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TELQUEL n. 430 – giugno 2010

Lavoro degli stranieri. Caccia al nero
di Tarik Hari

Il ministero del Lavoro lancia una campagna contro i lavoratori stranieri al nero. Analisi di un fenomeno che va crescendo

Se siete lavoratori stranieri e non siete in possesso di un permesso di lavoro, sappiate che rischiate grosso! Gli stranieri che lavorano al nero, soprattutto gli Europei, sono nel mirino del ministero del Lavoro. Da qualche anno, il numero di stranieri che vengono a lavorare in Marocco è aumentato molto. Noi abbiamo chiesto all’ispettorato del lavoro di effettuare dei controlli per verificare che essi lavorino nella legalità”, ha dichiarato Jamal Rhmani, ministro del lavoro e della formazione professionale. L’operazione, cominciata a inizio di maggio, ha come obiettivo tutti i settori di impiego ma è limitata alle grandi città. “E’ lì che si concentrano tutti i progetti che attirano gli stranieri”, spiega Rhmani.
Le aperture economiche del Marocco e l’apertura dei grandi cantieri hanno reso il paese attraente: “Il regno è diventato la destinazione preferita degli europei in cerca di impiego. Conseguenza della crisi economica e finanziaria. I quadri europei vengono alla ricerca di nuove opportunità in Marocco”, fa presente Mohamed Jirari, consulente dell’ufficio reclutamento e formazione LMS. Il fenomeno tocca tutti i settori. “Alla fine degli anni 1980, i lavoratori stranieri erano soprattutto ingegneri. Ma da qualche tempo li si ritrova in tutti i settori di attività”, afferma Terrier Gason, consulente del lavoro. Il numero di visti per lavoro rilasciati dal Ministero del lavoro è rivelatore: 8770 nel 2008 contro i 6236 del 2004. Secondo Jamal Rhmani, circa 10.000 stranieri sono attualmente titolari di un permesso di lavoro. Rapportato al numero di residenti legali (51.435, secondo il censimento del 2004), si tratta di una cifra certamente non esaustiva.

Profili particolari
L’articolo 516 del codice del lavoro parla chiaro: “Tutti i datori di lavoro che intendano assumere un salariato straniero devono ottenere una autorizzazione dall’autorità”. Ma preliminarmente occorre dimostrare che il candidato straniero sia il solo a possedere le competenze richieste. In altri termini, non deve “rubare” il posto a un marocchino. Dal 2005 infatti un’ordinanza ministeriale protegge il mercato del lavoro e obbliga il datore di lavoro a richiedere l’autorizzazione dell’ANAPEC (Agence nationale pour la promotion de l’emploi et des compétences). E’ quest’ultima che ha il compito di pubblicare l’offerta d’impiego redatta dal datore di lavoro, raccogliere le offerte dei candidati e, nell’ambito delle sue funzioni, dà il suo consenso all’assunzione del candidato straniero. “Generalmente i datori di lavoro indicano dei requisiti molto particolari, per eliminare i candidati nazionali. Delineano un profilo che corrisponda a quello dello straniero che intendono assumere”, spiega un funzionario dell’ANAPEC. Per esempio, nel caso dell’assunzione di uno chef di cucina, essi richiedono che sia un degustatore diplomato, specialità che in Marocco non esiste.
Una volta ottenuta l’attestazione dell’ANAPEC, il datore di lavoro deve chiedere un’autorizzazione al Ministero del lavoro, che viene accordata sotto forma di un visto apposto sul contratto di lavoro e valido un anno. Questi specifici contratti sono obbligatori per tutti i salariati stranieri, salvo quelli i cui paesi di origine abbiano firmato degli accordi bilaterali col Marocco (Senegal, Tunisia, Algeria). Gli stranieri che recalcitrano a sottomettersi a questa procedura ne lamentano la lunghezza e la complessità. “Io ho dovuto aspettare più di due mesi per ottenere l’autorizzazione. Nonostante io sia sposato ad una marocchina e ciò mi ha un po’ facilitato le cose”, dice Terrier Gazon. In media i tempi di rilascio variano dai 3 ai 4 mesi, circostanza negata da Jamal Rhmani: “La procedura non richiede più di un mese, il tempo di pubblicare l’annuncio e ed effettuare gli accertamenti dell’ANAPEC, si tratta di un tempo ragionevole”.
In pratica una buona parte di assunzioni di stranieri viene fatta senza alcuna autorizzazione da parte dell’autorità.

