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L’Expression – 29 dicembre 2008



Da quando non c’è più Arafat

“Domanda un consiglio al tuo nemico e fai il contrario”. Proverbio ebraico.

Qualche giorno prima della cessazione del mandato di Bush e dell’arrivo dei democratici al potere, Israele mette alla prova la sua popolarità presso il nuovo gruppo dirigente degli States, il governo ebraico ha lanciato un’offensiva aerea senza precedenti sulla striscia di Gaza controllata da Hamas, facendo più di 280 morti e almeno 644 feriti, mentre il governo approvava il richiamo di migliaia di riservisti per proseguire le operazioni militari.
Domenica le bombe e i missili israeliani hanno colpito una delle sedi più importanti della polizia di Hamas, un simbolo fondamentale nella città di Ghaza. Prima l’aviazione aveva bombardato una moschea situata vicino al più importante ospedale di Ghaza, perché considerata dall’esercito israeliano come  una “base di attività terroriste”. Un altro bersaglio era il canale televisivo di Al Aqsa TV, utilizzata da Hamas. Secondo il bilancio, 183 membri dei servizi di sicurezza di Hamas figurano tra le vittime.
Israele pensava che questo piccolo canale televisivo palestinese avrebbe potuto consentire a centinaia di migliaia di spettatori, arabi e non solo, di seguire in diretta il genocidio dei Palestinesi. Ma subito dopo l’avvio dell’offensiva, tutti i canali arabi di informazione (Al Jazeera del Qatar, Al Arabya dell’Arabia Saudita, Al Manar e Moustakbal del Libano, e ancora l’iraniana Alam, Press TV) hanno piantato le loro telecamere nella terra di Hamas, per diffondere in diretta le immagini delle prime vittime. Immagini choc dei corpi ridotti a brandelli dei soldati morti dopo aver subito in pieno il colpo di un missile durante una cerimonia ufficiale.
I Palestinesi non hanno aerei F 16, navi da guerra, carri Marcava, o ancora lanciamissili a lunga gittata, ma hanno la fede e la pazienza di un popolo chiamato a soffrire in massa e in silenzio nei confronti di paesi arabi sempre pronti a “denunciare”, ma mai attivi quando si tratta di reagire con l’azione.
Questo ordine mondiale non cambierà mai, anche dopo la partenza di Bush o di tutti gli altri dirigenti arabi che hanno saputo conservare la poltrona finché la guerra non li coinvolga. Con la morte di Arafat, la Palestina ha perso uno dei suoi principali leader, che ha saputo difendere sia i partigiani di Hamas che quelli di Fatah. Mahmoud Abbas, che non è mai sembrato essere a proprio agio nei panni di un dirigente palestinese, durante una conferenza stampa, ha dovuto essere salvato dal ministro degli Affari Esteri egiziano, che ha tenuto a difenderlo davanti ai giornalisti, in diretta davanti alle telecamere.
La sconfitta dei Palestinesi è politica prima di essere militare. Ora che Arafat non c’è più, gli israeliani possono agire in assoluta impunità anche davanti alle telecamere del mondo intero, e anche di quelle del mondo arabo. Il massacro continua….
Amira Soltane




Quale sarà la prossima tappa?

L’Expression – 29 dicembre 2008 (editoriale)
 


Osserviamo questo slittamento semantico: la parola “Palestina” è improvvisamente sparita dal gergo delle organizzazioni, da quello degli uomini politici arabi e della stampa. A questa “Palestina” che aveva una risonanza particolare tra le popolazioni arabe, che evocava immagini, miti e rappresentava una causa, si è sostituita “Gaza”.
Per meglio inculcare questo nuovo mito nel subconscio arabo, gli Israeliani procedono nel modo che meglio conoscono, reprimendo i Palestinesi nel sangue e le lacrime in questa parte della Palestina. Di fronte ai selvaggi bombardamenti dell’esercito israeliano, gli Arabi parleranno solo di Gaza. E’ ciò che è successo. Una vera prodezza che è riuscita a scindere, dividere, spaccare e poi mescolare perfino i miti degli Arabi. Questo metodo di collezionare le vittorie, anche le più insignificanti, si ripete dal novembre 1947, data nella quale le Nazioni Unite hanno adottato la risoluzione 181 che prevedeva la divisione della Palestina in uno Stato ebraico ed uno arabo. Quale sarà la prossima tappa di questo programma israeliano in cui niente è fortuito?
Il fatto che Hamas si manifesti con i suoi razzi non è la vera ragione della feroce repressione israeliana degli ultimi anni. Le misure economiche, militari e politiche assunte da Israele contro Hamas sono tutte fallite. Il boicottaggio e il blocco economico di Gaza hanno avuto terribili conseguenze umanitarie sul milione e mezzo di persone che vivono nella striscia di Gaza. Bisogna attendersi dunque altre azioni più feroci per estirpare totalmente Hamas. Dando per scontata la comprensione dell’Egitto, dell’OLP (Organizzazione per la liberazione della Palestina), degli Stati Uniti e dell’Europa, gli Israeliani passeranno alla soluzione finale, vale a dire le eliminazioni fisiche. Israele non si farà intralciare da questioni legali ed etiche per passare all’eliminazione fisica dei dirigenti di Hamas, ora che tutto è stato organizzato. L’assassinio del capo spirituale Sheikh Ahmed Yassin nel 2004 ha dato una anticipazione di quello che  sono capaci di fare gli israeliani nel campo del terrorismo di Stato.
E’ evidente che l’operazione di oggi sarà seguita da un’invasione terrestre della striscia di Gaza, si tratta di un’occupazione, addirittura di una rioccupazione. Questi sono i peggiori scenari che si profilano all’orizzonte. A meno che l’amministrazione Obama non consideri l’opzione di un dialogo con Hamas, anche se questo eventuale dialogo non farà altro che indebolire l’OLP.  Anche in questo caso Israele ne uscirà vincitrice. Perché nel peggiore dei casi si presenterà una soluzione a “tre Stati”, così Israele dovrà affrontare Hamas a Gaza ed un mini Stato dominato da Fatah in Cisgiordania. Ed ecco la Palestina ancora suddivisa e, di questo passo, bisogna domandarsi se ne resterà ancora qualcosa.