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Info Palestine, 20 novembre 2014 (trad. ossin)


Demolizioni punitive delle case palestinesi

Un’atavica predilezione per la vendetta

Jeff Halper (*)


Israele non può pretendere di essere una democrazia, finché sarà dotata di un sistema giuridico diverso per gli Israeliani e i Palestinesi, e questi ultimi continueranno ad essere privi di qualsivoglia protezione legale


Israele adora presentarsi come una democrazia occidentale liberale, di fatto, l’unica democrazia del Medio Oriente. E tuttavia ciò che definisce la democrazia sono soprattutto le regole del diritto, che non si applicano però ai milioni di Palestinesi che vivono sotto il controllo israeliano da 47 anni.

La politica israeliana di demolizione delle case – circa 48.000 case palestinesi distrutte dall’inizio dell’occupazione nel 1967 – rappresenta una cinica distorsione del diritto a fini politici. L’amministrazione “civile” israeliana (espressione mistificatoria con cui ci si riferisce alla gestione militare dei territori occupati per dare l’impressione di una amministrazione normale, corretta, apolitica) emana sistematicamente degli ordini di demolizione che costituiscono, in sé e per sé, violazioni della 4° Convenzione di Ginevra – e anche sei i Palestinesi possono ricorrere ai tribunali israeliani, non riescono mai a farli annullare.

Quando si tratta di demolizioni punitive, però, Israele non si preoccupa nemmeno delle parvenze legali e l’occupazione si mostra nella sua drammatica realtà: una repressione pura e dura che non si accompagna ad alcuna misura politica diretta a porre fine al conflitto, dal momento che la demolizione delle case delle persone sospettate di delitti e dei loro parenti innocenti non è niente altro che una semplice vendetta atavica.

Tra ilo 2001 e ilo 2005, secondo i dati di B’tselem (**), 664 case palestinesi sono state distrutte per punizione nei Territori Occupati. Circa 4.182 persone innocenti sono state sfrattate, molte delle quali semplici vicini della famiglia di qualcuno considerato un “criminale” spesso sulla base di semplici sospetti.

Solo nell’agosto scorso, tre blocchi di appartamenti sono stati demoliti a Hebron, appartenenti alle famiglie e ai vicini di persone sospettate dell’uccisione di tre coloni: il governo israeliano ha minacciato di demolire anche la casa di Muatzaz Hijazi, sospettato di avere sparato contro il capo dei coloni Yehuda Glick (senza ucciderlo) il mese scorso, oltre alle case di quattro sospettati per altri più recenti delitti.


Tutte le leggi sono leggi

L’idea di una demolizione punitiva è semplice e diretta: come tutti, anche i Palestinesi hanno il culto della loro casa e, siccome vivono in famiglie allargate, la perdita di una abitazione gioca un ruolo dissuasivo nei confronti di altri, con la prospettiva che la loro casa familiare potrebbe essere distrutta. Di fatto questa politica di demolizioni punitive è una eredità delle misure di emergenza emanate dagli Inglesi nel 1945, che lo stesso Menahem Begin definiva come “naziste” e per questo motivo ha tentato per anni, senza successo, di farle annullare dalla Knesset.

Negli anni 1950, quando il Primo Ministro Moshe Sharett affermò che “tutte le leggi sono leggi”, Begin replicò: ”Falso! Ci sono leggi tiranniche, ci sono leggi immorali, ci sono leggi naziste… La legge che avete usato (le ordinanze di emergenza inglesi) è nazista, tirannica e immorale. Una legge immorale è anche illegale… Il mantenimento di quelle ordinanze pone in discussione i diritti fondamentali di ciascun cittadino israeliano”.

Ciononostante, queste leggi sono state mantenute nell’ordinamento israeliano. Non fu permesso alla Knesset di revocarle, perché esse si erano rivelate utili al Governo militare che ha governato i settori arabi della società israeliana dal 1948 al 1966 e, successivamente, i Territori Occupati a partire dal 1967. Come sottolinea B’tselem “Quelle ordinanze sono servite a Israele per distruggere e sequestrare centinaia di case, deportarne gli abitanti, porre in detenzione amministrativa centinaia di migliaia di persone e imporre misure di isolamento e coprifuoco a intere città e villaggi”. In effetti centinaia di abitazioni sono state demolite nei Territori Occupati, e molte anche quando lo stesso Begin era primo ministro.

Paradossalmente lo stesso esercito israeliano ha finito col concludere che, lungi dal produrre effetti dissuasivi, la politica delle demolizioni punitive ha di fatto gettato olio su un contesto già di per sé molto combustibile. Colmo dell’ironia, la commissione militare che è giunta a tali conclusioni era stata nominata dal Primo ministro Moshe Yaalon, allora capo di stato maggiore, quello stesso che oggi supervisiona la ripresa di una tale politica fallimentare. Perché fu proprio Yaalon a porre fine, nel 2005, alle demolizioni punitive.

Il ritorno delle demolizioni punitive, che ufficialmente non hanno alcun impatto positivo, né politico, né in termini di sicurezza, è dunque un esercizio di pura violenza atavica, di confusa vendetta contro persone sospettate che non sono state nemmeno incriminate né tanto meno condannate (Hijazi è stato ucciso qualche ora dopo, vicino a casa sua, con la scusa che cercava di non farsi arrestare) e contro parenti e vicini innocenti – nel quadro di una vasta politica di repressione che non ha alcun rapporto con un processo politico che potrebbe risolvere il conflitto.

