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Affidandosi alla sorte sul Net, Mohamed Erraji no si era per niente immaginato che sarebbe andato a finire in prigione.

E soprattutto non in quel modo. Flash-back: mercoledì 3 settembre alcuni poliziotti in borghese piombano nel posto di lavoro, un hammam di un quartiere povero di Agadir, appartenente ad uno zio, dove ogni tanto lavora alla cassa.

Informato del loro arrivo, il giovane di 32 anni, che oltre a collaborare al sito hespress.com tiene anche un blog che si occupa dell’attualità nazionale, giovedì 4 settembre si reca di buon mattino alla prefettura di polizia.

E là, con sua grande sorpresa, scopre che l’articolo “il re incoraggia il popolo all’assistenza” non è stato per niente apprezzato. Trascorre tutta la giornata a rispondere alle domande degli investigatori che gli annunciano già che aria tira: “Con quello che hai scritto, avrai certamente diritto a diversi mesi di prigione o almeno ad una ammenda”.

Rilasciato a inizio serata, Mohamed Erraji viene convocato nuovamente l’indomani alla polizia. Salvo che questa volta i suoi ospiti non sono così disposti a lasciarlo andare. “A fine giornata siamo andati fino alla Prefettura, ma non ci hanno voluto dire niente”, s’indigna uno dei fratelli, che ci informa anche che lo stesso giorno alcuni poliziotti hanno perquisito il suo domicilio.

“Si sono portati tutto via: libri, giornali…” prosegue il fratello. Il silenzio radio termina finalmente la domenica sera. Quando la famiglia Erraji riceve un sms liberatorio: “Sono Mohamed, chiamatemi a questo numero”. Dall’altra parte del filo li informa che è detenuto alla prigione di Inezgane in “condizioni catastrofiche”, e che dovrà comparire il giorno dopo davanti al giudice.

Dopo una notte insonne, gli Erraji piombano il mattino presto al Tribunale di prima istanza di Agadir. Il processo è una vera parodia di giustizia. Sbrigativo, durerà appena qualche minuto. Non viene nemmeno messo in grado di procurarsi un avvocato, come prevede la legge. Al giudice che gli domanda se provvederà lui stesso alla sua difesa, Mohamed Erraji, inebetito, preso in un gioco più grande di lui, guarda dietro di sé. Tenta di trovare una risposta. Invano. Viene richiamato all’ordine dal giudice che gli intima in tonbo perentorio: “Guarda davanti a te!”. Rassegnato, Erraji finisce per rispondere: “Mi difenderò da solo”.

Letto il verdetto, riprende la direzione del carcere di Inezgane, dove condivide la cella con una cinquantina di codetenuti comuni.

Un processo criticato


Secondo Abdelaziz Nouaydi, avvocato e militante per i diritti umani, Mohamed Erraji è stato sottoposto ad un processo “deludente”. Il presidente dell’associazione Adala punta il dito sulla procedura giudiziaria. “Niente è stato fatto nella norma. Non solo l’accusato è stato condannato senza potersi difendere, ma, se si fa riferimento al Codice della stampa, non doveva  nemmeno essere arrestato. Normalmente si sarebbe dovuto inviargli una convocazione e fissargli un termine di 15 giorni prima di comparire davanti al giudice”.

E aggiunge: “Sembra di essere tornati a venti o trenta anni fa, al tempo degli arresti arbitrari di massa!” Più virulento, Abderrahim Jamai, ex presidente del consiglio degli avvocati di Rabat e specialista in diritto della stampa, si dice scandalizzato per come si sono svolte le cose.

“Quello che è successo è inammissibile. Bisognerebbe aprire un’inchiesta sulla parodia di giustizia orchestrata da questo giudice. E se non si fa, i responsabili della giustizia di questo paese saranno complici di questa ingiustizia”.

Affermazioni per niente condivise da Khalid Naciri. Il Ministro delle Comunicazioni non vede alcuna ingiustizia in quanto accaduto. E’ il solo a non vederla. “Questa leggenda del processo prefabbricato e sbrigativo non sta in piedi. Il giudice ha espressamente chiesto all’accusato se desiderava un avvocato, ma lui ha rifiutato ed ha espresso la volontà di essere giudicato per direttissima”, ci ha spiegato il portavoce del governo.

Al di là del processo resta la questione: perché e come giustificare il mantenimento di pende detentive per i delitti della stampa?

Khalid Naciri risponde deciso: “Personalmente io sono contrario alle pene privative della libertà per tutte le persone che partecipano al dibattito politico in questo paese. Ma, per quanto ne so, Mohamed Erraji non è giornalista”.

