Marocco, dicembre 2007 - Caccia all'omosessuale a Ksar el Kébir, una città povera del Nord ovest del Marocco. La polizia interviene... e arresta le vittime.

 


 



Scioccante! La caccia all’omosessuale

 

di Samir Achehbar (Tel Quel, 1-7 dicembre 2007)


 

All’origine, una serata privata a Ksar El Kebir, e delle voci cattive… in conclusione, dei moti popolari, delle vite spezzate e uno scandalo nazionale


Ksar El Kébir non è stata probabilmente mai tanto al centro dell’attenzione dei media come nel 2007. Nello spazio di sette mesi, questa città di 100.000 abitanti (secondo il censimento del 2004) annidata a metà strada tra Rabat e Tanger, ma rimasta ai margini dell’asse autostradale che separa le due città, ha avuto l’onore dell’attualità nazionale. Il 1^ maggio 2007, già alcuni militanti per i diritti dell’uomo erano stati interrogati e incriminati per degli “slogans (proferiti in pubblico) recanti attentato ai sacri valori”. Risultato: cinque uomini, tutti componenti della sezione locale dell’AMDH, sono stati condannati a 3 anni di prigione senza condizionale. Una pena aggravata in appello (4 anni), che hanno cominciato a  scontare nella stessa Ksar El Kébir, prima di essere trasferiti alla vicina prigione di Souk El Arbaa, sempre nel Gharib.
Ed ecco dunque che, sette mesi più tardi, Ksar El Kébir ritorna d’attualità. Lo senario è restato complessivamente lo stesso: manifestazioni pubbliche, interpellanze, partecipazione attiva della sezione locale dell’AMDH. Solo è cambiata la posta in gioco: le manifestazioni, questa volta, non hanno preso di mira la disoccupazione e la corruzione presunta dei nostri governanti,  esse hanno decretato una gigantesca caccia all’omosessuale.

Tutto è cominciato il 19 novembre quando F. (lo indichiamo con l’iniziale per evitare di rivelare la sua vera identità come è stato fatto, ahimé, da una parte dei nostri colleghi giornalisti), una celebrità locale, conosciuto per le sue attività di “guerrab” (venditore di acqua o di altre bevande, ndt), ha deciso di organizzare una serata privata in una casa del quartiere popolare di Hay Diwan, abitualmente riservata alla celebrazione di matrimoni. Il “party”  non è passato inosservato.

