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ProfileLe schede di Ossin, 21 gennaio 2020 - Come convincere il mondo che la politica statunitense minaccia nuove ondate di guerra, nuovi rifugiati, l'interruzione del commercio di petrolio nello stretto di Hormuz e, in definitiva, il surriscaldamento climatico e la dollarizzazione neoliberista imposta a tutti i paesi?     

 

counterpunch, 6 gennaio 2020 (trad.ossin)
 
La guerra e il riscaldamento climatico sono essenziali al dominio USA
Micael Hudson
 
I media mainstream hanno accuratamente evitato di chiedersi quale logica abbia ispirato l’atto apparentemente folle di assassinare il generale della Guardia rivoluzionaria islamica Qassim Suleimani, all’inizio del nuovo anno. Eppure una logica c’è, ed è coerente con quella che da tempo si configura come la politica globale degli Stati Uniti. Niente affatto una bizzarria dovuta all’impulsività di Donald Trump. L’assassinio del comandante militare iraniano Suleimani è stato, infatti, certamente un atto di guerra unilaterale in violazione del diritto internazionale, ma anche un inevitabile esito di quella che è da tempo la strategia statunitense. Ed era stato anche esplicitamente autorizzato dal Senato, con la legge di finanziamento del Pentagono approvata lo scorso anno
 
 
L'assassinio aveva lo scopo di accrescere la presenza statunitense in Iraq per mantenere il controllo delle riserve petrolifere della regione, e per dare una mano alle truppe wahabite dell'Arabia Saudita (Isis, Al Quaeda in Iraq, Al Nusra e altre divisioni di quella che – di fatto - è la legione straniera statunitense), tutto ciò al fine di assicurare agli Stati Uniti il controllo del petrolio del Vicino Oriente come contrafforte del dollaro USA. Questa continua ad essere la chiave per comprendere la politica estera USA, e capire perché essa proseguirà ad essere tale, senza mutamenti in vista.
 
Ho partecipato a discussioni su questa politica, così come venne formulata quasi cinquant'anni fa, quando lavoravo all’Hudson Institute e partecipavo a delle riunioni alla Casa Bianca, incontravo i generali in vari think tank delle forze armate e i diplomatici delle Nazioni Unite. Il mio ruolo era quello di economista della bilancia dei pagamenti, specializzato da un decennio a Chase Manhattan, Arthur Andersen e nelle compagnie petrolifere dell'industria petrolifera e delle spese militari. Queste ultime sono due delle tre principali dinamiche della politica estera e della diplomazia statunitense. (La terza preoccupazione è come fare la guerra in una democrazia nella quale gli elettori sono contrari, dopo l’esperienza del Vietnam).
 
I media e il dibattito pubblico hanno deviato l'attenzione da questa strategia, affannandosi in tutta una serie di ipotesi sulle ragioni che hanno spinto il presidente Trump a commettere l’assassinio: per contrastare la (non) minaccia di impeachment con un’iniziativa che agitasse le acque, o per appoggiare le campagne militari di Israele nel suo lebensraum (spazio vitale, ndt), o semplicemente come una resa della Casa Bianca alla sindrome neocon dell'odio verso l’Iran. Il contesto reale nel quale si muove l’iniziativa dei neocon è invece la bilancia dei pagamenti, e il ruolo del petrolio e dell'energia come leva a lungo termine della diplomazia statunitense.
 
La dimensione della bilancia dei pagamenti
 
La principale causa del deficit della bilancia dei pagamenti degli Stati Uniti è da tempo rappresentata dalle spese militari all'estero. Il deficit complessivamente accumulato, a partire dalla guerra di Corea del 1950-51 e fino alla guerra del Vietnam degli anni '60, fu responsabile della forzata uscita del dollaro dalla convertibilità con l’oro del 1971. Il problema che gli strateghi militari statunitensi si posero fu di come continuare a sostenere le 800 basi militari statunitensi in tutto il mondo e gli aiuti alle truppe alleate, senza distruggere la supremazia finanziaria statunitense.
 
