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 Analisi, luglio 2012 - Saranno gli USA a decidere il quando e il come “arrestare questa crisi” che hanno avviato con precisi obiettivi. Ciò accadrà o quando il regime siriano e il suo esercito saranno sconfitti, o quando l’opposizione armata sarà irreversibilmente sconfitta. In questo caso ordineranno il “dialogo” per salvare il salvabile dei loro interessi. Vedremo allora tutti i loro alleati, Stati e media, seguirli a testa bassa (nella foto, Damasco presidiata dall'esercito)





Triplo doppio veto sino-russo sulla Siria: fine di una congiura, fine dell’ unilateralismo?
Djerrad Amar

L’ultimo doppio veto della Russia e della Cina sulla questione siriana senz’altro dimostra che i rapporti di forza nel mondo sono cambiati. Non si decide infatti un triplo doppio veto sulla Siria spinti dall’umore, ma in base a obiettive analisi geostrategiche. Si tratta di uno scontro tra due concezioni del mondo: una unipolare e l’altra multipolare. I rapporti di forza tra le potenze ne costituiscono l’elemento chiave, decisivo.


Nella visione sino-russa le instabilità nel mondo arabo costituiscono una minaccia diretta ai loro interessi, sia materiali che del loro spazio politico interno, soprattutto per la Russia. I mussulmani russi sono infatti minacciati dall’Islam estremista salafo-wahabita, che la potenza USA incoraggia – con la scusa della ‘democrazia’ in questa ondata delle Primavere arabe – nella misura in cui questo fatto è funzionale ai propri  obiettivi egemonici, dei quali l’indebolimento della Russia è una delle priorità. Gli esempi “jugoslavo”, “iracheno” e “libico”,  dove le leggi internazionali sono state sbeffeggiate per instaurare il caos, restano casi gravi delle malefatte dell’unilateralismo che occorre, costi quel che costi, stroncare. La Siria, dicono le analisi, “sarà un simbolo forte del ritorno della potenza russa e della sua capacità di opporsi all’unilateralismo occidentale,  attraverso la leva della NATO”. Infatti la Siria, che è luogo strategico di questi rapporti di forza, sarà il teatro che farà pendere la bilancia verso l’una o l’altra di queste due concezioni. Ed è precisamente sul dossier siriano che la Russia e la Cina registrano una influenza internazionale.


Dopo 17 mesi di offensiva, durante i quali tutti i mezzi economici, politici e di disinformazione, anche i più abietti, sono stati utilizzati per destabilizzare questo paese – considerato un bastione contro l’egemonia USA-sionista, il maggior ostacolo per la dominazione del Medio Oriente secondo la strategia denominata “Nuovo Medio Oriente” – questa Siria resta sempre in piedi con il suo esercito, il suo popolo, le sue storie e le sue istituzioni. Essa può perfino permettersi – di fronte alla minaccia di aggressione al di fuori dell’ambito ONU e alla campagna mediatica sull’utilizzazione di armi chimiche – attraverso la voce del portavoce signor Maqdisi, di replicare in modo chiaro e senza ambiguità che “le armi chimiche, stoccate e messe in sicurezza… non saranno utilizzate se non in caso di aggressione straniera”, assicurando che dette armi non “saranno mai e poi mai utilizzate contro i nostri concittadini”. Un modo di parlare della propria forza senza doversene servire.


La “battaglia di Damasco”, definita “decisiva” dai loro media “mainstream” nel momento in cui registrano solo fallimenti, assomiglia all’ultimo gesto di una bestia ferita. Il mondo conosce ora il ruolo distruttivo di questi media nell’offensiva contro la Siria. Questi media video dominanti sono particolarmente la CNN, BBC, France 24, Aljazeera del Qatar e Alarabia la saudita. Dietro di loro decine di altre che fanno da sponda alla loro propaganda, cui io aggiungo Reuters e AFP. Il loro ‘corrispondenti’ si sono rivelati essere per la maggior parte delle spie o degli attivisti. Questo mostruoso dispositivo di indottrinamento e di pressione psicologica non si accontenta solo di mentire e ingannare sulla realtà o manipolare i fatti, ma partecipa, sull’esempio di Aljazeera, a seminare morte annunciando spesso avvenimenti che si realizzeranno solo qualche ora più tardi, dimostrando così di ospitare dei posti di comando militare sotto la copertura delle attività giornalistiche.