Una fonte locale spiega: “F.  non gode della reputazione di un sant’uomo, piuttosto quella di un libertino i cui minimi fatti e gesta sono spiati da tutta Ksar El Kébir”. La serata del 19 novembre, in più, ha qualche cosa di particolare: assomiglia ad una cerimonia rituale, musica gnaouie (una musica di tradizione africana, berbera e arabo-mussulmana, ndt) e, spinto sulla pista danzante, un uomo… travestito da donna.
L’indomani la collera monta progressivamente nella città. Giacché si diffondono con la rapidità del fulmine e si autoalimentano voci secondo cui si sarebbe celebrato un “matrimonio omosessuale”.  Su Youtube, la Mecca del net, circolano registrazioni video, probabilmente riprese da uno degli invitati. Il 21 novembre si organizza una sorprendente petizione. Indirizzata al Procuratore Generale della città, chiedeva l’apertura di una “inchiesta ufficiale sulla celebrazione di un matrimonio omosessuale (a Ksar El Kebir)”. Il testo sostiene anche che le ipotetiche nozze omosessuali si sarebbero tenute, sul modello di un matrimonio “classico”, nel corso di due giorni, “il 18 novembre, giorno della indipendenza, e il 19 novembre”. La petizione, che ha il senso e la forma di una vera e propria denuncia, reca delle firme sorprendenti. AMDH (associazione marocchina per la difesa dei diritti dell’uomo, organizzazione di estrema sinistra, ndt), PJD (il partito islamista, ndt), Al Adl Wal Ihsane (Giustizia e Carità, altra organizzazione islamista dello sceicco Abdesslam Yassinie, ndt), Al Badil Al Hadari (Giustizia e Pietà, altro gruppo islamico, ndt), oltre ad altre oscure associazioni locali. Il rullo compressore è in marcia e la stampa ci si mette di mezzo, pubblicando con titoli a caratteri cubitali articoli sul “matrimonio omosessuale a Ksar El Kébir”. Alimentata da prediche incendiarie, il venerdì seguente la vendetta popolare si estende in tutta questa città dove, secondo doversi indicatori, coabitano trafficanti di ogni genere e forti succursali dei movimenti islamisti.
Il seguito è un movimento di folla collettivo, isterico, che assomiglia ad un moto popolare. Almeno mille persone (da cinque a dieci volte di più, assicurano alcune fonti non ufficiali) si sono abbandonati ai loro istinti, gli occhi rossi di rabbia, domandando “giustizia, punizioni, riparazione”. Per prima cosa la folla vuole dare una lezione alla proprietaria della casa che ha ospitato la festa. Saccheggia l’esercizio commerciale di un gioielliere che ha partecipato alla festa. Lo stesso fa col domicilio di F., da quale alcuni di questi assalitori arrabbiati per l’affronto fatto alla loro città ripartono carichi di casse di birra! Al centro della città le forze di sicurezza, radunati in forza, fanno uso dei manganelli. Il rodeo prosegue per molte ore e otto manifestanti , soprattutto giovani, sono fermati e poi rilasciati. F., nel frattempo, è svanito nel nulla, come tutti gli altri invitati.
La pressione della piazza si attenua solo quando un’altra voce di diffonde rapidamente nella città: “Hanno arrestato gli omosessuali”, si ripete di bocca in bocca. Effettivamente. Sei persone dei (supposti) invitati  alla cerimonia sono messi agli arresti. Una fonte vicina agli inquirenti precisa: “Alcuni di loro hanno considerato questo arresto come una forma di protezione contro la possibilità di un linciaggio pubblico”.
Comincia allora un’ altra storia drammatica, surrealista. Gli accusati non riescono a convincere alcun avvocato della città a patrocinare la loro causa. Tutte le fonti consultate sono unanimi: gli avvocati hanno paura delle rappresaglie (da parte della folla rabbiosa). Fino a giovedì nessuna toga nera ha assistito gli incolpati. E, se si dà credito ad alcune fonti, Mohamed Sebbar, presidente del Forum verité et justice (FVJ), ed avvocato di professione, avrebbe accettato di assumerne la difesa. Si attende una conferma nei prossimi giorni.
 E l’affaire continua a gonfiarsi. A Ksar El Kébir un città diseredata largamente dominata dal PJD (la cui supremazia politica è stata confermata nelle elzioni del settembre 2007) e più ancora dalla Jamaa di Al Adl Wal Ihsane, la sola voce che riesce a farsi ascoltare è quella della denuncia. Un abitante ci ha detto con sincerità:”Qui la gente grida con una sola ed unica voce. Quelli che la pensano in modo diverso hanno troppa paura di essere a loro volta accusati di essere omosessuali”. E prosegue:”Con una simile etichetta si rischia di essere presi di mira dalla polizia, dagli imam delle moschee, dai maestri di scuola, dai vicini, etc…”
Il profilo del principale “accusato”, F., non è di quelli che siano in grado di invertire la tendenza. “Si dice di lui che ha potuto proseguire e sviluppare le sue attività (di venditore clandestino di alcool), tenendo a libro paga alcuni poliziotti, perfino qualcuno dei “duri” della città. Denunciare quanto gli capita oggi significa difendere le sue scelte di vita e questo non è facile”: ecco in parole povere quale è la “reputazione” di F., prima vittima dell’affaire.
Esaurito l’effetto valanga, le ultime vicende di Ksar El Kébir sono approdate al Parlamento di Rabat. Rispondendo, mercoledì, nel corso di una seduta di interpellanze orali, il ministro dell’interno Chakib Benmoussa ha fornito questa spiegazione, come si può leggere in un dispaccio dell’agenzia ufficiale MAP: “Al di là di tutte le speculazioni giornalistiche e politiche di questi avvenimenti, bisogna segnalare che le prime investigazioni hanno accertato che questa festa è legata a dei rituali che si sono rivelati frutto di pura ciarlataneria”. Benmoussa consegna la sua versione della cerimonia organizzata da F.: “(F.) voleva realizzare una visione avuta nel corso della quale una donna gli avrebbe chiesto di vestirsi come lei e di offrire un dono al santo Sayed Al Madloum”. Il Ministro dell’Interno, che invita alla calma, assicura d’altra parte che”non ha trovato, a oggi, conferma che si sia trattato di un matrimonio tra pervertiti sessuali come è stato riferito da certi componenti dell’opinione pubblica locale”. Un’affermazione assolutamente plausibile. Contrariamente alle voci divulgate sul Net o da una parte dei giornali, il “party” organizzato da F. non aveva, secondo quanto accertato nelle prime fasi dell’inchiesta, nulla di un matrimonio tra omosessuali (o tra “pervertiti sessuali”, secondo la terminologia della agenzia ufficiale MAP e del Ministro dell’Interno). Non vi è stata alcuna pubblica processione (H’diya). E questo spiega senza dubbio, per il momento, la prudenza dell’atto di accusa (non ufficiale) relativo alle sei persone arrestate: “Presunto coinvolgimento in atti contrari alla legge”.
Sempre a Rabat, a qualche passo dal Parlamento, la sede dell’AMDH è teatro di una effervescenza non abituale. E a giusta ragione: l’ONG è stata, attraverso la sua sezione locale di Ksar El Kébir, all’avamposto tra i denuncianti della “festa” organizzata da F.. Un comportamento che la molto sorpreso, addirittura deluso, scioccato, all’interno stesso dell’Associazione. Il vice-presidente Abdelhamid Amine non dice altro: “Questa storia ci ha danneggiato, incontestabilmente. La nostra sezione di Ksar El Kébir ha commesso un errore di valutazione firmando la petizione indirizzata alla Procura, e noi l’abbiamo richiamata all’ordine per questo. Ma non ha fatto alcuna denuncia legale, come è stato detto qui e là, e adesso si prepara a diffondere un comunicato che chiarirà tutto”. Domenica, effettivamente, Amine e gli altri dirigenti dell’AMDH dovranno approvare il comunicato in questione. Questo non ha impedito un certo turbamento tra i militanti. Uno, che ha chiesto di restare anonimo, spiega:”Avremmo preferito evitare di doverci pronunciare sulla questione dell’omosessualità, perché è legata a molti tabù. Le persone sono talmente manipolabili, religiosamente e politicamente, che non si può non avanzare su di un terreno scivoloso”.
Sui fatti, e soprattutto sul background e sul dibattito culturale, religioso e giuridico che vi è sotteso, l’affaire di Ksar El Kébir, il cui processo deve aprirsi immediatamente, non è che agli inizi. Il seguito dovrà indicare se, come temono molti, si sia alla vigilia di un episodio grottesco come l’affaire dei satanismi della primavera 2003.