La soluzione trovata è stata quella di sostituire l'oro con titoli del Tesoro USA (IOU) come base delle riserve delle banche centrali estere. Dopo il 1971, le banche centrali straniere potevano fare poco altro se non di impiegare i continui afflussi in dollaro nella stessa economia degli Stati Uniti, acquistando titoli del Tesoro USA. L’enorme spesa militare estera degli Stati Uniti non ha quindi prodotto svalutazione del dollaro, e non ha nemmeno costretto il Ministero del Tesoro e la Federal Reserve ad aumentare i tassi di interesse per attrarre divise estere a compensazione dei deflussi di dollari per le spese militari. Al contrario, sono state proprio le spese militari statunitensi all’estero a contribuire al finanziamento del disavanzo del bilancio federale interno USA.
 
L'Arabia Saudita e altri paesi dell'OPEC del Vicino Oriente sono diventati rapidamente un solido sostegno del dollaro. Dopo che questi paesi hanno quadruplicato il prezzo del petrolio (in rappresaglia per il fatto che gli Stati Uniti avevano quadruplicato il prezzo delle esportazioni di grano, un pilastro della bilancia commerciale USA), le banche statunitensi sono state sommerse da un crescita rilevante di depositi esteri –  Questi soldi sono stati poi prestati ai Paesi del Terzo mondo, creando una bolla di prestiti inesigibili che, nel 1972, scoppiò con l'insolvenza del Messico, distruggendo il credito di questi governi per un decennio, e costringendoli alla dipendenza dagli Stati Uniti attraverso il FMI e la Banca mondiale.
 
Per di più, è chiaro che i guadagni del petrolio che l’Arabia Saudita non investe in dollari, vengono spesi per l'acquisto di centinaia di miliardi di dollari in armi statunitensi. Ciò pone il paese in una situazione di dipendenza dagli Stati Uniti, per ciò che concerne le parti di ricambio e le riparazioni, e attribuisce agli Stati Uniti il potere di disattivare l'hardware militare saudita in qualsiasi momento, nel caso in cui i Sauditi avessero la tentazione di rendersi indipendenti dalla politica estera degli Stati Uniti.
 
Il mantenimento, quindi, del dollaro come valuta di riserva mondiale è diventata la colonna portante della spesa militare degli Stati Uniti. I paesi stranieri non devono pagare direttamente il Pentagono per questa spesa. Finanziano semplicemente il Ministero del Tesoro e il sistema bancario USA.
 
Il timore che questo sistema potesse essere messo in discussione è stata una delle principali ragioni per cui gli Stati Uniti si sono mossi contro la Libia, le cui riserve estere erano detenute in oro, non in dollari, e ciò spingeva altri paesi africani a seguirne l'esempio per liberarsi dalla "Diplomazia del Dollaro". Hillary e Obama hanno invaso, si sono impossessati delle riserve in oro del paese (non abbiamo ancora idea nelle mani di chi siano finiti questi miliardi di dollari in oro) e hanno distrutto il governo libico, il suo sistema di istruzione pubblica, le sue infrastrutture pubbliche e le altre politiche non neoliberiste.
 
La grande minaccia è oggi la de-dollarizzazione, in quanto Cina, Russia e altri paesi cercano di evitare la dipendenza dal dollaro. Senza un dollaro con funzioni di moneta di riserva globale -  di fatto, senza il ruolo del Pentagono nella creazione del debito del Tesoro, i cui titoli costituiscono le riserve delle banche centrali mondiali - gli Stati Uniti si troverebbero limitati militarmente, e quindi diplomaticamente, come quando il dollaro era convertibile in oro.
 
La medesima strategia gli Stati Uniti hanno seguito in Siria e Iraq. L'Iran stava minacciando questa strategia di dollarizzazione e il suo sostegno alla diplomazia petrolifera statunitense.
 
