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Cf2R (Centre Français de Recherche sur le Renseignement), 10 aprile 2016 (trad. ossin)
 
Armenia/Azerbaijan: scontri sanguinosi
Alain Rodier
 
Nella notte tra il 1° e il 2 aprile 2016, violenti scontri sono scoppiati in Nagorno-Karabakh (Alto Karabakh), una enclave armena nell’Azerbaijan. Secondo Erevan, “L’Azerbaijan ha lanciato venerdì sera un massiccio attacco alla frontiera del Nagorno Karabakh, con carri armati, artiglieria ed elicotteri”. Baku ha smentito, sostenendo di aver solo risposto a tiri armeni. In tre giorni di combattimenti che hanno impegnato artiglieria ed aviazione, le forze azere sono avanzate non più di 300 metri in territorio armeno
 
 
In un primo momento, Erevan ha ammesso di avere perso 18 soldati, senza precisare se fossero armeni o del Nagorno Karabakh. Dal canto suo, Baku ha denunciato la morte di 16 militari e la perdita di un elicottero, di un drone e di un carro armato. Ma sembra che le perdite siano piuttosto maggiori, dal momento che il 5 aprile, data della firma di un accordo di cessate il fuoco, fonti semiufficiali hanno dato conto di diverse centinaia di vittime distribuite in entrambi i campi.
 
Una storia tormentata
Il Nagorno Karabakh è un territorio montagnoso di 12 kmq, la cui popolazione è in maggioranza di origine armena. All’inizio del XIX° secolo, questa regione passa sotto il controllo russo, prima di essere affidato, nel 1868, al governo di Elisavetpol (1), che corrisponde grosso modo all’ovest dell’Azerbaijan e l’est dell’Armenia. Dopo la rivoluzione dell’ottobre 1917, nascono tre nuovi Stati, la Georgia, l’Azerbaijan e l’Armenia. Questi ultimi due si disputano il controllo del Nagorno Karabakh. Stalin risolve concedendo il territorio alla Repubblica socialista sovietica dell’Azerbaijan. Le cose restano in questo modo fino agli anni 1980, ma la Perestroika esacerba le tensioni, giacché la popolazione di origine armena reclama l’indipendenza da Baku. Esistendo un odio immenso tra gli Armeni e i Turcofoni, genocidio oblige, gli scontri etnici, perfino dei pogrom, si moltiplicano da una parte e dall’altra. Il 20 febbraio 1988, il Parlamento del Nagorno Karabakh vota a grande maggioranza la secessione e l’unificazione con l’Armenia.
 
Comincia a questo punto la guerra tra Azerbaijan ed Armenia, non essendo la Russia più in grado di controllare la situazione. Si prolunga per sei anni, fino alla firma di un cessate il fuoco nel 1994 a iniziativa di Mosca. Il conflitto ha provocato circa 30.000 vittime. Si avviano dei negoziati tra le due parti, col patrocinio del “gruppo di Minsk”, che raggruppa la Francia, la Russia e gli Stati Uniti. Il Nagorno Karabakh diventa allora una repubblica autoproclamata, posta in realtà sotto protettorato armeno. Questa “repubblica” non è tuttavia internazionalmente riconosciuta.
 
Punto fondamentale: nel corso della guerra, Erevan si è impadronita con la forza delle zone limitrofe a sud e a ovest dell’enclave, costringendo le popolazioni azere a emigrare, per assicurare la continuità geografica tra questa regione e l’Armenia. Questa pulizia etnica non ha commosso per niente la comunità internazionale, pur essendosi l’Armenia impadronita del 9% del territorio azero, o del 14% se si consideri anche il Nagorno Karabakh.
 
Dopo il 1994, il cessate il fuoco è stato precario, ognuna delle parti giocando al “deserto dei Tartari”. Dopo solo qualche settimana, la tensione era cresciuta inesorabilmente e gli scontri si moltiplicano continuamente.
 
I sostenitori stranieri dei belligeranti
Ovviamente la Turchia sta dalla parte dell’Azerbaijan che ha una popolazione turcofona. Il presidente Recep Tayyp Erdogan appoggia concretamente Baku e ha dichiarato, nel corso del suo ultimo viaggio negli Stati Uniti: “Auspichiamo che i nostri fratelli Azeri riescano a vincere la guerra con il minor numero di perdite possibile… Noi sosterremo l’Azerbaijan fino in fondo”. Oltre a legami storici e culturali, vi sono anche interessi economici, in particolare il progetto di gasdotto cominciato nel 2015, il Trans-Anatolian Natural Gas Pipeline (2) che dovrebbe raggiungere l’Europa attraverso la Georgia e poi la Turchia nel 2018, se tutto va bene.
 
