Stampa



TelQuel n. 431 luglio 2010

Diversità culturale
Editoriale di Ahmed R. Benchemsi

Noi Marocchini sappiamo che la nozione di “Stato di diritto” da noi è molto relativa. Ma i Cinesi…

Articolo gustoso quello pubblicato martedì scorso dai colleghi di Akhbar Al Youm. Ci informa che due commercianti cinesi di Casablanca sono stati condannati la settimana scorsa a 5000 DH di ammenda ciascuno. Se la pena è leggera, il capo di accusa è enorme: “Vendita di foto del re Mohammed VI senza autorizzazione preventiva, come previsto dal dahir del 1956”. Ricordiamo per chi non lo sa – e per la qual cosa può essere del tutto scusato – che il dahir (decreto reale) in questione vieta non solo la vendita, ma ogni altra forma di pubblicazione delle “fotografie di nostra maestà o delle Altezze Reali, senza preventiva autorizzazione del Gabinetto imperiale”.
Dopo essere stato emanato, questo dahir è caduto in desuetudine… fino al febbraio 2009. Quando ha giustificato un intervento muscolare della polizia nei locali di un settimanale di Casablanca, colpevole di avere “avuto l’intenzione di pubblicare” (senza averlo tuttavia mai fatto) una fotografia considerata sensibile di un membro della famiglia reale.
Manifestamente illegale, la procedura poliziesca ha avuto almeno il merito di ricordare l’esistenza di questo dahir, di cui nessuno si ricordava più. E per forza: da 53 anni è stato quotidianamente infranto da tutti i media marocchini (anche i più ufficiali), oltre che dagli innumerevoli venditori abusivi disseminati su tutto il territorio.
Da notare che, dopo la disavventura di questo settimanale, tutto è continuato come prima: migliaia di foto sono vendute e pubblicate ogni giorno senza alcuna autorizzazione, e senza alcuna reazione da parte della nostra vigilante giustizia.
Così spesso va la legge in Marocco: essa è inapplicabile e inapplicata… fino a che un giorno, senza spiegazioni, il fulmine si abbatte su un contravventore tra tanti altri. Noi Marocchini abbiamo scelto di adattarci a questa situazione. Si incrociano le dita e si continua a vivere…
Ma immaginate… dei Cinesi! Dei bravi commercianti venuti da Shanghai alla ricerca di opportunità d’affari in Marocco… Dopo un rapido studio del mercato, hanno constatato che le foto del monarca, vendute sui banconi abusivi a 100 DH l’una, avevano grande successo tra la clientela locale. Si trattava dunque di produrle e venderle a prezzo più basso. I nostri commercianti hanno allora fatto stampare una serie di foto di Mohammed VI… in Cina, paese famoso per i suoi imbattibili costi di produzione. Trasportati a Casablanca – via nave, immaginiamo – le foto del re sono state vendute tra i 15 e i 25 DH ciascuna. Un affare redditizio e – ragionavano senza dubbio i nostri commercianti – senza rischi legali, data la natura consensuale del prodotto.
Errore funesto! Perché in Marocco, quando si tratta del Re, la legge diventa una nozione assolutamente relativa. E questo i nostri bravi Cinesi, abituati alle regole della libera concorrenza, non potevano davvero immaginarlo. Che nessuno dica loro che i venditori di foto reali a Derb Ghallef, commercianti abusivi fino alla radice dei capelli, non dispongono della minima autorizzazione! E’ così che, di fronte al giudice, i due cinesi hanno giurato di non aver mai sentito parlare di quel dahir.
L’ignoranza della legge, giuridicamente parlando, non costituisce circostanza attenuante. Anche se alla fine è proprio per questo motivo che il giudice li ha condannati ad una pena minima. Scommettiamo che, se la stessa scusa fosse stata avanzata da un Marocchino accusato dello stesso reato, essa non sarebbe stata assolutamente valutata a suo favore. Ma dei Cinesi…
La morale di questa storia? Eccola: i garanti dei nostri strani costumi (in mancanza di leggi) sulle “sacralità”… sanno bene nel profondo del loro cuore che essi non resistono alla logica universale. Se uno straniero si fa accidentalmente beccare, non è grave, perché non c’è alcuna posta in gioco. Ma un Marocchino non viene risparmiato. Perché la posta in gioco, ben conosciuta questa volta dall’accusato come dall’accusatore, è la conservazione dei rapporti di forza tra la monarchia e i suoi sudditi, pilastro, tra tutte le possibili forme di governo, proprio del nostro paese. Un rapporto di forze che esclude la cittadinanza, l’uguaglianza di fronte alla legge, le regole del mercato… e anche il più elementare buon senso. A parte questo, dicono i nostri valorosi governanti, noi siamo pronti ad affrontare le sfide del 21° secolo, della mondializzazione e della democrazia. Comprenda chi può.