L'industria petrolifera come contrafforte della bilancia dei pagamenti e della diplomazia estera degli Stati Uniti
 
La bilancia commerciale è sostenuta dal petrolio e da eccedenze agricole. Il petrolio è la chiave, perché viene importato da compagnie statunitensi senza quasi alcun aggravio per la bilancia dei pagamenti (i pagamenti finiscono nelle sedi statunitensi delle aziende petrolifere sotto forma di profitti e emolumenti dei dirigenti), mentre i profitti sulle vendite delle compagnie petrolifere statunitensi ad altri i paesi vengono trasferiti negli Stati Uniti (tramite i centri di elusione fiscale offshore, principalmente Liberia e Panama per molti anni). E come notato sopra, ai paesi OPEC è stato detto di mantenere le loro riserve ufficiali sotto forma di titoli statunitensi (azioni e obbligazioni nonché Buoni del Tesoro, ma non l'acquisto diretto di società statunitensi per quote economicamente importanti). Dal punto di vista finanziario, i paesi OPEC sono liste di clienti dell'area del dollaro.
 
Il tentativo statunitense di conservare questo sistema spiega l'opposizione degli Stati Uniti a qualsiasi iniziativa dei governi stranieri di ridurre il riscaldamento globale e di intervenire sulle condizioni climatiche estreme causate dalla dipendenza mondiale dal petrolio sponsorizzata dagli Stati Uniti. Qualsiasi iniziativa di questo tipo, da parte dell'Europa e di altri paesi, ridurrebbe la dipendenza dalle vendite petrolifere statunitensi, e quindi la capacità degli Stati Uniti di utilizzare il rubinetto petrolifero globale come mezzo di controllo e coercizione. Cose del genere vengono quindi considerate come atti ostili.
 
Il petrolio spiega anche l'opposizione degli Stati Uniti alle esportazioni di petrolio russe tramite Nordstream. Gli strateghi statunitensi vogliono che l'energia sia un monopolio nazionale statunitense. Altri paesi possono trarne vantaggio come ha fatto l'Arabia Saudita – iniettando le proprie eccedenze nell'economia statunitense - ma non possono sostenere la propria crescita economica e diplomatica. Il controllo del petrolio implica quindi la prosecuzione del riscaldamento globale come parte integrante della strategia statunitense.
 
Come una nazione "democratica" può scatenare guerre e terrorismo internazionale 
 
La guerra del Vietnam ha dimostrato che le democrazie moderne non possono schierare eserciti per un importante conflitto militare, perché ciò richiede un consenso da parte dei suoi cittadini. E qualsiasi governo tenti di ottenerlo, viene rapidamente bocciato dall’elettorato. Ma, senza truppe, non è possibile invadere un paese per prenderne il controllo.
 
Ne consegue che le democrazie hanno solo due scelte quando si tratta di strategia militare: possono usare solo la forza aerea, bombardando gli avversari; oppure possono creare una legione straniera, cioè assumere mercenari o appoggiare governi stranieri che forniscano questo servizio militare.
 
Anche in questo caso l'Arabia Saudita svolge un ruolo cruciale, attraverso il controllo che esercita sui sunniti wahhabiti, trasformati in jihadisti terroristi disposti a sabotare, bombardare, assassinare, far esplodere e combattere in ogni altro modo qualsiasi obiettivo venga designato come nemico dell' "Islam", un eufemismo usato dalla narrazione dell'Arabia Saudita nello svolgimento dei suoi compiti di Stato vassallo degli Stati Uniti. (La religione non c’entra davvero molto; non ho mai sentito di un attacco dell’ISIS o di forze wahhabite contro obiettivi israeliani). Gli Stati Uniti hanno bisogno dei Sauditi per rifornire o finanziare i pazzi wahabiti. Quindi, oltre a svolgere un ruolo chiave nella bilancia dei pagamenti degli Stati Uniti riciclando i propri guadagni derivanti dalle esportazioni di petrolio in azioni, obbligazioni e altri investimenti statunitensi, l'Arabia Saudita fornisce anche risorse umane, sostenendo i membri wahabiti della legione straniera statunitense, ISIS e Al-Nusra /Al Qaeda. Il terrorismo è diventata la modalità "democratica" dell'attuale politica militare degli Stati Uniti.
 
