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InfoPalestine.eu, 13 luglio 2014 (trad. ossin)



Israele risveglia la Palestina che vorrebbe annientare

Ramzy Baroud



La barbara aggressione di Gaza ha un solo obiettivo – e non ha niente a che vedere coi tre coloni uccisi. Netanyahu sa che occorre spezzare il forte sentimento di identità collettiva che si è sviluppato nonostante i decenni di tentativi di assimilazione


Quando i corpi dei tre coloni israeliani – Aftali Frenkel e Gilad Shaar, entrambi di 16 anni, e Eyal Yifrach, 19 anni – sono stati ritrovati il 30 giugno vicino ad Hebron, nel sud della Cisgiordania, Israele è entrata in un periodo di lutto che le ha procurato dei segni di simpatia da parte di tutto il mondo. I tre giovani erano spariti 18 giorni prima in circostanze ancora non chiarite.


Tutta la vicenda, e più ancora il doloroso epilogo, sembra avere traumatizzato gli Israeliani al punto da far loro dimenticare qualche spiacevole verità sui coloni e la militarizzazione della loro società. Per esempio, uno dei tre è stato poi accusato di avere umiliato i prigionieri palestinesi e un altro sembra fosse un soldato di occupazione.


I tre giovani sono stati presentati come dei giovani senza difese, nonostante quello di 19 anni fosse un soldato, e i commentatori hanno trascurato di parlare del contesto, che pure è indispensabile per comprendere gli avvenimenti. Pochissimi hanno menzionato il vero colpevole: la politica espansionista (di Israele) che semina odio e morte.


Prima che i corpi venissero scoperti, si è manifestato il vero volto del governo di destra di Netanyahu. Ci si facevano poche illusioni sulla natura “pacifica” di una occupazione imposta da gente come il ministro degli affari esteri, Avigdor Lieberman, il ministro dell’economia, Naftali Bennett, e l’aggiunto del ministro della difesa, Danny Danon. Ma poiché in gioco c’era la vita di “bambini” – è l’espressione che ha usato lo stesso Netanyahu – anche quelli che non hanno fiducia in lui non si aspettavano che, anche in un caso come questo, dovesse trionfare la politica politicante.


La simpatia generale provocata dalla sparizione dei tre coloni è presto svanita di fronte alla risposta di Israele (in Cisgiordania, a Gerusalemme e poi l’invio dell’esercito a Gaza), che è stata generalmente giudicata nel mondo come sproporzionata e crudele. Invece di rispondere alla tragica morte dei tre giovani, la reazione di Netanyahu è stata chiaramente dettata da calcolo politico.


Dei gruppi di Ebrei israeliani si sono vendicati perpetrando una serie di linciaggi etnici in Israele, a Gerusalemme e in Cisgiordania, che sono paragonabili a veri e propri pogrom, e i soldati dell’occupazione hanno avviato una operazione massiccia di arresti di centinaia di Palestinesi, principalmente membri o simpatizzanti di Hamas.


Il Movimento della Resistenza Islamica di Hamas ha negato qualsiasi coinvolgimento nella morte dei coloni, e la cosa sembra plausibile perché è raro che Hamas esiti a rivendicare le azioni del suo braccio armato. Gli strateghi militari israeliani lo sanno bene.


Questa guerra contro Hamas, in ogni caso, ha poco a che vedere con la morte dei coloni e tutto con le circostanze politiche che hanno preceduto la loro sparizione.



La Nakba e una nuova Intifada


Il 15 maggio due giovani Palestinesi; Nadim Siam Abu Nuwara, 17 anni, e Mohammed Mahmoud Odeh Salameh, 16 anni, sono stati uccisi dai soldati israeliani mentre partecipavano ad una manifestazione in commemorazione della Nakba, o “Grande Catastrofe”. Un video mostra che Nadim non faceva nient’altro che starsene là coi suoi amici, quando è stato colpito da un proiettile israeliano.





 

La Nakba vi è stata 65 anni fa ed ha dato luogo al sedicente conflitto arabo-israeliano. Circa 11 milioni di Palestinesi sono stati costretti a scappare davanti alla invasione sionista, abbandonando le loro case e le loro terre. Israele è sorta sulle rovine di questa Palestina.


Nadim e Mohamed, come molti altri giovani delle generazioni successive, sono stati assassinati a sangue freddo mentre partecipavano ad una marcia di commemorazione di questo esodo forzato. Il loro assassinio non ha suscitato alcuna indignazione in Israele. Ma la rabbia palestinese che sembra crescere di continuo – a causa dell’occupazione militare e delle difficili condizioni economiche – aveva raggiunto un punto di non ritorno.


In un certo senso, la morte di questi giovani Palestinesi ha fatto passare in secondo piano le dannose divisioni che regnano da anni tra i leader e nella società palestinese. La loro morte ha ricordato ai Palestinesi che la Palestina, in quanto idea, dramma e lotta collettiva, è oltre la politica e perfino l’ideologia.


