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Consolato violato
di Francesco Marco de Martino


Oggi 23 aprile 2011, il consolato tunisino di Napoli è stato occupato da giovani tunisini, che protestavano contro le difficilissime condizioni di vita rese ai migranti dal governo italiano.

Alla ex caserma Andolfato di Santa Maria Capua Vetere, in provincia di Caserta (nel frattempo divenuto un centro di espulsione), in spregio della Costituzione italiana, che all’art.13 co.2 stabilisce che “… l’autorità di pubblica sicurezza può adottare provvedimenti provvisori che devono essere comunicati entro quarantotto ore all’autorità giudiziaria e, se questa non li convalida nelle successive quarantotto ore si intendono revocati”; nonché dell’art.13 co. 5 bis del testo unico in materia di immigrazione, per il quale “L'esecuzione del provvedimento del questore di allontanamento dal territorio nazionale é sospesa fino alla decisione sulla convalida. L'udienza per la convalida si svolge in camera di consiglio, con la partecipazione necessaria di un difensore tempestivamente avvertito. L'interessato é anch'esso tempestivamente informato e condotto nel luogo in cui il giudice tiene l'udienza. Si applicano le disposizioni di cui al sesto e al settimo periodo del comma 8, in quanto compatibili. Il giudice provvede alla convalida, con decreto motivato, entro le quarantotto ore successive, verificata l'osservanza dei termini, la sussistenza dei requisiti previsti dal presente articolo e sentito l'interessato, se comparso. In attesa della definizione del procedimento di convalida, lo straniero espulso é trattenuto in uno dei centri di permanenza temporanea ed assistenza, di cui all'articolo 14, salvo che il procedimento possa essere definito nel luogo in cui é stato adottato il provvedimento di allontanamento anche prima del trasferimento in uno dei centri disponibili. Quando la convalida é concessa, il provvedimento di accompagnamento alla frontiera diventa esecutivo. Se la convalida non é concessa ovvero non é osservato il termine per la decisione, il provvedimento del questore perde ogni effetto” , ben oltre i detti termini, e dunque illegittimamente, si è proceduto alla convalida dei decreti di espulsione.

La vicenda descritta, già in sé molto grave, è stata resa ancora più disumana dalla circostanza che le autorità italiane preposte alla tutela della legalità all’interno del centro hanno indotto “gli ospiti” a sottoscrivere una dichiarazione secondo la quale i tunisini si sarebbero trattenuti “spontaneamente” all’interno della ex caserma e che dunque, per effetto della loro libera scelta, i termini per la convalida del decreto di espulsione ad oggi non sarebbero scaduti.

La detta circostanza, tuttavia, oltre che palesarsi in sé inverosimile, contrasta fortemente con gli innumerevoli episodi di tentata fuga dal centro ad opera dei cittadini tunisini e delle relative e numerose lesioni riportate, in questi giorni, da questi ultimi agli arti inferiori (basti ricordare, come già documentato nei giorni scorsi, che il muro di cinta della ex caserma è alto circa sei metri).

Anche a causa di questi fatti gravissimi alcuni giovani cittadini tunisini hanno occupato per diverse ore, in segno di protesta ed in modo pacifico, il loro consolato a Napoli.

Lo stesso non può dirsi per il comportamento tenuto dalla polizia di stato, che, entrata all’interno del consolato (non è noto sapere se illegalmente o su invito delle autorità consolari), per intimidire i manifestanti, non ha esitato ad esercitare delle condotte violente (in alcuni casi schiaffeggiandoli). Per reazione, qualcuno dei tunisini ha minacciato, in segno di protesta, di lanciarsi da una finestra posta a diverse decine di metri di altezza dal suolo.





Dopo una lunga trattativa fra manifestanti e autorità consolare, quest’ultima è stata costretta ad accettare una serie di richieste dei migranti tunisini; prima fra tutte, quella di occuparsi realmente dei problemi degli immigrati e delle condizioni disumane che gli stessi sono costretti ad affrontare. Fino ad oggi, infatti, il consolato si è mostrato del tutto indifferente, forse perché retto dagli stessi funzionari dell’era di Zine El-Abidine Ben Alì.