Ciò che rende "democratica" la guerra petrolifera USA nel Vicino Oriente è che questo è l'unico tipo di guerra che una democrazia può combattere: una guerra aerea, seguita da un vizioso esercito terrorista che compensa il fatto che nessuna democrazia può schierare il proprio esercito nel mondo d’oggi. Il corollario è che il terrorismo è diventato la modalità di guerra "democratica".
 
Dal punto di vista degli Stati Uniti, che cosa è una “democrazia”? Nel vocabolario orwelliano di oggi, significa qualsiasi paese che sostiene la politica estera degli Stati Uniti. La Bolivia e l'Honduras sono diventate "democrazie" dopo un colpo di Stato, insieme al Brasile. Il Cile sotto Pinochet era una democrazia di libero mercato in stile Chicago. Ugualmente lo era l'Iran sotto lo scià e la Russia sotto Eltsin - ma non da quando ha eletto presidente Vladimir Putin, come non lo è la Cina sotto il presidente Xi.
 
Il contrario della "democrazia" è "terrorista". Ciò indica semplicemente una nazione disposta a combattere per rendersi indipendente dalla democrazia neoliberista statunitense. Non include gli eserciti proxy statunitensi.
 
Il ruolo dell'Iran come nemico degli Stati Uniti
 
Quali sono gli ostacoli alla dollarizzazione statunitense, alla sua strategia petrolifera e militare? Con tutta evidenza, la Russia e la Cina sono stati presi di mira come nemici strategici a lungo termine, per avere perseguito politiche economiche e diplomatiche indipendenti. Ma accanto a loro, anche l'Iran è nel mirino statunitense da quasi settant'anni.
 
L'odio statunitense verso l'Iran inizia con il suo tentativo di controllare la propria produzione di petrolio, le esportazioni e le rendite. Risale al 1953, quando Mossadegh fu rovesciato perché voleva la sovranità nazionale sul petrolio anglo-persiano. Il colpo di Stato della CIA-MI6 lo sostituì con il flessibile Shah, che impose uno stato di polizia per impedire l'indipendenza iraniana dalla politica statunitense. Gli unici luoghi fisici non controllati dalla polizia erano le moschee. Ciò ha fatto della Repubblica islamica il percorso di minor resistenza al rovesciamento dello Shah e alla riaffermazione della sovranità iraniana.
 
Gli Stati Uniti sono venuti a patti con l'indipendenza petrolifera dell'OPEC nel 1974, ma l'antagonismo nei confronti dell'Iran si estende a considerazioni demografiche e religiose. Il sostegno iraniano alla sua popolazione sciita e quella dell'Iraq e di altri paesi – ponendo l’accento sul sostegno ai poveri e su politiche quasi socialiste invece che neoliberiste – ha fatto dell’Iran il principale rivale religioso del settarismo sunnita dell'Arabia Saudita, e del suo ruolo di legione straniera wahhabita statunitense.
 
Gli USA erano nemici del generale Suleimani, soprattutto perché quest’ultimo combatteva contro l'ISIS e gli altri terroristi sostenuti dagli USA nel loro tentativo di dividere la Siria e sostituire il regime di Assad con una serie di capi locali obbedienti agli Stati Uniti - il vecchio stratagemma britannico "dividi e conquista". A volte, Suleimani ha cooperato con le truppe statunitensi nella lotta contro i gruppi dell'ISIS che si erano "messi fuori linea" (fuori, cioè, dalla linea del partito statunitense). Ma tutto stava ad indicare che Soleimani si trovasse in Iraq per lavorare con quel governo allo scopo di riguadagnarne il controllo di quei giacimenti petroliferi che il presidente Trump si è vantato così forte di voler possedere.
 
Già all'inizio del 2018, il presidente Trump ha chiesto all'Iraq di rimborsare agli USA i costi sostenuti per "salvare la sua democrazia", bombardando il resto dell'economia di Saddam. Il rimborso doveva essere pagato in petrolio iracheno. Più recentemente, nel 2019, il presidente Trump si è chiesto perché non impossessarsi semplicemente del petrolio iracheno. Il gigantesco giacimento petrolifero è diventato il premio della guerra petrolifera Bush-Cheney del dopo 11 settembre. "'Era una riunione ordinaria, quasi sottotono", ha detto una fonte che era nella stanza ad Axios. "E poi alla fine, Trump dice qualcosa sull'effetto di, fa un sorrisetto e dice: 'Quindi cosa facciamo per il petrolio?' ” [1]
 
L'idea di Trump, che gli USA dovrebbero "ricavare qualcosa" dalle spese militari sostenute per distruggere le economie irachena e siriana, riflette semplicemente la politica statunitense.
 
