Medelu.org, 4 febbraio 2011


Queste dittature “amiche”
di Ignacio Ramonet


Una dittatura la Tunisia? L’Egitto una dittatura? Vedendo in questi giorni i media riempirsi la bocca della parola “dittatura” applicata alla Tunisia di Ben Ali e all’Egitto di Moubarak, i Francesi devono essersi chiesti se hanno capito o letto bene. Questi stessi media e questi stessi giornalisti non avevano per decenni martellato sul fatto che questi due “paesi amici” erano degli “stati moderati”? La spregevole espressione “dittatura”, nel mondo arabo-mussulmano, non era riservata (dopo la distruzione della “spaventosa tirannia” di Saddam Hussein in Iraq) al solo regime iraniano? Come? C’erano dunque altre dittature in questa regione? E i nostri media, nella nostra democrazia esemplare, ce l’avrebbero tenuto nascosto?
Ecco che, in ogni caso, c’è un primo chiarimento per il quale siamo debitori al popolo di Tunisi che si è ribellato. La sua prodigiosa vittoria ha liberato gli Europei della retorica dell’ipocrisia e della dissimulazione vigente nelle nostre cancellerie e nei nostri media.  Costretti ad abbassare la maschera, questi fanno finta di scoprire quello che sappiamo da tanto tempo (1), che le dittature “amiche” altro non sono che dei regimi di oppressione. Sul punto i media hanno solo seguito la “linea ufficiale”: chiudere gli occhi o guardare altrove, confermando l’idea che la stampa è libera solo nei confronti dei deboli e delle persone isolate. Nicolas Sarkozy non ha avuto l’aplomb di affermare, a proposito del sistema mafioso del clan Ben Ali-Trabelsi, che in Tunisia “c’era una disperazione, una sofferenza, un sentimento di soffocamento del quale, occorre riconoscerlo, noi non abbiamo compreso la giusta consistenza”.
“Non abbiamo compreso la giusta consistenza”? In 23 anni… Nonostante la presenza in loco dei servizi diplomatici più numerosi di qualsiasi altro paese al mondo… Nonostante la collaborazione in tutti i campi dei servizi di sicurezza (polizia, gendarmeria, intelligence…). Nonostante la regolare presenza di alti responsabili politici e mediatici che, senza porsi alcun problema, hanno scelto la Tunisia come luogo abituale di villeggiatura… (2). Nonostante la presenza in Francia di dirigenti dell’opposizione tunisina in esilio tenuti in disparte, come appestati, dalle autorità francesi e quasi interdetti, per decenni, di comparire sui grandi media… Rovina della democrazia.
In realtà questi regimi autoritari sono stati (e continuano ad essere) compiacentemente protetti dalle democrazie europee, in spregio ai loro valori e col pretesto che essi costituirebbero un baluardo contro l’islamismo radicale (3). Lo stesso cinico argomento usato, all’epoca della guerra fredda, dall’Occidente per sostenere alcune dittature militari in Europa (Spagna, Portogallo, Grecia, Turchia) e in America Latina, pretendendo così di impedire la presa del potere da parte dei comunisti.
Quale formidabile lezione danno le società arabe che si sono ribellate a quelli che, in Europa, le descrivevano solo in termini manichei: o masse docili sottomessi a satrapi orientali corrotti, o folle isteriche spinte dal fanatismo religioso. Ecco che adesso esse improvvisamente spuntano sugli schermi dei nostri computer o delle nostre televisioni (grazie anche all’ammirevole lavoro di Al Jazeera), preoccupate del progresso sociale, per niente ossessionate dalla questione religiosa, assetate di libertà, esasperate dalla corruzione, in lotta contro le diseguaglianze e reclamanti la democrazia per tutti, senza esclusioni.
Lungi da ogni caricatura, questi popoli non costituiscono affatto una sorta di “eccezione araba”, ma appaiono simili, nelle loro aspirazioni politiche, al resto delle società urbane moderne illuminate. Un terzo dei Tunisini e quasi un quarto degli Egiziani navigano regolarmente in Internet. Come afferma Moulay Hicham El Alaoui: “I nuovi movimenti non sono più segnati dai vecchi antagonismi quali l’antimperialismo, l’anticolonialismo e l’antisecolarismo. Le manifestazioni di Tunisi e del Cairo non hanno esibito alcun simbolo religioso. E’ una rottura generazionale che rifiuta la tesi dell’eccezione araba. Inoltre sono le nuove tecnologie di comunicazione di Internet che animano questi movimenti. Questi propongono una nuova versione della società civile per la quale il rifiuto dell’autoritarismo va di pari passo col rigetto della corruzione” (4)
Grazie soprattutto alle reti sociali informatiche, le società, sia in Egitto che in Tunisia, si sono mobilitate molto velocemente ed hanno potuto mettere in crisi il potere in un tempo record. Prima ancora che i movimenti avessero avuto l’occasione di “maturare” e di favorire l’emergere nel loro seno di nuovi dirigenti. E’ una delle rare volte in  cui, senza leader, senza gruppi dirigenti e senza programma, la semplice dinamica dell’esasperazione delle masse è stata sufficiente a far trionfare una rivoluzione.
E’ un momento fragile, e vi sono senz’altro delle forze potenti che già sono al lavoro, soprattutto in Egitto, per fare in modo che “tutto cambi perché niente cambi”, secondo il vecchio adagio del Gattopardo. Questi popoli che conquistano la libertà devono tenere a mente l’avvertimento di Balzac: “Si ucciderà la stampa come si uccide un popolo, dandogli la libertà” (5). Le “democrazie di controllo” sono infinitamente più capaci delle vecchie dittature ad addomesticare un popolo nella legittimità. Ma ciò non giustifica in alcun modo il loro mantenimento. Né deve affievolire la determinazione a porre fine ad una tirannia.
La caduta della dittatura tunisina è stata così rapida che gli altri popoli maghrebini e arabi hanno tratto la conclusione che queste autocrazie – tra le più vecchie del mondo – sono in realtà decrepite, e non sono altro che “tigri di carta”. Il giudizio ha trovato nuova conferma in Egitto.
Da qui questa impressionante ribellione dei popoli arabi (che rimanda inevitabilmente alla grande fioritura rivoluzionaria dell’Europa del 1848), in Giordania, Yemen, Algeria, Siria, Arabia Saudita, Sudan, Marocco.
In quest’ultimo paese retto da una monarchia assoluta, il risultato delle “elezioni” (sempre truccate), qualsiasi esso sia, non impedisce al sovrano di designare a suo piacimento i ministri detti di “sovranità” e qualche decina di famiglie vicine al trono continuano ad accaparrarsi ogni ricchezza (6). I cablogrammi divulgati da Wikileaks hanno rivelato che la corruzione raggiunge livelli di una indecenza strabiliante, più elevati della Tunisia di Ben Ali, e che tutte le reti mafiose portano sempre al Palazzo. Un paese dove la pratica della tortura è generalizzata e l’imbavagliamento della stampa costante.
Tuttavia, come la Tunisia di Ben Ali, questa “dittatura amica” beneficia di una grandissima indulgenza tra i nostri media e la maggior parte dei nostri dirigenti politici (7). Questi minimizzano i segnali che mostrano l’inizio di un “contagio” di rivolta. Già quattro persone si sono immolate col fuoco. Manifestazioni di solidarietà con le rivolte tunisina ed egiziana hanno avuto luogo a Tangeri, Fez e Rabat (8). Intimorite, le autorità hanno preventivamente deciso di sovvenzionare le derrate di prima necessità per evitare  delle “rivolte del pane”. Importanti contingenti di truppe sarebbero state ritirate dal Sahara Occidentale e dirottate in fretta verso Rabat e Casablanca. Il re Mohammed VI e qualche collaboratore si sarebbero recati in Francia, nel week-end del 29 gennaio, per consultare degli esperti in materia di mantenimento dell’ordine del Ministero francese dell’interno (9).
Anche se le autorità smentiscono queste due ultime informazioni, è chiaro che la società marocchina segue con esaltazione gli avvenimenti della Tunisia e dell’Egitto. Pronta a raggiungere lo slancio rivoluzionario necessario per spezzare la catena feudale. E a chiedere conto a tutti quelli che, in Europa, sono stati per decenni complici delle “dittature amiche”.