E’ il caso dell’annuncio con fracasso di una pseudo “battaglia di Damasco”, presentata come ‘decisiva’ che suonerà la campana per il “regime di Bachar”; questo “nodo gordiano”, questo bastione di resistenza agli obiettivi e alle pretese USA-sioniste che bisogna tranciare o distruggere con tutti i mezzi!

A ben considerare gli annessi e i connessi, questa “battaglia” appare come un’operazione che mira, non tanto a conquistare Damasco, ma a “nascondere” tutti i personaggi che hanno ingaggiato ed hanno fallito, soprattutto quelli stranieri, in particolare Libici, Sauditi, Afghani, Egiziani, Giordani che nulla conoscono della realtà locale, dei desperados.  I Siriani non sono più la parte dominante e determinate delle bande ribelli in quanto la più parte si è consegnata con armi e informazioni alle Autorità, approfittando delle misure di clemenza decise nei loro confronti. Passando sotto silenzio lo sterminio delle loro truppe a Damasco in meno di una settimana, ecco ricondotta ad Hallab la medesima operazione con la medesima propaganda su una ‘battaglia di Aleppo’, ‘decisiva’ che anch’essa annuncerebbe “gli ultimi giorni” del regime di Bachar.


Queste poche cellule destrutturate, in fuga disordinata dalle loro posizioni – a causa dei colpi loro inferti dalle unità speciali bene informate dalla popolazione – si ritrovano senza comandanti e senza obiettivi che non siano delle azioni prive di vero impatto, spesso sucide e soprattutto completamente sganciate dalla realtà. Quanti ne restano? Un migliaio? Di più? Qualsiasi sia il numero, anche esagerando, non sono in grado di contrapporsi ad un esercito siriano nazionale, strutturato, provvisto di una dottrina, sperimentato e dotato di armamenti moderni e dissuasivi, che non ha ancora utilizzato, secondo osservatori, se non il 5 % delle proprie capacità. Una simile ‘battaglia’, che dovrà essere combattuta da gruppi terroristi composti da mercenari a buon mercato, da accattoni, da criminali, da canaglie, da frustrati, ma anche da falsi bigotti – che non sanno nemmeno per chi lavorano – contro un simile esercito, temuto perfino da Israele, non potrà essere niente altro che una “Psyop”, una guerra psicologica mirante a far credere all’avversario che si trova in una situazione di debolezza o che ha perso la guerra anche se è ancora forte; una specie di bluff.  Nel nostro caso, se lo stratagemma non riuscisse, resta che si saranno liberati di truppe scomode, poco “eroiche”, e ciò senza grandi conseguenze politiche e/o giuridiche perché si saranno aiutati dei “rivoluzionari” composti da autoctoni corrotti e indottrinati o di mercenari  della stessa risma, che hanno discretamente addestrato, armato, finanziato, organizzato per sbarazzarsi “legittimamente” di un “regime dispotico”  in nome della sua popolazione. Secondo un documento del Dipartimento USA della Difesa, le “guerre psicologiche” sono delle “operazioni previste per trasmettere specifiche informazioni e indicatori a delle platee straniere per influenzare le loro emozioni, le loro motivazioni, il ragionamento obiettivo e, da ultimo, il comportamento dei governi stranieri, di organizzazioni, gruppi e individui. L’obiettivo… è di indurre o rafforzare gli atteggiamenti e i comportamenti favorevoli agli obiettivi del promotore”.