Alla fine di ottobre 2019, il New York Times ha riferito che: “Nei giorni scorsi, Trump ha puntato sulle riserve petrolifere della Siria come una nuova giustificazione che sembra invertire la rotta, attraverso il dispiegamento di centinaia di truppe aggiuntive nel paese devastato dalla guerra. Ha dichiarato che gli Stati Uniti hanno "messo in sicurezza" i giacimenti petroliferi nel caotico nord-est del paese e ha suggerito che il controllo della principale risorsa naturale del paese sarebbe un buon motivo perché gli Stati Uniti estendano ulteriormente la loro presenza militare lì. "L'abbiamo preso e messo in sicurezza", ha detto Trump del petrolio siriano in un discorso domenica alla Casa Bianca, dopo aver annunciato l'uccisione del leader dello Stato islamico, Abu Bakr al-Baghdadi. " [2] Un funzionario della CIA ha ricordato ai giornalisti che prendersi il petrolio iracheno era un impegno della campagna di Trump.
 
Ciò spiega l'invasione dell'Iraq per il petrolio nel 2003, e anche quest'anno, come ha affermato il presidente Trump: "Perché non ci prendiamo semplicemente il loro petrolio?" Ciò spiega anche l'attacco Obama-Hillary alla Libia - non solo per il suo petrolio, ma per aver investito le sue riserve estere in oro invece di riciclare il surplus di entrate petrolifere nel Tesoro degli Stati Uniti - e, naturalmente, per aver promosso uno Stato socialista laico.
 
Spiega perché i neocon statunitensi temessero il piano di Suleimani per aiutare l'Iraq a recuperare il controllo del suo petrolio e a resistere agli attacchi terroristici sostenuti dagli Stati Uniti e dai Sauditi contro l'Iraq. Questo è ciò che ha reso il suo assassinio un impulso immediato.
 
I politici statunitensi, come Elizabeth Warren, hanno perso ogni credibilità quando hanno fatto precedere la condanna di Trump per l’omicidio del generale iraniano da considerazioni su quanto fosse "cattivo" Suleimani, su come avesse ucciso le truppe statunitensi organizzando la difesa irachena dai bombardamenti e altre iniziative per respingere l’invasione degli Stati Uniti per impossessarsi del petrolio. Così facendo, hanno solo ripetuto a pappagallo la rappresentazione di Soleimani come un mostro, offerta dai media statunitensi, distogliendo l'attenzione dalla questione politica sul perché fosse stato assassinato.
 
La contro-strategia per il petrolio degli Stati Uniti, il dollaro e la diplomazia del riscaldamento globale
 
Questa strategia continuerà fino a quando i paesi stranieri non troveranno la forza di respingerla. Se l'Europa e gli altri non riusciranno a farlo, subiranno le conseguenze di questa strategia sotto forma di una guerra crescente sponsorizzata dagli Stati Uniti attraverso il terrorismo, il flusso dei rifugiati, il riscaldamento globale accelerato e condizioni meteorologiche estreme.
 
La Russia, la Cina e i loro alleati hanno già aperto la strada alla de-dollarizzazione come mezzo per limitare il sostegno della bilancia dei pagamenti alla politica militare globale degli Stati Uniti. Ma ora tutti si stanno chiedendo quale dovrebbe essere la risposta dell'Iran.
 
