto duro e noi abbiamo fatto lo stesso. Oggi è un gran giorno per il Marocco”. In seguito è il turno del presidente della sezione locale dell’AMDH: “Noi denunciamo apertamente le violazioni dei diritti dell’uomo di cui questi studenti sono rimasti vittime. Noi denunciamo la tortura che ancora imperversa nei commissariati. I racconti di Zahra, di Jamili e degli altri resteranno impressi nella nostra memoria, non dimenticheremo mai quello che hanno vissuto nel tristemente celebre commissariato di piazza Jamaa al-Fna a Marrakech”. La folla, infiammata, risponde alla sua arringa: “Uccideteli, giustiziateli, i figli del popolo li rimpiazzeranno!”. Un centinaio di metri più lontano, i poliziotti controllano le vie laterali che si perdono all’interno della città. Quaderno alla mano, annotano le targhe delle macchine parcheggiate attorno al luogo del comizio. Avvicinati qualche minuto più tardi, uno di essi spiega: “deve sapere che nessuna autorizzazione è mai stata chiesta per questo tipo di evento. Se dovesse succedere qualcosa, gli organizzatori saranno gli unici responsabili”. Riguardo alle targhe delle macchine segnalate, l’ufficiale mantiene un atteggiamento evasivo: “è solo una procedura di routine”, butta lì prima di chiudere la discussione e risalire nella vettura di ordinanza.
La cerimonia era cominciata al mattino, di fronte alla prigione della cittadina di Ben Guerir, dove Zahra ha trascorso gli ultimi mesi di detenzione. Al momento della liberazione, la giovane militante ha trovato dei “pezzi da novanta” ad accoglierla. Khadija Ryadi e Abdellhamid Amine dell’ufficio centrale dell’AMDH, il giornalista marocchino Ali Lmrabet (bandito dalla stampa nazionale per un periodo di dieci anni su decisione dei giudici), alcuni membri della segreteria nazionale di Attac e numerosi militanti del partito Annahj Addimocrati. Appena uscita dalla prigione Zahra si unisce ai canti rivoluzionari intonati dai compagni. Un fatto che le guardie carcerarie non hanno particolarmente apprezzato. Un battibecco tra alcuni secondini e il giornalista Ali Lmrabet viene subito frenato dal saggio Abdelhamid Amine. L’atmosfera festosa si riscalda….

Storia di un’intossicazione…
La liberazione della giovane militante mette fine ad una triste vicenda durata due anni. Zahra e suoi compagni hanno totalizzato 24 anni di carcere, inflitti dal tribunale di Marrakech dopo 14 mesi di detenzione preventiva e un processo interminabile. Quattro anni di prigione e 60 mila dirham di multa per Mourad Chouini, due anni invece per Zahra Boudkour, Othman Chuini, Youssef Mechdoufi, Mohammed El Arbi Jaddi, Khalid Mehtah, Abdellah Errachidi, Alae Ederbali, Mohamed Jamili, Youssef El Allaoui et Jalal Quotbi. Le condanne sono state confermate in appello soltanto il 30 aprile scorso, ossia dopo due anni dall’arresto.
Il “gruppo degli undici” era finito in carcere in seguito agli eventi accaduti il 14 e 15 maggio 2008 all’Università Cadi Ayyad di Marrakech. Gli studenti avevano protestato contro l’intossicazione di alcuni colleghi al ristorante del campus universitario. La manifestazione era degenerata dopo l’intervento delle forze dell’ordine. Delle rivolte erano scoppiate in tutto il perimetro dell’università e alcuni studenti avevano appiccato il fuoco nelle camere del campus. Ma, dopo l’arresto di una quarantina di universitari, solo gli undici in questione sono stati portati di fronte al giudice. Khalid Miftah racconta, in una lettera pubblicata qualche mese dopo l’arresto, il suo passaggio nel commissariato di piazza Jamaa al-Fna: “(…) Mi hanno legato le mani dietro la schiena e poi cinque agenti in borghese hanno cominciato a colpirmi. Pugni al volto, negli occhi, e calci nei testicoli…. Una volta arrivati nel celebre commissariato di Jamaa al-Fna, sono stato spogliato e gettato a terra… Non riuscivo a vedere più niente… Udivo solo le grida dei miei compagni…”. L’appuntamento ora è all’Università di Marrakech, alla ripresa dei corsi. “Continueremo a batterci e lo faremo in modo ancor più radicale!”, rilancia Zahra Boudkour.






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