Marocco, agosto 2007 - Scarcerato Abderrahim Ariri, il direttore del settimanale "Al Watan Al An", mentre resta in carcere il giornalista Mustapha Hourmattallah. Più che questione di libertà di stampa, sembra un episodio della guerra tra apparati dei servizi. Pubblichiamo il commento apparso senza firma su Le Journal Hebdomadaire



LE JOURNAL HEBDOMADAIRE (dal 28 luglio al 3 agosto)


Le ombre dell’affaire “Al Watan”

 

Piccolo segno di V della vittoria e sorriso a tutta faccia, Abderrahim Ariri, il direttore dello spumeggiante settimanale “Al Watan Al An”, esce libero dall’ufficio del procuratore del re, dopo diversi giorni di detenzione nei locali casablanchesi della brigata nazionale di Polizia giudiziaria (BNPJ). Libero ma non discolpato da tutte le accuse dalle quali è gravato dopo avere pubblicato, nelle colonne del suo giornale, dei documenti confidenziali riguardanti la sicurezza nazionale.
Mustapha Hourmattallah, giornalista di “Al Watan Al An” e cofirmatario dell’articolo incriminato, non è altrettanto fortunato. La Procura ha deciso di imprigionarlo nell’attesa dell’apertura di un processo che si annuncia agitato, mentre una sfilza di sette militari è stata rinviata a giudizio davanti al Tribunale Militare di Rabat. La Giustizia ha deciso dunque di frammentare un “affaire” complesso e opaco per poterne controllare gli effetti scioccanti e dannosi per l’immagine del paese, già offuscata dalla minaccia terrorista e gli scandali a ripetizione nei ranghi dei servizi di sicurezza.

 

Soluzione muscolare 

14 luglio, “Al Watan”, piccolo ma influente tabloid di Casablanca dai toni spesso incisivi e libertari, pubblica in prima pagina dei documenti dei servizi di intelligence, il cui contenuto viene presentato come all’origine dello stato di allerta massima da poco decretato dalle Autorità. Il dispiegamento nelle strade delle grandi città di un dispositivo di sicurezza imponente e i controlli drastici da parte di poliziotti armati conferiscono a questo scoop mediatico una eco senza precedenti. Tuttavia lo Stato non si muove e si guarda bene dal ritirare la pubblicazione dalle edicole. Nondimeno nelle segrete stanze del Ministero dell’Interno e allo Stato maggiore delle Forze armate reali, sono in assetto di combattimento. A ragione veduta, perché è la prima volta nella storia recente della stampa che dei documenti così sensibili si ritrovano pubblicati su un giornale. Il fatto viene preso molto sul serio, non tanto perché quanto rivelato al grande pubblico sia suscettibile di destabilizzare il paese, ma perché questa fuga di notizie manda in frantumi il mito di un apparato di sicurezza sacralizzato. Si decide dunque di chiudere al più presto questa breccia aperta. In realtà è da lungo tempo che l’esercito, gendarmeria compresa, il DST e la DGED sono preoccupatissimi da questo giornale, vera e propria polvere pruriginosa per la Grande muta (l’esercito, ndt). Settimana dopo settimana, le sue prime pagine ripetute sugli affari sporchi degli alti gradi, i suoi articoli che affondano nelle loro piaghe con una profusione di dettagli non comune, delle fotografie inedite che fanno pensare a una o più talpe che servono da fonti inesauribili per “Al Watan” dall’interno dei servizi. Anche i colleghi giornalisti, mezzo gelosi e mezzo scettici, si interrogano su questa specializzazione del giornale, e sempre con la firma di Hourmatallah e Ariri. Il 17, di prima mattina, si da il via alla soluzione muscolare del BNPJ (Brigade nazionale de Police Judiciaire) nei domicili dei giornalisti. “Una ventina di ragazzi in abiti civili sono penetrati a casa mia, senza darsi neppure la pena di declinare la loro identità. Fortuna che i miei figli non si trovavano là”, racconta Ariri che, dopo una detenzione spartana ma “cortese”, non sembra avere perduto la sua verve. Resta solidale col suo giornalista imprigionato nel carcere civile di Oukacha, ma osserva tuttavia un distacco contenuto a proposito di taluni aspetti ancora oscuri dell’”affaire”. “Hourmatallah aveva le sue fonti che io mi vietavo di fargli rivelare. E’ così che si lavorava. Lui portava la notizia e i documenti, questo era il punto di partenza per avviare le mie inchieste”, spiega. Un metodo piuttostoiconoclasta: un padrone di stampa grintoso e uno “stringer” (giornalista freelance) dallo statuto particolare che nessuno descrive come uomo della rete, ma che ha frequentazioni con ambienti equivoci. Secondo Ariri, il suo giornalista è un “portatore di notizie”. Le sue frequentazioni, anche troppo assidue, con funzionari inaciditi, delusi, messi da parte, perfino anche capaci di ordire complotti non svalutano in alcun modo la qualità dei suoi trofei giornalistici. “Come giornalista, sono pronto a mangiare col diavolopur di avere una notizia”, ha ribadito incessantemente nel corso dei suoi interrogatori. Interrogatori lunghi che stanno convincendo gli inquirenti e il procuratore a differenziare il ruolo di ciascuno. Gli interrogatori separati stanno focalizzandosi sulla figura di Hourmatallah, considerato come il perno della questione, la “cinghia di trasmissione”, secondo la stessa espressione di un poliziotto incaricato dell’inchiesta.
Rigore poliziesco per sbrogliare la matasse di un “affaire” a più facce o strategia non confessata per sottrarsi al fuoco continuo della critica, perché già la stampa è unanime e le ONG internazionali come Reporters sans frontieres (RSF)si stanno impegnando a fondo. Ancora dei giornalisti arrestati in Marocco per delitti di stampa, nello stesso momento in cui la Tunisia di Benali, predatrice dei suoi media, libera uno dei suoi cyber-dissidenti: questo davvero stona.