(1) Leggere per esempio Jacqueline Boucher, “La société tunisienne privée de parole”, et Ignacio Ramonet, “Main de fer en Tunisie”, Le Monde diplomatique, rispettivamente febbraio 1996 e luglio 1996


(2) Mentre Mohammed Bouazizi si immolava col fuoco il 17 dicembre 2010 e l’insurrezione si estendeva in tutto il paese e decine di tunisini in rivolta continuavano a cadere sotto le pallottole della repressione benalista, il sindaco di Parigi, Bertrand Delanoé, e il ministro degli Esteri, Michèle Alliot-Marie, trovavano del tutto normale andare a festeggiare il capodanno in Tunisia


(3) Nello stesso tempo, e senza apparentemente accorgersi della contraddizione, Washington e i suoi alleati europei sostengono il regime teocratico e tirannico dell’Arabia Saudita, principale centro ufficiale dell’islamismo più oscurantista e più espansionista


(4) 
http://www.medelu.org/spip.php?arti...


(5) Honoré de Balzac, Monographie de la presse parisienne, Paris, 1843


(6) Leggere Ignacio Ramonet, « La poudrière Maroc », Mémoire des littes, settembre 2008.
http://www.medelu.org/spip.php?arti...


(7) Da Nicolas Sarkozy a Ségolène Royal, passando per Dominique Srauss-Kahn che possiede un ryad a Marrakech, i dirigenti politici francesi non hanno avuto alcuna remora a soggiornare in questa “dittatura amica” durante le recenti feste di fine anno


(8) El Pais, 30 gennaio 2011
http://www.elpais.com/articulo/inte...


(9) Leggere El Pais, 30 gennaio 2011
http://www.elpais.com/articulo/inte... E Pierre Haski, “Le discret voyage du roi du Maroc dans son chateau de l’Oise”, Rue89, 29 gennaio 2011 http://www.rue89.com/2011/01/29/le-...


 

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