Mobilitazioni su tutti i fronti

 In tutti i casi, Mohamed Erraji può essere certo di una cosa: in questa prova non è rimasto solo. Dopo la sua condanna la solidarietà si moltiplica. A cominciare da quella dei difensori dei diritti dell’uomo marocchini, che hanno reagito sollecitamente. In un comunicato pubblicato il 9 settembre, l’Association marocaine des droits humains (AMDH) ha dichiarato che “l’arresto di Mohamed Erraji è un atto arbitrario, un grave attentato alla libertà di espressione”.

Raggiunta per telefono, la presidente dell’AMDH, Khadija Ryadi, ci ha dichiarato di essere “indignata per questa storia che ci ricorda come non si possano avere dei processi giusti ed equi in questo paese”. Stessa solfa dalla parte del Sindacato nazionale della stampa marocchina (SNPM), che si è detto “sorpreso per il verdetto” ed annuncia l’invio di una lettera al Primo Ministro, a quello della Giustizia, delle Comunicazioni ed al Presidente del Consiglio consultivo per i diritti dell’uomo, per chiedere “l’apertura di una inchiesta nel quadro delle leggi e dei principi dei diritti umani”.

All’estero non si sono fatte attendere le reazioni. Reporters sans frontières ha affermato che “Mohamed Erraji è stato vittima di un processo sbrigativo, nel quale non ha potuto nemmeno difendersi”. L’organizzazione di difesa della libertà di stampa, con sede a Parigi,  ha condannato questa decisione che, ritiene, sia “degna degli Stati più totalitari”, chiedendo la “liberazione di Mohamed Erraji”.

Stessa reazione da Londra, dove Amnesty International ha subito emesso un comunicato chiedendo “la liberazione immediata e senza condizioni” di Mohamed Erraji, considerandolo un “prigioniero di opinione”. Anche gli internauti si sono proposti l’obiettivo di ottenere la liberazione di Mohamed Erraji e nella rete si è già messo in moto un movimento di solidarietà, che cresce di ora in ora. Tra l’altro, è stata messa in linea una petizione sul sito helperraji.com che, al momento in cui andiamo in stampa, già conta 2400 firme. Su Facebook, il gruppo “Free Moroccan Blogger Mohamed Erraji” ha raggiunto in pochi giorni già 2000 adesioni.

Tutte queste mobilitazioni hanno già prodotto dei buoni risultati. Giovedì 11 settembre, infatti, La Corte d’Appello di Agadir ha posto in libertà provvisoria il blogger. Un modo come un altro per sconfessare una procedura e i metodi usati in primo grado?


Tahar Ben Jelloun
Liberate Erraji, lasciate i cittadini liberi di esprimersi

Nel suo Dizionario di filosofia, André Comte-Sponville definisce la libertà di pensiero come “il pensiero stesso, per quanto incappi in pregiudizi, in dogmi, in ideologie e inquisizioni. Essa non è mai regalata, deve sempre essere conquistata”. In questo senso il pensiero è libero, deve essere libero, vale a dire liberato. E’ come la stessa verità. Se è visitata da un’opinione. Questo è un principio universale che il nostro paese non può ignorare né sbeffeggiare. La modernità di una società passa per la libertà di espressione dei cittadini, giornalisti e non. Accettare le opinioni degli altri, liberi di discuterli o contestarli, non è segno di debolezza, ma al contrario è segno di forza sulla quale si costruisce lo Stato di diritto. Esprimere un punto di vista su di un fatto o un modo di agire è manifestazione di questa libertà, soprattutto quando non è corrotta da una volontà di nuocere o diffamare. In Marocco si arriva a volte al punto che le Autorità diventano suscettibili  e infieriscono come al tempo in cui ogni libertà era esclusa, quando la censura e la repressione costituivano pratica corrente.

Questa epoca è passata ed il Marocco non ha alcun interesse a ritornarvi. Oggi i mezzi di comunicazione, la straordinaria rivoluzione dell’informazione su scala planetaria rendono questa suscettibilità desueta. Non si può più impedire la circolazione di una informazione o di un’opinione. Allora è meglio accettare questa evidenza e lasciare i cittadini liberi di esprimere le loro opinioni o riportare fatti, anche se sono sgradevoli. La giustizia ha avuto la mano pesante nel caso di Mohamed Erraji. E questo ricorda l’abuso di cui è stato vittima il giovane internauta (Fouad Mourtada) che ha avuto la cattiva idea di appropriarsi dell’immagine del principe Moulay Rachid. A questo genere di reazioni la stampa internazionale attribuisce eccessiva importanza e la cosa, in qualche modo, nuoce all’immagine del paese ed offusca anche i grandi progressi fatti.

Per tutte queste ragioni, chiedo la liberazione del giornalista Mohamed Erraji.