Sarebbe stupido pensare che chi ha pianificato questa “battaglia di Damasco” intendesse vincerla, come sarebbe altrettanto stupido pensare che i servizi di informazione siriani, noti per la loro efficienza, non fossero al corrente di questa “operazione” che richiede spostamenti di gruppi sparpagliati verso e intorno a Damasco in preparazione di una offensiva. L’assassinio di quattro alti dirigenti militari, tra cui il cognato  di Bachar – pianificata e ordinata sicuramente dagli Stati Uniti, vista la complessità dell’operazioni, con delle complicità locali – serviva a galvanizzare le loro truppe per meglio gettarle nella gola del lupo e incidere sul morale dell’esercito e della popolazione, per indurli a unirsi – non si sa mai – all’insurrezione.  Il risultato non si è fatto attendere se in meno di una settimana Al Midan, questo quartiere di Damasco  che hanno fatto credere fosse stato “liberato”, è stato totalmente “ripulito” da questi gruppi, mentre altri residui di gruppi meno importanti sono stati annientati in altri quartieri come Barzeh, Qaboun, il sobborgo di al-Kadam, il quartiere di Bassatine Arrazi Zeyneb, dove l’esercito avanza piuttosto velocemente. L’esercito moltiplica i posti di controllo per impedire ai residui delle bande annientate di raggiungere altri settori. Altri luoghi, più particolarmente le banlieue di Hallab, Idlib, Homs e Hama sarebbero oggetto di operazioni in corso per ripulirle degli ultimi gruppi armati che sono impegnati in combattimenti di retroguardia.

Questa “battaglia di Damasco” è stata certamente ben studiata, tatticamente, da parte dei “servizi” dell’esercito siriano per riuscire a mettere in rotta, militarmente e moralmente, una buona parte dell’ESL (Esercito Siriano Libero). Secondo le testimonianze di alcuni attivisti e perfino di capi di questi gruppi, sarebbero stati piuttosto i gruppi armati ad essere ingannati dai falsi comunicati trionfalistici di AlJazeera e di Alarabia, tanto che si sarebbero “fatti prendere” mentre “credevano di prendere”. Tra qualche giorno si farà di tutto per far dimenticare questa azione suicida. Ma poiché il ridicolo e il virtuale non uccidono, certamente si annunceranno dei “ripiegamenti tattici” e anche altre “battaglie”, altri “violenti combattimenti”, altre “liberazioni”, forse anche un “colpo di Stato”, delle “defezioni”, delle “città cadute, la “fuga di Bachar”, della quale si fabbricheranno le immagini, al modo di Hollywood, che saranno mediatizzate per  farne dei “successi” fittizi senza impatto sulla realtà, sulle tattiche o sull’inesorabile fallimento politico e militare di questa avventura USA in Siria. Il ridicolo arabo giunge al punto di eruttare, con un  tono melenso, questa domenica a Doha, le stesse imbecillità chiedendo a Bachar di “rinunciare al potere”, assicurandogli in salvacondotto, per “mettere fine allo spargimento di sangue… e preservare l’unità della Siria”, rilanciando altresì l’esigenza di realizzare delle “zone di sicurezza” e dei “corridoi umanitari”, certamente per salvare dall’annientamento ciò che resta delle loro truppe. Hamad ben Jassem al-Thani, questo Emiro-giocattolo alleato del Male, ricorre quasi ad una specie di preghiera nei confronti di Bachar, facendo appello alla sua coscienza: “Può arrestare le distruzioni e le stragi prendendo una decisione coraggiosa”: Come se il destino delle dinastie qatariana e saudita dipendessero dalla “caduta di Bachar”! Ed è proprio così.


Né i felloni di un CNS incoerente e diviso, che si mostrano con l’aiuto di Stati noti per il loro imperialismo e colonialismo e la loro sollecitazione di “un intervento militare estero”, né l’ESL, confuso e aleatorio, né la Turchia di Erdogan, che ospita i gruppi armati (o rifugiati) e che già si è guadagnato una rivolta, né i vassalli del Qatar e dell’Arabia Saudita che finanziano il tutto, né la Giordania e la coalizione anti-siriana del Libano, e nemmeno l’Europa – che non sono altro che  strumenti di questa strategia USA-sionista – sono in grado di decidere qualsiasi cosa in questa lotta di grandi. Saranno gli USA a decidere il quando e il come “arrestare questa crisi” che hanno avviato con precisi obiettivi. Ciò accadrà o quando il regime siriano e il suo esercito saranno sconfitti, o quando il fallimento delle loro tattiche diventerà manifesto sul campo di combattimento; vale a dire quando l’opposizione armata sarà irreversibilmente sconfitta. In questo caso, ordineranno il “dialogo” per salvare il salvabile dei loto interessi. Il pragmatismo USA, che non si preoccupa né di morale né di ideologia, farà rapidamente un bilancio e deciderà. Vedremo allora tutti i loro alleati, Stati e media, seguirli a testa bassa.