 


La demolizione delle case dei due autori della strage della sinagoga,
situate nel quartiere etnicamente ripulito dell'ex villaggio
palestinese di Deir Yassin


 

Non solo queste demolizioni politiche violano i principi fondamentali del processo equo, perché le case prese di mira appartengono a persone solo sospettate, ma prendere di mira e punire i componenti assolutamente innocenti della famiglia di un sospettato, con la distruzione della loro casa, costituisce una pena collettiva, vietata dall’art. 33 della Convenzione di Ginevra (IV) relativa alla protezione dei civili in tempo di guerra. Secondo questo articolo, “Nessuna persona protetta può essere punita per una infrazione che non ha commesso personalmente” e le pene collettive e le misure di rappresaglia vengono definite quali crimini di guerra.

Inutile dire che le demolizioni di case vengono effettuate solo quando l’attaccante è un Palestinese e la vittima un ebreo; né l’esercito israeliano, né la violenza dei coloni contro i Palestinesi sono punibili, e certamente non con la demolizione di case di ebrei israeliani.


La quarta Convenzione di Ginevra calpestata da Israele

Decidendo sui ricorsi contro le demolizioni punitive, la Corte Suprema di Israele non le ha mai contrastate. Infatti si è sempre formalmente astenuta dal decidere ogni qualvolta erano coinvolte le questioni della sicurezza e l’esercito israeliano. Nel caso Abou Dahim, nel 2002, la Corte ha stabilito: “La nostra posizione è di non intervenire nella politica del difensore (l’esercito israeliano)”. Questa astensione da parte dell’autorità giudiziaria denuncia, non solo un punto debole del sistema giuridico israeliano, ma anche il disconoscimento nei confronti della popolazione di Gerusalemme est, di Cisgiordania e di Gaza, persone protette dalla quarta Convenzione di Ginevra, di qualsiasi protezione, sia di diritto internazionale che di diritto interno israeliano.

Ciò interpella un’altra questione fondamentale relativa all’ordinamento giuridico dei Territori Occupati (tra cui Gerusalemme est, indipendentemente dall’annessione unilaterale e illegale fattane da Israele): il rifiuto israeliano di applicare la quarta Convenzione di Ginevra. Ed è proprio il fatto che Israele impone i propri regolamenti, le sue leggi e le sue procedure militari, come le demolizioni, nei Territori Occupati a costituire un atto di illegalità flagrante secondo il diritto internazionale.

Disattivando leggi e giustizia, permettendo al governo di violare in assoluta impunità il diritto internazionale, il sistema giuridico israeliano è diventato uno strumento di oppressione

Un esperto di diritto internazionale che ha chiesto di mantenere l’anonimato descriveva con grande franchezza questa cinica manipolazione del diritto per il periodico Jerusalem Post Up Front (15 aprile 2005, p. 34):

“Il diritto internazionale è la lingua del mondo, è in qualche modo l’unità di misura dei nostri tempi. E’ la lingua franca delle organizzazioni internazionali. Dunque occorre stare al gioco, se si vuole far parte della comunità internazionale. E il gioco funziona così: finché voi garantite di situarvi nell’ambito del diritto internazionale e disponete di argomenti ragionevoli per sostenere che quel che fate è rispettoso del diritto internazionale, va tutto bene per voi. E’ così che vanno le cose. E’ una visione assai cinica di come va il mondo. Quindi anche se siete… fantasiosi, oppure se siete…. un po’ radicali, finché siete capaci di fornire spiegazioni di quel tipo, la maggior parte dei paesi non diranno che siete un criminale di guerra”.  



 Lunedì scorso Benjamin Netanyahu ha ordinato la demolizione delle 
case dei "terroristi" palestinesi


Le recenti decisioni della Corte Suprema in tema di demolizioni punitive pongono il diritto internazionale e la difesa dei diritti dell’uomo in conflitto col sistema giuridico israeliano. Israele non può pretendere di essere una democrazia, finché sarà dotata di un sistema giuridico diverso per gli Israeliani e i Palestinesi, e questi ultimi continueranno ad essere privi di qualsivoglia protezione legale.

Intanto Yaalon ha deciso di riprendere la politica di demolizioni punitive – ma solo nei confronti dei Palestinesi. Il governo israeliano non demolirà mai le case dei terroristi ebrei; quelle degli assassini del giovane Mohamme Abou Khdeir (16 anni) nel luglio scorso non sono mai state minacciate. Per contro le autorità del Comando del Fronte interno si sono subito precipitate nelle case dei 4 accusati degli attacchi degli ultimi giorni, a prendere misure e foto per preparare la demolizione.

Le case dei sospettati di qualunque crimine non dovrebbero essere demolite; infatti il diritto internazionale, e perfino quello interno israeliano, lo vietano. In assenza di qualsivoglia “processo di pace”, il conflitto rischia di degenerare in pura vendetta ancestrale. E’ quanto lascia presagire il ritorno alla pratica delle demolizioni punitive.


(*) Fondatore e direttore del Comitato israeliano contro le Demolizioni di Case (ICAHD) – Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

(**) Centro di informazione israeliano per i diritti umani nei territori occupati. Una ONG israeliana