Più curioso il fatto che l’Armenia sia direttamente appoggiata da Teheran, nonostante gli Azeri siano mussulmani sciiti! Di fatto l’Iran teme, dopo l’indipendenza dell’Azerbaijan seguita alla dissoluzione dell’URSS, che questo paese possa diventare troppo prospero, soprattutto in ragione delle sue importanti riserve di idrocarburi. In questo modo, potrebbe costituire un polo di attrazione per le popolazioni azere in Iran o, ancor peggio, incoraggiare un separatismo del nord-ovest dell’Iran. Gli Azeri iraniani costituiscono il secondo gruppo etnico del paese (3) dopo i Persiani. Ricoprono posti importanti e sono soprattutto numerosi tra i pasdaran. La Guida Suprema della Rivoluzione, l’ayatollah Ali Khamenei è lui stesso un azero.
 
Per Teheran, dunque, è fuori questione lasciare il vicino Azerbaijan svilupparsi troppo sul piano economico. Il conflitto con l’Armenia costituisce dunque la “variabile di aggiustamento” ideale che l’Iran incoraggia, perfino appoggia. Per esempio, agli inizi degli anni 1990 mentre imperversava la guerra, gli Iraniani avevano istallato un ponte fluttuante sul fiume Arax che li separa dai vicini armeni. Tutto l’aiuto militare transitava lungo pessimi percorsi di terra e attraverso questa infrastruttura temporanea. Oggi è stato sostituto con un ponte in muratura e strade asfaltate che collegano Nordooz, in Iran, a Agarak, in Armenia.
 
Mosca, sempre pragmatica, gioca abilmente sui due campi. Primo fornitore d’armi dell’Azerbaijan, la Russia mantiene in territorio armeno la 102° base militare del “Gruppo delle forze russe in Trans Caucaso”. E’ acquartierata a Gyumri, a 120 km a nord di Erevan. Forte di 3000 militari, 18 Mig-29, un sistema anti-aereo S-300 e circa 200 carri armati e veicoli blindati, questa presenza russa è particolarmente dissuasiva. Soprattutto dopo che si è potuta constatare la capacità di intervento delle forze russe in Siria e l’efficacia dei missili mare-suolo in partenza dalla flotta del mar Caspio. In caso di bisogno, Mosca è assolutamente in grado di fare da “gendarme” in queste terre che la Russia considera parte della sua zona di influenza e di interessi.
 
Le forze a confronto
Sul piano militare, il vantaggio è per Baku che, grazie all’economia florida, è riuscita a portare il budget della difesa a più di 4,46 miliardi di dollari. Le forze armate, per lo più equipaggiate con materiale russo e turco – oltre ad una parte fabbricata localmente – dispongono di 130.000 uomini, di 500 blindati, di un centinaio di aerei da guerra e 35 elicotteri. Più importante ancora è la volontà di riconquistare i territori perduti negli anni 1990. Questo spirito revanscista del tipo “Alsazia-Lorena” potrebbe provocare una nuova guerra che andrebbe al di là della posta solo locale.
 
Da parte loro gli Armeni si sentono messi alle strette e accerchiati dal nemico ereditario turco e dai suoi alleati azeri. L’Armenia allinea una cinquantina di aerei – ma niente intecettori – e un centinaio di carri armati insieme a mezzi blindati di trasporto delle truppe di vari modelli. Devono inoltre aggiungersi le forze essenzialmente terrestri del Nagorno Karabakh, dotate di diverse centinaia di differenti blindati. Globalmente le forze armene contano 20.000 coscritti (il servizio militare dura due anni), che possono essere raddoppiati in caso di mobilitazione. Come si è detto prima, la presenza permanente russa in Armenia resta un elemento dissuasivo di primaria importanza. Non bisogna dimenticare che il presidente Vladimir Putin ama presentarsi come il vero difensore dei cristiani di oriente.
 
Conclusioni
Come altrove, Mosca gioca un ruolo centrale nell’appianamento – provvisorio? – dei conflitti in corso. E’ sotto la sua egida che i capi di stato maggiore azero e armeno si sono incontrati in Russia per confermare un cessate il fuoco durevole. Per quanto tempo? La Russia è abbastanza potente per obbligare entrambi in contendenti alla moderazione.
 
Ucraina, Siria, Yemen, Europa del Nord e adesso Armenia-Azerbaijan, si va annodando il “gran gioco” tra Stati Uniti, Russia, Iran, Turchia e Arabia Saudita. Ma a proposito, dov’è la Francia (4)?
 
 
Note:
 
    [1] Oggi Gandja, in Azerbaijan
    [2] Sfrutta l’immenso giacimento di gas azero Shah Deniz nel mar Caspio
    [3] Tra il 16 e il 25% della popolazione iraniana, secondo le stime
    [4] Per quanto sia membro del Gruppo di Minsk.