 

 


 

ZOOM. Le buone domande

Khadjia Rouissi dovrà raggiungere il 30 novembre la località di Ksar El Kébir per tentare di venire in aiuto alle famiglie dei sei incolpati. Ci spiega le ragioni di un gesto che per prima ha avuto il coraggio di fare:”Vado a nome dell’associazione Bayt Al Hikma (ONG fondata nell’estate del 2007) i cui scopi sono quelli di difendere le libertà individuali in Marocco. L’obiettivo è prima di tutto quello di ascoltare e sostenere le famiglie delle vittime, la maggior parte dei cui figli ha disertato i banchi della scuola dopo lo scoppio dello scandalo. Ora è tempo di aprire il dibattito: che cosa è pubblico e cosa è privato? Bisogna restare passivi e attendere che dei guardiani della morale violino le nostre case e spiino nelle nostre camere da letto? Non è arrivato il momento che ai marocchini sia finalmente concesso di godere del diritto fondamentale di disporre liberamente del proprio corpo? Quale è l’esatto ruolo e quali gli scopi delle associazioni per la difesa dei diritti dell’uomo? Come fermare lo scatenarsi degli scritti e delle prediche che incitano all’odio e alla violenza?” Le (buone) domande della signora Rouissi meritano risposte chiare, risolutive. Ed un dibattito pubblico e sereno. E’ urgente.

 

 


 

 

LETTERA DA KSAR EL KEBIR


Linciaggio mediatico, recupero politico

 

Al Massae dedica la prima pagina del 23 ottobre, un venerdì, giorno di fervore religioso, all’affaire di Ksar El Kébir. L’articolo, dal titolo sparato (“Due omosessuali si sposano a Ksar El Kebir secondo la tradizione marocchina), è illustrato dall’immagine ingrandita di un travestito. Dettaglio: l’articolo non spiega assolutamente che questa foto, tratta da una banca di immagini internazionale, non è stata fatta a Ksar El Kébir. Turba il fatto che tra i rivoltosi molti brandivano la copia di Al Massae in questione.

 

Un lettore ha scelto l’anonimato (per ragioni che si possono comprendere) per commentare gli avvenimenti di Ksar El Kébir. Con uno stile pulito ed una analisi personale dello scandalo che scuote la città già da due settimane.