La loro morte ci ha ricordato che la Palestina è ben di più dei semplici desiderata del vecchio Presidente dell’Autorità Palestinese (AP), Mahmoud Abbas e dei suoi accoliti di Ramallah o anche dei calcoli regionali di Hamas dopo la nascita e la morte della “primavera araba”.


La reazione di Israele alla morte dei coloni è stata differente. Dopo la scoperta dei corpi, altri coloni e alcuni Israeliani di estrema destra si sono lanciati in una campagna di vendetta contro le comunità palestinesi. Si sono raggruppati sotto lo slogan “Morte agli Arabi”, resuscitando l’idea in disuso di una identità palestinese unica e indivisibile, quella che esisteva prima delle divisioni causate dalla creazione di Fatah e Hamas.


E’ forse un paradosso, ma il dolore e la rabbia provocata dall’assassinio di Mohammad Abu Khdeir, 17 anni, bruciato vivo da coloni israeliani, ha stimolato il risveglio di una identità nazionale palestinese da troppo tempo spezzata.


Un sentimento di identità nazionale, che aveva sofferto dei muri israeliani, delle loro tattiche militari e della stessa disunione dei Palestinesi, si è ricostruito in un modo che ricorda gli avvenimenti che hanno preceduto la prima e la seconda intifada, rispettivamente del 1987 e del 2000.


Vi è tanto da dire sulla ipocrisia di cui i governi occidentali hanno dato prova nella loro reazione alla morte dei Palestinesi e degli Israeliani, la desolante situazione delle vicende arabe, la pressione su Abbas, il cui livello di collaborazione con l’Occupazione aumenta sempre più, per ritrovare gli assassini, e l’assenza di una seria reazione di Israele agli abusi perpetrati dai coloni e dai soldati israeliani contro i giovani Palestinesi, tra cui un ragazzo statunitense-palestinese. Ma l’azione collettiva dei Palestinesi non è veramente conseguenza dell’infinita ipocrisia dell’Occidente. La priorità adesso per i Palestinesi è di mettere a punto una strategia comune per cementare l’unità e realizzare le loro aspirazioni nazionali.



Il governo di unità


Però, a differenza delle precedenti Intifade, sembra oggi impossibile parlare con una sola voce. Abbas è un leader debole che ha fatto troppo in favore dei bisogni di sicurezza di Israele e troppo poco per difendere i diritti del suo popolo. E’ una reliquia di un tempo passato che è ancora là solo perché Israeliani e Statunitensi non hanno niente di meglio al momento.


Perfino dopo l’avvio della violenta repressione israeliana seguita all’assassinio dei coloni, Abbas ha continuato a fare del suo meglio nelle massicce ricerche israeliane. Ha perfino assistito da lontano alle brutalità dell’esercito israeliano contro i Palestinesi in Cisgiordania.


E’ chiaro che nessuna nuova Intifada lascerà Abbas e il suo miserabile regime al potere. E’ questa la ragione per la quale gli sbitti dell’AP (Autorità Palestinese) hanno impedito ai Palestinesi in Cisgiordania di protestare contro la violenza israeliana che si scatenava nei territori occupati e che alla fine è culminata nella guerra barbara contro Gaza, che ha provocato centinaia di morti e feriti. Questi poliziotti dell’AP che hanno guardato l’esercito israeliano fare tutte le irruzioni che volevano nelle case palestinesi sono gli stessi che hanno represso i Palestinesi che tentavano di scendere in piazza per manifestare.


Tutto il credito ipoteticamente accordato ad Abbas per avere formato un governo di unità con Hamas nel giugno scorso, gli è stato immediatamente ritirato a causa della sua incapacità di elevarsi all’altezza dell’impegno che sarebbe stato necessario dopo l’accordo di unità, e la pertinenza della sua “autorità” si è rapidamente eclissata con la violenza israeliana, che ha messo in evidenza la sua inettitudine e quella del suo governo a fronteggiare i calcoli politici israeliani.



Il rilancio di Hamas


Quando Israele ha lanciato la sua campagna di arresti massicci che avevano per principale obiettivo Hamas in Cisgiordania, il ramo politico di Hamas cercava già delle “alternative” al governo di unità a Ramallah. I quadri dirigenti di Hamas hanno preferito tacere per non rivelare che erano scontenti di Abbas e del suo governo di Ramallah, ma il dott. Ahmed Yousef, un dirigente di altro rango di Hamas, ne ha chiaramente parlato nel corso di una intervista rilasciata all’agenzia di stampa Ma’an.


“Il governo di Rami Handallah non è riuscito a riempire” il vuoto lasciato dallo smantellamento del governo di Hamas a Gaza, ha dichiarato Yousef. “Noi vogliamo un governo che unisca tutte le fazioni per evitare il caos securitario e risolvere la crisi dei salari dei funzionari nella striscia di Gaza”, ha aggiunto.