La finzione - o più precisamente, la diversione - da parte dei media statunitensi nel fine settimana è stata quella di rappresentare gli Stati Uniti come se fossero esposti al pericolo di imminenti attacchi. Il sindaco de Blasio ha posizionato i poliziotti in modo ben visibile negli incroci importanti, per farci sapere quanto sia imminente il terrorismo iraniano - come se fosse stato l'Iran, e non l'Arabia Saudita, a fare l'11 settembre, e come se l'Iran avesse effettivamente intrapreso azioni offensive contro gli Stati Uniti. I media e le teste parlanti della televisione hanno saturato le onde aeree di presagi di terrorismo islamico. I presentatori televisivi hanno indicato i luoghi dove era più probabile che si verificassero gli attacchi.
 
Il messaggio è che Soleimani sia stato assassinato per proteggerci. Come hanno detto Donald Trump e vari portavoce militari, il generale aveva ucciso statunitensi - e stava pianificando attacchi per ferire e uccidere molti più statunitensi innocenti. Questa è diventata l’immagine degli USA nel mondo: deboli e minacciati, bisognosi di una solida difesa - sotto forma di una forte offesa.
 
Ma qual è il reale interesse dell'Iran? Se è davvero quello di intaccare il valore del dollaro e contrastare la strategia del petrolio, la prima cosa da fare è di scacciare le forze militari statunitensi dal Vicino Oriente, e liberare i campi petroliferi dalla occupazione statunitense. E’ finita che l’atto temerario del presidente Trump ha agito da catalizzatore, provocando esattamente il contrario di quel che voleva. Il 5 gennaio il Parlamento iracheno ha deliberato l’allontanamento dei militari statunitensi dal paese. Il generale Suleimani era un ospite invitato, non un invasore iraniano. Sono le truppe statunitensi a stazionare in Iraq in violazione del diritto internazionale. Se escono, Trump e i neocon perdono il controllo del petrolio - e anche la possibilità di interferire con la difesa reciproca iraniana-irachena-siriana-libanese.
 
Oltre l'Iraq, si profila l'Arabia Saudita. È diventato il Grande Satana, il sostenitore dell'estremismo wahabita, la legione terroristica degli eserciti mercenari statunitensi che lottano per mantenere il controllo del petrolio del Vicino Oriente e delle riserve di valuta estera, la causa del grande esodo di rifugiati in Turchia, Europa e qualsiasi altro luogo dove possano porsi al riparo dalle armi e dai soldi forniti dai sostenitori statunitensi di ISIS, Al Qaeda in Iraq e delle loro legioni alleate wahabite saudite.
 
L'ideale logico, in linea di principio, sarebbe quello di distruggere il potere saudita. Quel potere si fonda sui suoi giacimenti petroliferi. Sono già stati attaccati da modeste bombe yemenite. Se i neocon statunitensi minacciassero seriamente l'Iran, la sua risposta sarebbe il bombardamento e la distruzione all'ingrosso dei giacimenti petroliferi sauditi, insieme a quelli del Kuwait e degli sceicchi petroliferi alleati del Vicino Oriente. Tutto ciò porrebbe fine al sostegno saudita ai terroristi wahabiti, ma anche al dollaro USA.
 
Un tale atto senza dubbio sarebbe coordinato con un appello ai palestinesi e agli altri lavoratori stranieri in Arabia Saudita perché si sollevino e scaccino la monarchia e le migliaia di membri della famiglia reale.
 
Al di là dell'Arabia Saudita, l'Iran e gli altri fautori di una rottura diplomatica multilaterale con l’unilateralismo neoliberale e neocon degli Stati Uniti dovrebbero esercitare pressioni sull'Europa perché si ritiri dalla NATO, in quanto l'organizzazione funziona principalmente come un USAcentrico strumento militare della diplomazia del dollaro e del petrolio, e si opponga quindi al cambiamento climatico e alle politiche di scontro militare che minacciano di rendere l'Europa parte del malestrom statunitense.
 
Infine, cosa possono fare gli oppositori statunitensi anti-guerra per resistere al tentativo neocon di distruggere qualsiasi parte del mondo che resista all'autocrazia neoliberista statunitense? Questa è stata la risposta più deludente di questo fine settimana. Si agitano. Non ha aiutato Warren, Buttigieg e altri, accusare Trump di agire in modo avventato senza pensare alle conseguenze delle sue azioni. Questo approccio evita di riconoscere che la sua azione aveva davvero una logica: tracciare una linea nella sabbia, e dire che sì, gli USA andranno in guerra, combatteranno contro l'Iran, faranno di tutto per mantenere il loro controllo sul petrolio del Vicino Oriente e dettare la politica delle banche centrali dell'OPEC, per difendere le loro legioni ISIS, come se qualsiasi opposizione a questa politica fosse un attacco agli stessi Stati Uniti.
 