 

La città di Ksar El Kébir ha conosciuto una settimana calda a causa di un insolito avvenimento. Guidati da una divisione di Al Adl Wal Ihsane e le truppe reclutate sotto la bandiera del PJD, i cittadini sono andati in piazza a denunciare con grande strepito un ipotetico delitto commesso da un gruppo di omosessuali. Poco preoccupati della reputazione della loro città, questi omosessuali avrebbero celebrato un matrimonio senza precedenti, la cui eco ha fatto il giro dei siti internet marocchini e stranieri, spingendo in città orde di giornalisti e reporters curiosi di accertarsi personalmente della fondatezza delle voci divulgate.
Tutte queste persone hanno avuto, una volta arrivate, tutto il tempo di filmare le manifestazioni organizzate dopo la preghiera del venerdì. Nelle loro prediche infiammate, alcuni imam sono giunti a incitare all’omicidio di questo gruppo di omosessuali, come dei loro “mohsine” (mecenati), un conosciuto gioielliere, il cui magazzino e la cui abitazione sono state attaccate a più riprese, con l’obiettivo inconfessato di rubare le sue cose. La casa della ipotetica sposa è stata anche essa obiettivo degli assalitori, che si sono impadroniti di bottiglie di vino e di birra.
L’ipotetico matrimonio ha occupato le prime pagine dei grandi quotidiani nazionali, con corredo di reportage e foto. Alcuni si sono spinti fino a denunciare la polizia, colpevole (ai loro occhi) di chiudere gli occhi, addirittura d’essersi resa complice, rifiutandosi di arrestare il principale protagonista di questi avvenimenti. Quest’ultimo, temendo per la sua vita, s’è consegnato spontaneamente, per paura di essere linciato dalla orde dei fanatici, che chiedevano che gli sposi fossero severamente puniti, come esempio per tutti gli altri.
Qualche giorno più tardi, è tornata la calma e la ragione… La gente ha scoperto, stupefatta, che si era trattato di una macchinazione, ordita da spiriti vili, e che c’era solo una moglie, senza traccia di marito. Allo stesso modo hanno scoperto che il gioielliere non aveva alcuna relazione, nemmeno lontana, con gli avvenimenti e che l’attacco che ha preso di mira il suo magazzino aveva piuttosto come obiettivo le sue merci, perché lui non sostiene gli islamisti. E non è il solo.
Dov’è la verità in tutto questo? In realtà un venditore clandestino di alcol ha avuto una visione, un sogno. Ha voluto quindi organizzare una notte di stregoneria, vestito da donna, come si era visto in sogno. Forse è omosessuale, forse aveva anche invitato degli omosessuali, come ne esistono dappertutto nel mondo, salvo che in Iran, come crede il presidente Ahmadinejad.
Il video della cerimonia mostra che l’alcool è colato a fiumi, che si è fumato dell’hashish e che si è ballato. Niente di più banale insomma, come succede ogni notte e un po’ dappertutto in Marocco. E siccome la buona sorte degli uni fa invidiosi gli altri, gli islamisti del PJD, e quelli di altri movimenti di uguale obbedienza, si sono impadroniti della situazione, condannandola pregiudizialmente, senza preoccuparsi di verificare i fatti. Il rappresentante della città al Parlamento ha raggiunto il ridicolo fino a proporre una interpellanza orale sul tema, volendo anche dimostrare che “il Marocco è un paese di grande dissolutezza”, che ha grande bisogno degli islamisti per essere ricondotto sulla strada giusta.
Facendosi beffe di ogni professionalità, alcuni giornali si sono accontentati di volgari esercizi di interviste volanti per puntellare i loro articoli. Ma né l’interessato, né i suoi invitati sono stati intervistati. Per contro la stampa non ha avuto scrupolo di diffondere le foto delle persone direttamente coinvolte, senza rendersi conto che questo poteva mettere in pericolo la loro vita e la sicurezza dei familiari. L’obiettivo propostosi è stato raggiunto: nessun abitante era sprovvisto di una copia di uno di questi giornali, le cui vendite hanno raggiunto record.
Ora che la situazione si è calmata, si impongono delle riflessioni. Per un pugno di elettori di più e qualche decina di copie vendute, la reputazione della città è stata trascinata nel fango, vittima di persone la cui unica preoccupazione è il guadagno, anche se bisogna pagare un prezzo in termini di bassezza.  Ksar El Kébir, marchiata nel suo proprio corpo sociale, non smetterà assolutamente di pensare alle sue ferite, mentre già deve battersi contro la marginalizzazione che la colpisce in pieno. Peccato 

 

Adel di Ksar El Kébir

 
  
 
  
 
 

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