Le speranze che Hamas aveva riposto nel governo di unità sono andate deluse. L’accordo di unità doveva consentire di porre fine all’isolamento politico di Hamas di Gaza, provocato dall’intensificarsi dell’assedio da parte del dittatore egiziano Abdul Fatah al-Sisi, risolvere la crisi economica nella striscia di Gaza e infine permettere ad Hamas di tornare alla sua prima vocazione, la resistenza.


Hamas sperava indubbiamente di arrivare ad un accordo simile a quello di Hezbollah in Libano: godere di una grande influenza politica, mantenere la sua presenza militare e fare, a suo piacimento, un via vai tra resistenza e politica. Ma si tratta di un modello difficile da riprodurre in quanto il paesaggio politico e topografico è assai diverso in Palestina e in Libano.


Alla difficoltà per Hamas di realizzare questo nuovo tipo di movimento basato sulla complementarietà resistenza/politica, si aggiunge il fatto che Israele è determinata a distruggere tutto quello che possa assomigliare ad un governo palestinese di unità. E’ diventata quasi una ossessione per Netanyahu.


Il rapimento dei coloni ha fornito un nuovo slancio ai tentativi di Netanyahu. Ha immediatamente ricominciato a mettere pressione su Abbas perché rompa con Hamas. Di fatto Abbas è diventato bersaglio di una campagna sionista che va oltre le frontiere di Israele. Le sue parole sono state scrutate e analizzate da organizzazioni come la Lega Anti-Diffamation filo-israeliana. Questa Lega, che ha sempre sostenuto le guerre israeliane contro Gaza, ha elevato alte grida quando Abbas ha parlato di “genocidio” a proposito della campagna di assassinii.


Mentre Abbas vegetava nella sua decrepitezza politica, Hamas opponeva una feroce resistenza a Gaza. Diversi gruppi di resistenti, anche di Fatah, il partito di Abbas, si sono uniti e hanno risposto con dei tiri di sbarramento di razzi su Tel Aviv, Haifa, Gerusalemme e altre città. Anche se nessun israeliano è morto, almeno mentre scrivo questo articolo, tenuto conto delle centinaia di morti e feriti palestinesi, le imprese di Hamas hanno finito con lo screditare Abbas e il suo governo, che sono sempre di più considerati come “collaboratori” di Israele.


Come Majdi, che ha 28 anni e vive nel campo dei rifugiati di Deheishah, dice bene: “I poliziotti palestinesi sono i mercenari dell’occupazione israeliana. Essi vedono tutto e non fanno niente”.



Un Bibi assediato

Netanyahu ha concentrato il suo attacco su Hamas. Vuole sradicarlo dalla Cisgiordania, secondo le sue stesse proposizioni, poi distruggerlo a Gaza insieme agli altri gruppi di resistenza. Le sue motivazioni sono numerose, senza considerare la necessità di spezzare la resistenza, per continuare a indebolirla, le stesse di tutte le altre volte – gli attacchi precedenti sono stati lanciati nel 2006, 2007, 2008-9, 2012 e ora 2014.


Ma oggi ci sono nuovi motivi, di fatto delle nuove circostanze, come per esempio quello che il governo di Netanyahu, che non è mai stato solido dalla sua nascita – in parte a causa della costante guerra intestina tra il ministro della giustizia Tzipi Livni e altri esponenti dell’estrema destra – è in pericolo.


Livni ha minacciato per l’ennesima volta di abbandonare il governo l’11 giugno, alla vigilia del rapimento dei coloni. L’unione della destra tra il Likud del primo ministro e Yisrael Beitenu di Liberman si è dissolta il 7 luglio.


Ma queste spaccature nella colazione di Netanyahu sembrano troppo gravi perché perfino una guerra massiccia contro Gaza possa colmarle.



Effetto boomerang

C’è un’altra ragione per la guerra israeliana contro Gaza. Netanyahu, che teme lo scoppio di una Intifada che unirebbe i Palestinesi, minaccerebbe l’Autorità Palestinese (AP) e rallenterebbe la costruzione di colonie illegali, spera che l’aggressione di Gaza annienti il sentimento di unità che lentamente ma sicuramente sta rinascendo tra i Palestinesi di Palestina e i cittadini palestinesi di Israele.


Questa unità è ben più inquietante per Netanyahu dell’accordo politico di Fatah e di Hamas, che muove da contingenze regionali. L’attacco contro Hamas è un tentativo israeliano di contrastare l’emergere di una nuova visione collettiva che va oltre Gaza e il suo blocco, e riguarda tutta la Palestina e tutte le comunità al di qua e al di là del “muro di separazione” israeliana.


Una vera unità palestinese che potrebbe culminare in una intifada popolare massiccia è proprio il tipo di guerra che Netanyahu non può in alcun modo vincere.