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TelQuel n.450 – dicembre 2010


Patriottismo combustibile

Editoriale di Ahmed R. Benchemsi

Guai se il Potere, confortato dal sostegno popolare sul Sahara, lasci degenerare il patriottismo in xenofobia…

Un milione secondo un ministro, da 2 e mezzo a tre milioni per la MAP… nonostante la “neutralità politica” della polizia, la sola in grado di fornire delle cifre obiettive, non si saprà mai quanti Marocchini hanno sfilato a Casablanca il 28 novembre 2010. Le immagini, in ogni caso, sono impressionanti. Anche senza dati affidabili, si deve dire che la marcia è stata grandiosa. Una marcia per “condannare il Partito Popolare spagnolo, istigatore di una risoluzione del Parlamento europeo ostile all’integrità territoriale del Regno”, come hanno affermato a ciclo continuo i media ufficiali? Certamente no. Troppo complicato… Lontano da queste astruse elucubrazioni politiciste, il popolo ha marciato per dire una cosa precisa: “Il Sahara è marocchino”. E’ già abbastanza, e la comunità internazionale ha ricevuto il messaggio. Tanto meglio e complimenti!
Detto questo, va anche aggiunto che questo nobile slancio popolare nasconde qualcosa di più profondo. Il sentimento popolare autentico, scaturito dalla carneficina di lunedì 8 novembre a Laayoune,  è più inquietante. Il video di quel giorno funesto, che mostra assassini indipendentisti che assassinano 11 membri delle forze dell’ordine e urinano sui loro cadaveri, ha risvegliato nei Marocchini un forte sentimento patriottico. Un sentimento che può trasformarsi facilmente in odio globale e irragionevole verso i “nemici”, una categoria contenitore nella quale l’uomo della strada colloca indistintamente molta gente: gli assassini del “lunedì nero”, ma anche gli “Algerini” (come al solito), gli “Spagnoli” (tutti insieme)e, cosa più grave, tutti i Saharawi che non gridano “Viva il Re” a pieni polmoni. Nelle case, nelle terrazze dei caffè, nelle strade, dappertutto in Marocco, da quando quel terribile video  stato divulgato, si sente lo stesso ritornello: “I Saharawi sono degli ingrati. Dopo tutti i sacrifici che abbiamo patito per causa loro, umani durante la guerra, finanziari poi, pagati con le nostre tasse… Adesso sgozzano i nostri soldati e sputano sulla nostra bandiera! Ora basta! Meritano che gli si…”. La violenza delle parole che seguono varia da persona a persona, ma l’idea generale è la stessa: “la strada” reclama vendetta.
Secondo diverse informazioni provenienti dai territori, a Laayoune ma anche in altre località del Sahara Occidentale, la tensione tra Saharawi e Dakhilis (coloni marocchini) è a livelli massimi. Le due comunità, che avevano imparato a convivere, si guardano ormai con sospetto e ostilità. Sono frequenti i tafferugli, e si parla anche di “raid punitivi” dei coloni contro le case dei Saharawi, sospettati di simpatie verso i separatisti. E, cosa ancora più inquietante, si dice che le forze dell’ordine non usino l’energia necessaria a impedire queste aggressioni – addirittura, in alcuni casi, chiudano gli occhi di fronte a questi veri e propri regolamenti di conti interetnici. Anche se la “complicità poliziesca” verso i coloni dovesse essere confermata (ciò che, formalmente, non è ancora avvenuto), si tratterebbe pur sempre di iniziative individuali, non di ordini provenienti dall’alto. Dopo tutto, i militari delle forze dell’ordine sono pur sempre cittadini marocchini, in collera come tutti gli altri – forse ancora di più, sapendo che hanno perduto 11 di loro. L’unione patriottica è necessaria in caso di pericolo nazionale. Ma attenzione alle derive…
Secondo la bella definizione del giornalista USA Ambrose Bierce, “il patriottismo è un materiale combustibile che può servire da torcia a chiunque intenda illuminare il suo nome”. Presi da una “santa collera”, resi incandescenti da ciò, molti Marocchini sono pronti oggi ad accendere la torcia del patriottismo – e questa non è necessariamente solo una metafora. Lo Stato deve assolutamente prendere coscienza di questo pericolo, e circoscriverlo finché è in tempo. Oggi più che mai la rivendicazione marocchina del Sahara deve essere indissolubilmente legata alla giustizia e al rispetto del diritto. Ivi compreso quello dei Saharawi ad esprimere (pacificamente) un’opinione diversa. Anche a costo di sembrare deboli di fronte al popolo. La ragione di Stato – quella vera, quella suprema – deve sopportare anche questi costi.