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Processo Gdeim Izik - Le udienze del 13 e 14 febbraio
Fabio Marcelli

I fatti
A partire dal 9 ottobre 2010 2010,  varie organizzazioni sociali attive nel territorio occupato del Sahara occidentale istallavano una tendopoli di protesta nei pressi della capitale di tale territorio, El Aioun, in località Gdeim Izik. A tale tendopoli partecipavano circa quarantamila persone.  Venivano aperti negoziati con i rappresentanti del governo marocchino nel territorio che avevano ad oggetto rivendicazioni di democrazia e dei diritti sociali, economici e culturali. Nel bel mezzo di tali negoziati, tuttavia, le forze dell’ordine marocchine irrompevano la mattina presto, il giorno 8 novembre, per sgombrare violentemente gli occupanti, dando fuoco alla tendopoli. Ne seguivano violenti scorsi nel corso dei quali perdevano la vita un numero ancora non chiaro di manifestanti e di membri delle forze dell’ordine(secondo l’agenzia di stampa ufficiale marocchina si tratta di undici appartenenti alle forze dell’ordine e due civili.

Nei giorni seguenti, squadre di agenti in borghese procedevano all’arresto di ventiquattro dirigenti di organizzazioni di massa e dei diritti umani attive nel territorio occupato. Questi venivano tradotti in luoghi non meglio identificati dove venivano sottoposti ad interrogatori e firmavano alcune dichiarazioni in cui confessavano che l’accaduto corrispondeva a un piano preordinato concepito dal Fronte Polisario, movimento nazionale per la liberazione del Sahara occidentale, e di potenze straniere, fra cui il governo algerino.

Il processo
Il processo è cominciato davanti al Tribunale militare di Rabat il giorno 1° febbraio 2013. I giorni 8 e 9 febbraio sono stati occupati dalle dichiarazioni degli imputati, che hanno denunciato di essere sottoposti a tortura e di aver dovuto firmare gli atti di confessione perché esposti a violente pressioni, minacce e maltrattamenti. Il sottoscritto ha assistito alle udienze del 13 e 14 febbraio. Il giorno 13 febbraio sono state assunte varie testimonianze a favore degli imputati, che ne attestavano la lontananza dal luogo degli scontri nel momento in cui questi si sono verificati. L’unico testimone audito fra quelli portati dall’accusa non ha fatto in sostanza dichiarazioni rilevanti in ordine ai fatti, tanto è vero che il presidente della Corte ha deciso di non procedere all’audizione degli altri testimoni dell’accusa.  Vi è stato poi un tentativo di intervento da parte dell’avvocato di parte civile, dichiarato inammissibile dal presidente dopo le proteste effettuate con grande clamore dagli avvocati di difesa sulla base dell’inesistenza di una possibilità di questo tipo davanti alla giurisdizione militare. E’ stato in seguito proiettato un video che riprende alcune scene degli scontri. Il 14 febbraio si sono svolte le requisitorie del pubblico ministero e le arringhe di alcuni fra gli avvocati. Il pubblico ministero ha nella sostanza confermato le gravi accuse nei confronti degli imputati, ritenuti individualmente responsabili di una serie di uccisioni, che sarebbero state effettuate scagliando automobili sulle forze dell’ordine o procedendo all’accoltellamento di vari loro membri. Gli avvocati hanno riproposto le varie eccezioni in ordine all’effettiva indipendenza della Corte, alla nullità delle confessioni estorte mediante tortura, all’assenza di atti istruttori in ordine a vari aspetti degli avvenimenti, ma anche al contesto politico dell’accaduto, evidenziando la necessità di una soluzione pacifica del conflitto.

Osservazioni

1. Indipendenza
Va anzitutto espressa perplessità sull’indipendenza del Tribunale chiamato a giudicare i fatti. Esso infatti è presieduto da un magistrato civile, il presidente della Corte d’appello di Rabat, ma composto da quattro giudici militari. Ciò, in evidente contraddizione con l’art. 127 della Costituzione marocchina che prevede l’abolizione delle giurisdizioni speciali. Sussistono perplessità anche sui poteri spettanti al giudice civile che sarebbe eventualmente competente per l’appello.

2. Tortura e nullità dei processi verbali contenenti le confessioni
Il ricorso alla tortura contro gli imputati, che hanno denunciato di essere stati costretti in qualche caso a scrivere sotto dettatura e in altri casi hanno firmato con l’impronta del pollice una confessione preordinata, sebbene siano tutti di buon livello di alfabetizzazione, rende evidentemente nulle le confessioni contenute nei processi verbali che costituiscono l’unica base del teorema giudiziario formulato dall’accusa.

3. Interrogatori
L’interrogatorio dei testimoni, che hanno attestato la lontananza degli imputati dai luoghi degli incidenti, conferma le forti perplessità sull’impianto accusatorio e induce a ritenere che gli imputati siano stati perseguiti ed accusati solo perché dirigenti riconosciuti del movimento di massa.

4. Che cosa è successo realmente. Proposta di una Commissione internazionale d’inchiesta.
Nonostante l’esistenza del video citato, non pare siano stati effettuati i dovuti accertamenti mirati ad identificare gli autori delle violenze. La dinamica di queste ultime è tuttora avvolta nel mistero. Colpisce in particolare la circostanza che non siano stati effettuati esami autoptici sulle vittime, tranne che su una. Né si capisce per quale motivo sia stata decisa l’irruzione nell’accampamento mentre erano in corso i negoziati degli occupanti con l’autorità, né chi abbia agito provocando le morti delle persone, civili o appartenenti alle forze dell’ordine, che hanno perso la vita nel corso degli scontri. Ciò rende necessaria l’istituzione di una Commissione d’inchiesta internazionale indipendente che faccia chiarezza sull’accaduto in collaborazione con tutte le parti coinvolte.

5. Lo sfondo politico. L’autodeterminazione negata.
Occorre inoltre ribadire che le cause di fondo dell’attuale situazione di tensione che vive il territorio sono la negazione del diritto  di autodeterminazione più volte riconosciuto dalle Nazioni Unite e la violazione dei diritti sociali, culturali ed economici della popolazione. Si rende quindi più che mai necessario ed urgente un processo concordato di attuazione di tali diritti. I giuristi democratici si rendono disponibili alle parti coinvolte per prestare la consulenza giuridica necessaria a tale fine, nella prospettiva di una soluzione pacifica di tale conflitto.