Tre vicende in una
Dei militari scorretti che vengono deferiti davanti a un tribunale militare per essere giudicati della violazione del sacrosanto segreto militare, per la prima volta dagli anni ’70, quando i loro predecessori avevano tentato di rovesciare il regime di Hassan II, un direttore di giornale che viene perseguito in stato di libertà provvisoria  per dimostrare che la stampa non è presa di mira dal potere e un giornalista mantenuto in carcere perché il suo ruolo avrebbe oltrepassato le specifiche funzioni professionali. Le autorità marocchine hanno deciso di lasciar cadere la contestazione dell’articolo 172 del codice penale, la cui pena raggiunge al massimo i 20 anni di prigione. Hanno attenuato la gravità dell’accusa; i due giornalisti non saranno dunque processati per “attentato alla sicurezza dello Stato”, accusa peraltro corrente nelle vicende riguardanti la stampa degli ultimi anni. La loro sorte si giocherà davanti a una corte civile, mentre quella dei loro informatori si giocherà a porte chiuse davanti un tribunale militare.


 

Malessere nell’esercito 

L’affaire “Al Watan” ricorda molto quello del capitano Adib, condannato alla prigione e radiato dalla Forze Armate Reali qualche anno fa per avere menzionato fatti di corruzione avvenuti nella sua caserma al giornale “Le Monde”. Le perquisizioni effettuate dalla Polizia Giudiziaria, soprattutto in una casa colonica di Bouskoura dove dei parenti prossimi di Hourmatallah avrebbero, secondo l’inchiesta, nascosto altri documenti a carico costituirebbero il nodo gordiano della questione. Questo spiegherebbe come l’Intelligence militare sia in fibrillazione, quando è ancora caldo il dossier “Ansar Al Mahdi”, la supposta cellula terrorista islamista che avrebbe infiltrato i ranghi dell’esercito reale e causato il siluramento del generale Belbachir nell’estate del 2006. Ancora una volta il famoso Quinto Ufficio di Stato Maggiore, il servizio segreto dell’esercito è al centro della polemica. Una delle principali fonti di Hourmatallah sarebbe in effetti un ufficiale della caserma di Benslimane… “Noi abbiamo messo a nudo le falle di un sistema obsoleto dalle procedure decrepite”, si difende Ariri. Un “servizio reso” che lo Stato non apprezza affatto però. Fouad Ali El Himma, rompendo senza conseguenze il segreto istruttorio, non ha esitato a parlare apertamente, durante un briefing, di “documenti rubati”. Un po’ troppo semplice, si tratterebbe piuttosto di una linea editoriale dannosa che si vuole mettere a tacere. “Lo Stato cerca una via di uscita onorevole e di imbavagliare la stampa per fare pulizia tra i suoi servizi”, proclama l presidente del collegio forense Abderrahim Jamai. La tesi avanzata dal tuonante avvocato è tutt’altro che balzana, se solo si pensi che sono stati sequestrati tutti gli archivi personali dei giornalisti incriminati evidentemente per rintracciare le fonti di tutte le loro inchieste precedenti e farle cessare al più presto.

 
 

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