Riesco a capire la risposta emotiva o anche le nuove richieste di impeachment di Donald Trump. Ma si tratta di iniziative con tutta evidenza destinate al fallimento, in parte perché si tratta ovviamente di una mossa partigiana dal Partito Democratico. Più importante è l'accusa falsa e egoista che il presidente Trump, assassinando Soleimani, avrebbe superato il suo limite costituzionale, commettendo un atto di guerra contro l'Iran.
 
Il Congresso ha approvato gli omicidi di Trump ed è colpevole quanto lui per avere approvato il bilancio del Pentagono con la soppressione, da parte del Senato, dell'emendamento all'Atto di autorizzazione della difesa nazionale del 2019 che Bernie Sanders, Tom Udall e Ro Khanna avevano inserito alla Camera dei rappresentanti, e che esplicitamente non autorizzava il Pentagono a fare guerra all’Iran o ad assassinarne gli esponenti. Quando la legge di bilancio è passata all’esame del Senato, la Casa Bianca e il Pentagono (alias il complesso militare-industriale e i neoconservatori) hanno soppresso l’emendamento. Era un vessillo rosso che annunciava che il Pentagono e la Casa Bianca intendevano davvero condurre una guerra contro l'Iran e / o assassinare i suoi esponenti. Al Congresso è mancato il coraggio di discutere questo punto, che pure era in primo piano nel dibattito pubblico.
 
Dietro tutto questo c'è la legge varata dopo l'11 settembre saudita, che toglie al Congresso il potere di dichiarare guerra - la sua Autorizzazione all'uso della forza militare del 2002, tirata fuori dal cassetto apparentemente contro Al Qaeda, ma in realtà come un primo passo del prolungato appoggio statunitense proprio al gruppo responsabile dell'11 settembre, i dirottatori di aerei sauditi.
 
La domanda è: come convincere i politici del mondo - USA, europei e asiatici - che la politica statunitense del tutto o niente minaccia nuove ondate di guerra, nuovi rifugiati, l'interruzione del commercio di petrolio nello stretto di Hormuz e, in definitiva, il surriscaldamento climatico e la dollarizzazione neoliberista imposta a tutti i paesi. È un segno di quanto poco potere abbiano le Nazioni Unite il fatto che nessun paese chieda l’apertura di un nuovo processo per crimini di guerra in stile Norimberga, nessuno minacci di ritirarsi dalla NATO o addirittura eviti di detenere riserve in titoli del Tesoro USA che ne finanziano il bilancio militare.
 
Note:
 
[1] https://www.axios.com/trump-to-iraqi-pm-how-about-that-oil-1a31cbfa-f20c-4767-8d18-d518ed9a6543.html . L'articolo aggiunge: "Nel corso della riunione di marzo, il primo ministro iracheno ha risposto: 'Che cosa intende dire?', secondo quanto riferito da una fonte presente. E Trump qualcosa tipo: 'Beh, abbiamo fatto molto, abbiamo fatto molto laggiù, abbiamo speso miliardi di dollari laggiù e molte persone hanno parlato del petrolio' ”.
 
[2] Michael Crowly, “‘Keep the Oil’: Trump Revives Charged Slogan for new Syria Troop Mission,” The New York Times, 26 ottobre 2019. L'articolo aggiunge: "'Ho detto di tenersi il petrolio", ha raccontato il signor Trump. 'Se vai  in Iraq, tieniti il petrolio. Non l'hanno mai fatto. Non l'hanno mai fatto. "
 

 

 
Ossin pubblica articoli che considera onesti, intelligenti e ben documentati. Ciò non significa che ne condivida necessariamente il contenuto. Solo, ne ritiene utile la lettura