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11 nuovi "rinnegati" saharawi nei campi di Tindouf


Sono 11 i nuovi “rinnegati” (è così che la stampa marocchina di regime definisce i militanti saharawi) che, dai territori del Sahara Occidentale occupati dal Marocco, sono andati nei campi profughi del deserto algerino, in visita ai loro fratelli che da trentacinque anni aspettano di poter tornare in un territorio libero e indipendente. Sono 11, più una bambina di meno di un anno, rinnegata anche lei evidentemente, o destinata ad esserlo in futuro.
I loro nomi sono: Ambarka Aalina e la sua bambina, Izana Amaidane, Ennaama Asfari, Brahim Sabbar, Ahmed Sbai, Hamia Ahmed, Aatiko Baray, Ismaili Brahim, L’Amjaid Sid Ahmed, Tahlil Mohammed, Banga Sheikh.
Sono partiti con aerei diversi tra il 21 ed il 22 febbraio, qualcuno via Roma, qualcun altro via Madrid. Ma, fin dal momento in cui sono arrivati ad Algeri, il loro viaggio è proseguito alla luce del sole. Sono stati ricevuti da esponenti e responsabili delle Istituzioni algerine, si sono incontrati coi giornalisti, poi sono giunti negli accampamenti di Tindouf.
Il 25 febbraio, nel campo che prende il nome della città di Laayoune, sono stati a cena dal Ministro della RASD per i territori occupati, Khalil Sidi Mohamed. E il giorno successivo sono comparsi finalmente in pubblico, nel campo di Dakhla. L’occasione era speciale: si celebrava l’anniversario della nascita della RASD (Repubblica Araba Democratica Saharawi, fondata il 27 febbraio 1976) e gli 11 “rinnegati” hanno assistito alla parata. Niente di militare, piuttosto i bambini delle scuole, i mestieri mimati, i cammelli addobbati.
Gli 11 hanno salutato tutti con le dita in segno di V, poi si sono immersi in un bagno di folla, fatto di abbracci, dei loro interminabili saluti e di tanta tanta commozione.  I saharawi sono un popolo diviso, famiglie spezzate da oltre trentacinque anni, madri lontane dai figli e fratelli separati: incontrarsi per loro è come anticipare il momento della riunificazione in un territorio libero e indipendente.
C’erano degli osservatori internazionali. Per Ossin era presente Francesca Doria, avvocato di Napoli. C’erano inoltre Jonas Hanson (giurista svedese), Claude Mangin, Chantal Duchastelle, Raymonde Motte, Joelle Toutain, Cristina Martinez e inoltre Andres Marin, Matilde Parejo e Brahim Hafdal-Lachadad (tutti e tre avvocati di Badajoz).
La cerimonia è proseguita con i discorsi, quello del presidente della wilaja di Dakhla, Salem Lebsir, e quello di Brahim Sabbar, storico dirigente dell’intifada saharawi nei territori occupati, uno degli 11 “rinnegati” appunto.
La sera, tutti a cena nell’abitazione del wali di Dakhla, Salem Lebsir.
Gli 11 hanno poi fatto il giro dei campi e sono andati anche a Tifariti, l’unico lembo di territorio saharaoui liberato.
Ritorneranno in territorio controllato dai Marocchini tra il 7 e l’8 marzo, con differenti voli. Con loro ci saranno gli osservatori internazionali Cristina Martinez, Raymonde Motte e Joelle Toutain.

Che cosa succederà al loro rientro?
Come si concluderà il viaggio-provocazione degli 11 saharawi? Come reagiranno le autorità marocchine al loro rientro nei territori occupati? Difficile dirlo.
Quando, nell’ottobre dell’anno scorso, i 7 saharawi che adesso sono ancora rinchiusi nella prigione di Salé in attesa di processo, furono arrestati al rientro da un viaggio analogo, la situazione era molto diversa. Intanto la stampa di regime aveva accompagnato i loro spostamenti nei campi di Tindouf con un’attenzione biliosa: ogni giorno appariva sui giornali un editoriale (lo stesso più o meno su tutti), che invocava sanzioni severissime contro i “rinnegati”, contro i “traditori”. Una vera e propria campagna mediatica culminata con il discorso del re Mohammed VI in occasione del 34° anniversario della “Marcia Verde” e la sua promessa di lacrime e sangue nei confronti dei “separatisti dell’interno”.
I sette sono stati infatti arrestati già all’aeroporto di Casablanca ed accusati di reati gravissimi, come l’”intelligenza col nemico” e il complotto contro la sicurezza dello Stato, reati puniti con la morte. Poi c’è stato il goffo tentativo di espulsione di Aminatou Haidar ed una stretta repressiva senza precedenti nei confronti dei militanti saharwi dei territori occupati
Oggi le cose sono cambiate: il boccone indigesto del rientro di Aminatou Haidar, con l’attenzione internazionale che il suo lungo sciopero della fame ha puntato sulla situazione del Sahara Occidentale, ha scosso molto la sicurezza delle autorità marocchine. Né è testimonianza l’imbarazzo col quale stanno gestendo il processo (non ancora fissato) nei confronti dei 7 arrestati di ottobre, a proposito del quale è diventata oramai comune la previsione che non sarà mai celebrato.
Anche nei territori occupati la situazione è molto cambiata: i militanti hanno ripreso a viaggiare all’estero e non è più impedito ogni loro contatto con i visitatori stranieri.
Domani ritorneranno in Marocco gli 11 militanti provenienti da Tindouf. Non hanno fatto niente di più (e niente di meno) di quello che fecero a suo tempo i sette ancora in carcere. Che cosa faranno le Autorità Marocchine?
Arrestarli significherebbe riaprire un fronte di polemica con la comunità internazionale, dopo la pessima figura già fatta in occasione dell’espulsione di Aminatou Haidar. Tanto più che, dopo questi 11, ancora altri sono pronti a partire verso i campi dei loro fratelli di Tindouf.
Non arrestarli significherebbe avallare, da parte delle autorità di occupazione, una pratica per loro pericolosissima.
Non c’è molto da aspettare per sapere che cosa faranno. Il rientro degli 11 “rinnegati” comincia domani…