La protesta è contagiosa

Alle otto del mattino di oggi 1 novembre 2010, alcuni cittadini di Sidi Ifni hanno avviato la realizzazione di un accampamento fuori dalla città per protestare contro l’emarginazione sociale, la disoccupazione e la carenza di alloggi.
Come ci racconta telefonicamente Brahim Barah, uno dei promotori della iniziativa, essi erano sostenuti da tutta la popolazione. D’altra parte Sidi Ifni è stata teatro, già nel 2008 di una partecipatissima  protesta popolare, brutalmente repressa dall’esercito.
Vi sono stati momenti di tensione, tra manifestanti e forze dell’ordine, poi alle 14 si è presentato il governatore e si è trovata una sia pur precaria soluzione.
Le rivendicazioni dei manifestanti sono due:
1)    Lavoro
2)    Casa
Essi reclamano una maggiore attenzione da parte delle Autorità per la soluzione di questi due gravi problemi.
Il governatore ha chiesto 48 ore di tempo per cercare una soluzione. I manifestanti hanno accettato di mantenere una sola tenda simbolica per 48 ore, se in questo termine non saranno posti in grado di avviare seri negoziati con esponenti di livello governativo (si parla di una speciale commissione governativa che dovrebbe recarsi a Sidi Ifni, con poteri di negoziazione), spirato il termine si darà luogo ad un nuovo grande accampamento come quello di Laayoune.
Attualmente (22 ora locale), la tenda è meta di visite di solidarietà da parte di tutta la popolazione.



Sidi Ifni è una piccola città del sud, povera e marginalizzata. E’ appartenuta alla Spagna dal 1454 fino al 30 giugno 1969, quando è “tornata alla madre patria”, come dicono le Autorità durante le celebrazioni. Gli abitanti sono un misto di arabi, berberi e saharaoui, per lo più appartenenti alla fiera tribù di Ait Baamrane, ed hanno duramente lottato contro l’occupazione spagnola.
E  lottano ancora, ma oggi contro le precarie condizioni economiche, reclamando interventi che possano creare sviluppo e fornire occasioni di lavoro per i giovani. In particolare i diplomati disoccupati, organizzati in un coordinamento di lotta nel quale sono presenti i partiti della sinistra radicale e le organizzazioni per i diritti umani (prima tra tutte Attac Maroc).
Ciò che più colpisce gli osservatori è che questa lotta di oggi viene quasi percepita dagli Ait Baamrane come un sorta di prosecuzione di quella anticoloniale.  Difatti lamentano la spoliazione “coloniale” delle risorse della regione da parte dei ricchi del nord (legati al sistema di potere monarchico), denunciano che la stragrande maggioranza dei beneficiari dei permessi di pesca (la più importante risorsa della regione) non sono imprenditori locali. Si sentono insomma “occupati” dal Marocco, così come lo erano dalla Spagna durante il periodo coloniale.
Il 30 maggio 2008 un gruppo di giovani disoccupati, sostenuto da tutta la popolazione, ha deciso di bloccare l’accesso al porto, impedendo a decine di camion pieni di sardine di lasciare la città. Le Journal Hebdomadaire riporta la testimonianza di un membro del coordinamento di lotta: “Questa località è forse la sola del paese in cui la popolazione si è ridotta col passare degli anni. Per partire verso la Spagna, soprattutto verso le Isole Canarie, l’arcipelago che si trova proprio di fronte alla costa. Le nostre richieste non sono mai state soddisfatte. A cominciare dal porto che bisognerebbe ampliare perché un maggior numero di giovani vi possa trovare lavoro. Noi abbiamo bisogno di infrastrutture industriali, per esempio una fabbrica di conserve. Una strada che colleghi Sidi Ifni a Goulimine per spezzare l’isolamento della città e soprattutto creare la prefettura di Sidi Ifni. Non è ragionevole che noi dipendiamo da Tiznit, mentre i nostri legami familiari sono più a sud”. Molti pensano inoltre che dietro le ragioni dell’impoverimento della città vi siano gli interessi di una  lobby potente, una lobby che non vuole un vero porto di sardine che potrebbe fare una forte concorrenza a quello di Agadir.
Il 7 giugno sono intervenute le forze speciali. Un intervento che porta la firma del generale Hamidou Laanigri, l’ex uomo forte del regime, attualmente alla testa delle forze ausiliarie, presente nella regione fin dalla sera di venerdì 6 giugno. Bisognevole di un “ritorno di immagine”, voleva forse dimostrare le sue capacità, piegando i manifestanti di Ait Baamrane.
Le immagini della rivolta,  trasmesse dalla stampa e dai siti di video, hanno prodotto piuttosto l’effetto opposto. La brutalità delle forze dell’ordine e i metodi utilizzati dai gendarmi, le forze ausiliarie e i CMI hanno piuttosto ricordato ai marocchini la stagione delle gravi violazioni dei diritti umani. Acquartierati a Mir Left, una località situata a 40 km da Sidi Ifni, conosciuta in tutto il mondo per le sue spiagge selvagge paradiso per i surfisti, le forze dell’ordine sono piombate in città il 7 giugno verso l’una del mattino. Due punti sono stati simultaneamente attaccati. Il porto, dove i 29 giovani che impedivano l’uscita dei camion sono stati pestati, quelli che sono riusciti a scappare si sono rifugiati nella montagna Bouaalam, che sovrasta la città. E ad Hay Lalla Meriem, il quartiere dove risiede la maggior parte dei militanti e dei manifestanti.
Tutta la città è stata presa d’assalto, i poliziotti hanno fatto irruzione nelle case insultandone gli occupanti, le hanno saccheggiate, portandosi via tutto quello che di valore vi trovavano.
Alle cinque del mattino è stato imposto il coprifuoco e sono stati eretti numerosi posti di blocco a più di 30 km da Sidi Ifni. Intanto i militari cercavano di dissuadere tutti coloro che volevano raggiungere il centro città, dicendo che le strade non erano state messe in sicurezza.
La giornata è proseguita in uno scenario di guerra civile: le forze dell’ordine hanno utilizzato  manganelli, palle di gomma e candelotti lacrimogeni, gli abitanti hanno risposto come potevano,  soprattutto con il lancio di pietre. Un corteo pacifico fatto soprattutto da donne è stato violentemente represso. Gli scontri si sono estesi anche alla montagna Bouaalam. I poliziotti si sono lanciati in una violenta caccia all’uomo e sono stati registrati episodi di tortura, e perfino stupri. In proposito, la presidente dell’AMDH, Khadija Ryadi ha dichiarato:“Abbiamo registrato due casi di stupro documentato e numerosi furti, dei casi di torture di minorenni e bambini davanti ai loro genitori. Sidi Ifni è stato il teatro di una punizione collettiva. Noi domandiamo l’apertura di una inchiesta indipendente perché tutti i responsabili siano giudicati. Prima di tutti il ministro dell’interno, il wali di Agadir ed il governatore di Tiznit”.
Il giorno dopo, Sidi Ifni aveva l’aspetto di una città saccheggiata.  Sono seguiti processi e condanne, ma alle elezioni comunali dell’anno successivo quasi tutti i promotori della sommossa sono stati eletti. La cosa ha creato dei problemi, perché alcuni di loro sono stati accusati di essersi venduti.

Vedremo nelle prossime ore cosa succederà a Sidi Ifni, e se l’esempio della protesta contagerà altre località. Il governo marocchino sembra questa volta affrontare le manifestazioni con più prudenza, alternando la repressione al dialogo. Certo è che la situazione è molto tesa e suscettibile di conseguenze imprevedibili.



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