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TelQuel n. 446 novembre 2010

Al Jazeera. I retroscena di una censura
di Tarik Hari

Al canale del Qatar è stata interdetta ogni attività nel regno e ai suoi giornalisti è stato ritirato l’accredito. Ritorno sulla tumultuosa storia di Al Jaazera in Marocco

La notizia è piombata come un fulmine venerdì 29 ottobre: le autorità marocchine hanno deciso di sospendere le attività della sede di Al Jazeera a Rabat e di ritirare l’accredito ai giornalisti del canale satellitare. Motivo? “Violazioni delle regole del giornalismo serio e responsabile”, asserisce Khalid Naciri, ministro della Comunicazione. Quali? “Abbiamo raccolto una lista di contravvenzioni da parte della rete televisiva alle regole professionali e deontologiche da quando ha cominciato il suo lavoro in Marocco. Essa sarà resa pubblica nei prossimi giorni”, promette il ministro. Nell’attesa, la decisione conclude il braccio di ferro giuridico-politico che oppone le due parti da diversi mesi, senza tuttavia porre termine al conflitto. “La decisione non muterà la linea editoriale di Al Jazeera che continuerà a coprire le vicende marocchine in modo conforme agli interessi dei telespettatori”, annunciano i dirigenti della rete del Qatar.

Non toccate gli affari miei
Ma che cosa viene rimproverato specificamente a Al Jazeera? “Il trattamento irresponsabile riservato alle vicende marocchine, cosa che ha alterato l’immagine del Marocco e pregiudicato i suoi superiori interessi, prima di tutto la questione dell’integrità territoriale”, fa sapere il ministro della comunicazione. In poche parole: “Il Marocco non è mai stato soddisfatto di come il canale di Doha ha trattato le vicende che lo riguardano. La decisione era prevedibile”, controbatte il politologo Mohamed Darif. La decisione corona una serie di misure restrittive prese già da qualche mese nei confronti della rete: il rifiuto di rinnovare l’accredito a due giornalisti (attualmente in causa con lo Stato davanti al tribunale amministrativo), l’imposizione della necessità di autorizzazioni speciali per lavorare fuori Rabat… “La decisione era già presa da un molto tempo. Lo Stato voleva spingere la rete a lasciare il Marocco per evitare il costo politico di una simile decisione. Non avendo ottenuto ciò, lo Stato non aveva scelta”, spiega un osservatore. Al di là della linea editoriale del canale del Qatar, le lamentele richiamate dal ministero della comunicazione sono di ordine legale. “Da qualche mese, la rete ha fatto entrare nel paese delle attrezzature tecniche prive delle necessarie autorizzazioni legali”, segnala Khalid Naciri. Perché allora si è atteso tanto tempo prima di reagire? Oggi la situazione è cambiata. Il processo intentato dai due giornalisti della rete contro lo Stato ha certamente irritato le autorità, che temono un giudizio loro sfavorevole. “Dopo la sospensione del Journal du Maghreb, diffuso da Rabat, si è sviluppata una spirale fatale”, spiega Darif.

Je t’aime, moi non plus
Tuttavia quattro anni fa le relazioni tra il Regno e Al Jazeera erano stabilmente buone. Flash-back: nel novembre 2006, Nabil Benabdellah, all’epoca ministro della comunicazione, dava il via libera al canale del Qatar per cominciare a irradiare il Journal du Maghreb da Rabat. Tra le due parti si è stretto un accordo politico, i cui termini si sono conosciuti solo recentemente. In una dichiarazione rilasciata al canale Al Aoula il 26 ottobre scorso, Nabil Benabdellah ha reso noto le clausole “implicite” di tale accordo: “Trattare le vicende marocchine con obiettività e non dare voce ai nemici dell’integrità territoriale”. Impegni che, stando a quanto dichiara l’ex ministro della comunicazione, il canale satellitare del Qatar non avrebbe rispettato.  “Non bisogna farsi ingannare, la linea editoriale di Al Jazeera era conosciuta. Non si sarebbe mai piegata a fare della propaganda di regime”, nota questo osservatore. La luna di miele è dunque rapidamente finita. Il canale “ribelle” non è venuto meno alla sua reputazione e ai suoi orientamenti conservatori. Durante le elezioni legislative del 2007, Al Jazeera riservò un trattamento di favore agli islamisti del PJD. Peggio, “La rete presentò un’immagine del paese come un bicchiere mezzo vuoto, mentre a paragone di altri paesi arabi il Marocco ha avuto delle conquiste democratiche innegabili”, sostiene un membro del Syndicat National de la presse marocaine (SNPM). La rete ha continuato con le sue “provocazioni”, che hanno raggiunto il parossismo con gli attentati terroristi di Casablanca del 2007. “Proprio mentre la lotta al terrorismo era nel pieno, la rete parlava di “ciò che si definisce terrorismo”, che è un modo di imbrogliare le carte per i telespettatori”, continua la nostra fonte. Lo stesso per gli avvenimenti di Sidi Ifni del 2008. Al Jazeera annunciò otto, poi dieci morti tra i manifestanti. Dopo un momento di esitazione, un comunicato ufficiale ha smentito queste cifre. Qualche giorno più tardi, mentre il ministero della Comunicazione aspettava le scusa di Al Jazeera, un comunicato del canale del Qatar alimentava la tensione, negando qualsiasi errore professionale. Ma la goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata senz’altro la trasmissione Maa Haikal, animata dal giornalista egiziano Mohamed Hassanine Haikal, nel corso della quale quest’ultimo si è intrattenuto su eventuali relazioni tra Hassan II e il Mossad. Esasperate, le autorità hanno deciso di sospendere le attività della rete in Marocco. Al Jazeera continua tuttavia a essere captata sul territorio marocchino, con la stessa linea editoriale.



Potere. Chi tira le fila?
“Il dossier di Al Jazeera non è nella mani del ministero della comunicazione. Sono altri che decidono”. La dichiarazione di Abdelkader Kharroubi, direttore della sede di Al Jazeera a Rabat, coincide con le dichiarazioni di Nabil Benabdellah. Nel corso della sua apparizione nella trasmissione Hiwar, il segretario generale del PPS ha fatto allusione all’intervento di “altri” nel dossier Al Jazeera. “Bisogna lasciare al ministro di gestire questa vicenda”, ha reclamato l’ex ministro della comunicazione. “Si sa benissimo che questo genere di decisioni passa sulla testa del ministero. Molti precedenti lo provano, a cominciare da quello di Larbi Messari che, dopo aver lavorato diversi mesi ad un progetto di riforma della stampa, si è trovato davanti una stesura elaborata fuori dal ministero”, ricorda il politologo Mohamed Darif.