Tutti in nero!
Nel momento in cui il dibattito sulla responsabilità sociale dell’impresa (RSE) agita la confederazione padronale CGEM, si ricorre moltissimo al lavoro nero nelle grandi imprese, proprio quelle che dovrebbero dare l’esempio. “Nel corso dei controlli periodici da noi effettuati, abbiamo constatato che anche le grandi imprese assumono stranieri senza permesso di lavoro. Di solito fanno la pratica per ottenere l’autorizzazione, ma non la rinnovano di anno in anno”, testimonia un funzionario del Ministero del lavoro. Nel 2007, la delegazione del lavoro di Casa-Anfa  ha fatto un controllo negli stabilimenti turistici. Una bella retata: sulle 130 unità controllate, sono stati individuati 50 salariati stranieri, di cui 35 senza autorizzazione. Secondo un ispettore del lavoro, il fenomeno è molto più diffuso in altri settori, soprattutto i call center.
Bisogna dire che il codice del lavoro, molto clemente con chi lo infrange, non spaventa granché i datori di lavoro. L’articolo 521 prevede un’ammenda poco dissuasiva da 2000 a 5000 DH per le infrazioni relative ai contratti con gli stranieri. E in caso di recidiva, non è prevista alcuna aggravante! Peggio ancora, “gli ispettori del lavoro chiudono spesso gli occhi su questo tipo di pratiche che non considerano gravi. E’ molto difficile che redigano un verbale”, testimonia un ispettore del lavoro. I salariati per contro sono trattati peggio. Già privati dei diritti e dei vantaggi sociali, “se non hanno un contratto rischiano l’espulsione”, spiega Ahmed Laksiwar, consulente in legislazione del lavoro. In tutti i casi è comunque sempre il dipendente che subisce il peggio. Non meraviglia, dunque, che il numero di imprese che hanno ottenuto l’etichetta RSE della CGEM non siano più di una ventina.

Lavoro. Controllo alle frontiere
Oltre agli impiegati, c’è un’altra categoria di lavoratori in nero che comincia a diffondersi: le cameriere straniere. Secondo il ministero del lavoro, si contano ormai a centinaia. Se la moda è stata per cominciare quella delle domestiche filippine, oggi ce ne sono delle più diverse nazionalità. “Anche questa categoria è sottoposta ad una autorizzazione di lavoro, ma la maggior parte dei datori di lavoro non se ne preoccupa”, riferisce un funzionario dell’ANAPEC.
Da un po’ di tempo alcune ragazze provenienti dall’Africa subsahariana, si sono dedicate a questo mestiere, dopo aver fallito l’obiettivo di raggiungere l’Europa. “E’ un fenomeno molto difficile da censire, soprattutto in assenza di forme di cooperazione da parte dei paesi di origine”, afferma Jamal Rhmani, il ministro del lavoro.
Il decreto applicativo della legge 02-03, relativo all’ingresso e al soggiorno degli stranieri in Marocco, pubblicato nel Bollettino Ufficiale del 6 maggio, dovrebbe risolvere la situazione. Il controllo sarà dispiegato alle frontiere. Per potere entrare in Marocco e lavorare, uno straniero dovrà avere uno specifico visto “per lavoro”. Unico problema: la disposizione si rivolge essenzialmente ai Subsahariani, la maggioranza dei quali entra in Marocco, però, non attraverso i posti di frontiera.