Stampa

 

Oumma, 14 marzo 2020 (trad. ossin)
 
Covid-19: Il fallimento di un sistema
Bruno Guigue
 
Abbiamo letto di tutto, sentito di tutto: «il regime cinese è fallito», la Cina è «sull’orlo del baratro», il «sistema crolla», Xi Jinping è «politicamente in pericolo» e «preso in trappola», la «dittatura vacilla», il «totalitarismo è scosso» e «riconosce di aver fallito», «nulla sarà più come prima» ...
 
Una cosa è certa in effetti, nulla sarà più come prima, e per una buona ragione: la Repubblica popolare di Cina ha battuto l’epidemia di Covid-19 in due mesi
 
Il presidente cinese Xi Jinpin
 
Gli uccelli del malaugurio diranno che è falso, che le cifre sono truccate, che l’epidemia può riattivarsi. Ma gli esperti internazionali dicono il contrario, e i fatti parlano da soli. Il numero quotidiano di nuovi contagi è oramai 50 volte superiore nel resto del mondo a quelli della Repubblica popolare cinese. Sugli 80 000 casi registrati da gennaio in questo paese, 55 000 pazienti sono già guariti. Le restrizioni agli spostamenti vengono progressivamente levate e l’attività economica si rimette in moto.
 
Capiamo che questa realtà dei fatti rattristi i nemici della Cina che pullulano nei media del sedicente mondo libero, ma devono farsene una ragione. La Cina ha fatto quel che nessun altro paese è mai riuscito a fare: battere un’epidemia con una mobilitazione massiccia della società e dello Stato. Dopo avere segnalato il virus all’OMS il 31 dicembre 2019, la Cina si è preparata alla battaglia. Senza precedenti nella storia, la messa in quarantena di 50 milioni di persone, fin dal 23 gennaio, ha rallentato la progressione dell’epidemia. Comparso con una mascherina alla televisione l’8 febbraio, il presidente Xi ha lanciato «una guerra di popolo contro il nuovo demonio».
 
Decine di migliaia di volontari sono accorsi nella provincia di Hubei, decine di ospedali sono stati costruiti in poche settimane, migliaia di squadre sono state mobilitate per tracciare i contatti tra i malati e il loro entourage. Un solo esempio: alla fine delle festività del Nuovo Anno cinese, 860 000 persone sono rientrate a Pechino. Il governo ha loro ordinato di restare a casa per due settimane e la municipalità ha mobilitato 160 000 portieri di immobili per assicurare il rispetto di questo ordine.
 
Se l’epidemia arretra, non è per caso, ma perché il popolo cinese ha messo in campo sforzi giganteschi. In Europa si critica la Cina, si tergiversa, ci si «preoccupa dell’economia», e intanto la pandemia si diffonde. Nel 2009, il virus H1N1, comparso in Messico e negli USA, ha contagiato 1 600 000 persone, uccidendone 284 000 in tutto il mondo. Washington ha brillato per l’assenza di qualsiasi forma di trattamento di questa pandemia, e i media occidentali hanno preferito guardare altrove. Oggi il vice presidente degli Stati Uniti, Mike Pence può continuare a parlare di «virus cinese»: non fa altro che disonorare se stesso e l’amministrazione che rappresenta.
 
D’ora in poi bisognerà ammettere che il nostro sistema è inefficiente, mentre il socialismo cinese ha dato una nuova dimostrazione della sua superiorità. Perché per combattere una simile minaccia è ancora necessario avere uno Stato. Ma dove sta il nostro? La salute pubblica è una priorità per esso? Sarebbe capace di costruire nuovi ospedali, mentre si affanna a distruggere quelli esistenti? In un paese in cui la proprietà pubblica è negativa a causa del debito estero, in un paese nel quale si sono privatizzati e smantellati i servizi pubblici, in cui lo Stato è ostaggio volontario degli ambienti finanziari, saremmo capaci di fare il 10% di quello che hanno fatto i Cinesi?
 
E’ vero che a Pechino non si applicano le regole neoliberiste, le banche obbediscono al governo, la proprietà pubblica rappresenta il 50% della ricchezza nazionale, lo Stato è vincolato ad una obbligazione di risultato, viene giudicato da 800 milioni di internauti sulla sua capacità di risolvere i problemi, sa che è responsabile dell’interesse nazionale, che il suo mandato si rinnova solo se dimostra le sue capacità nei fatti e non solo a parole. E’ una dittatura totalitaria questo sistema? Una strana dittatura dove il dibattito è permanente, gli errori vengono denunciati, le manifestazioni sono frequenti, le istituzioni sottoposte a critiche.
 
Sarebbe un regime totalitario perché costringe intere popolazioni ad una quarantena massiccia ritenuta da tutti gli esperti come l’unica misura efficace? Perché impone restrizioni ai comportamenti individuali nell’unico intento di tutelare la salute della popolazione? E’ senz’altro un sistema imperfetto, ma che funziona e che fa tesoro dei suoi errori. Mentre in Occidente l’autosufficienza prevale sull’autocritica, la denigrazione degli altri sostituisce l’assunzione di responsabilità e il bla-bla permanente impedisce l’efficacia dell’azione.
 
L’editorialista del «Monde», questo nuovo corifeo della scienza, ha perfettamente ragione: «E’ il fallimento di un sistema». Salvo che il sistema fallito non è quello che crede lui.
 
 
Ossin pubblica articoli che considera onesti, intelligenti e ben documentati. Ciò non significa che ne condivida necessariamente il contenuto. Solo, ne ritiene utile la lettura